Digressione III

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Digressione III

Tempo effettivo della permanenza di Adso e Guglielmo all’abbazia

Sul "periodo preciso della permanenza di Adso e Guglielmo all’abbazia".
(Riferimento: I-2.1, sez. A)

È strano a dirsi, ma Adso non conferma mai esplicitamente che la sua permanenza insieme con Guglielmo all’abbazia fosse limitata proprio ai sette giorni del manoscritto; leggendo la prima pagina del cap. "Ultimo folio" si può anzi avere l’impressione che la sua permanenza in quel luogo si protrasse anche fino al decimo giorno. Citiamo da quella pagina:

L’abbazia arse per tre giorni e per tre notti e a nulla valsero gli ultimi sforzi. Già nella mattinata del settimo giorno della nostra permanenza in quel luogo ... a quel punto mancò a ciascuno la volontà di combattere contro il castigo divino. ... I morti rimasero per lo più tra le rovine ancora roventi. Al terzo giorno, curati i feriti, seppelliti i cadaveri rimasti allo scoperto, i monaci e tutti gli altri raccolsero le loro cose e abbandonarono il pianoro ancora fumante, come un luogo maledetto. Non so dove si siano dispersi.
   Gugliemmo e io lasciammo quei luoghi, su due cavalcature trovate smarrite nel bosco, e che ormai considerammo res nullius. Puntammo verso oriente. (Nome, p. 499)
Innanzi a questo brano del testo ci si sente un po’ confusi. Quando, ci si domanda, lasciarono effettivamente l’abbazia? Il settimo o il decimo giorno? Per liberarci da tale confusione è quindi necessario indagare un po’ sulla durata effettiva della loro permanenza all’abbazia. Per fortuna ci sono alcuni indizi che non ci pare si possano interpretare che in un solo modo, cioè che la permanenza dei due protagonisti all’abbazia fosse limitata effettivamente ai sette giorni del manoscritto, e non protratta fino al terzo giorno dall’inizio dell’ecpirosi. Ecco tre degli indizi:

1)  Adso scrive nel brano citato: "Al terzo giorno [dopo l’incendio], curati i feriti, seppelliti i cadaveri rimasti allo scoperto, i monaci e tutti gli altri raccolsero le loro cose e abbandonarono il pianoro ancora fumante". Se anche Adso e Guglielmo fossero stati tra quelli che "raccolsero le loro cose e abbandonarono il pianoro ancora fumante", non avrebbe potuto scrivere "i monaci e tutti gli altri" perché questa è un’espressione che, normalmente parlando, esclude chi scrive, cioè Adso stesso. Ma allora, se lasciava l’abbazia prima dei "monaci e [di] tutti gli altri", come poteva sapere cosa sarebbe accaduto dopo sul luogo della catastrofe? La risposta più semplice, che anche rientra perfettamente nell’ambito della possibilità, sarebbe naturalmente che Adso fosse venuto a saperlo più tardi da altri.

2)  Nello stesso capitolo Adso scrive sul viaggio di ritorno dall’abbazia: "Dalla tragica notte in cui Guglielmo mi aveva palesato il suo sconforto davanti alle rovine dell’abbazia [la notte del settimo giorno], come per tacito accordo, non avevamo più parlato di quella vicenda [la catastrofe]" (p. 500). Adso non si sarebbe certo espresso in tal modo, se lui e Guglielmo fossero rimasti all’abbazia per altri tre giorni, curando i feriti e seppellendo i cadaveri come "i monaci e tutti gli altri"; come mai, infatti, sarebbe stato possibile non parlare e non discutere per tre giorni e tre notti consecutivi della grande catastrofe che era avvenuta sul luogo stesso dove si trovavano?

3)  Il terzo indizio non è tratto dal romanzo stesso ma dalle Postille. Eco, commentando i suggerimenti della casa editrice di accorciare il romanzo, dice: "Dopo aver letto il manoscritto, gli amici della casa editrice mi suggerirono di accorciare le prime cento pagine ... Non ebbi dubbi, rifiutai, perché, sostenevo, se qualcuno voleva entrare nell’abbazia e viverci sette giorni, doveva accettarne il ritmo" (p. 520). Per l’espressione "viverci sette giorni" diremmo che l’interpretazione più naturale dovrebbe essere che essa stia ad indicare tutta la permanenza all’abbazia, non soltanto i 7/10 della stessa.

Non dobbiamo poi dimenticare l’enorme serie di commenti che più o meno esplicitamente sembrano intendere anche il soggiorno di Adso e Guglielmo quando parlano dei "sette giorni" del manoscritto; cfr. per es. l’informazione dell’editore sul risvolto d’una delle edizioni italiane del Pendolo di Foucault (II ed., Milano 1988): "Se era facile definire Il Nome della rosa come un romanzo che si svolgeva in sette giorni in un luogo ristretto e in un anno preciso, l’editore prova imbarazzo ..." (risvolto di copertina); "Die Woche im Kloster ist jedoch auch für ihn [Adso] ..." (Heit, Die ungestillte Sehnsucht, in Ecos Rosenroman, p. 170), e così via.
   (Per un simile brano di "confusione temporale", si veda per es. p. 500 del Nome della rosa: "In breve, prevedendo gli eventi ecc.".)

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