III-1

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"Alla ricerca di Dio"
(motto del capitolo su Sant’Agostino,
Paratore, op. cit., p. 452)


TERZA PARTE

SINTESI DELLE TRACCE OPPOSTE
E CONCLUSIONE DEL LAVORO

 

III-1.  ANALISI DEL SISTEMA STRUTTURALE FINALE

Preambolo (1)  –  Alcune chiavi per l’analisi (2a)  –  Le strutture delle due tracce percorse (2b)  –  I primi passi verso il Caos (2c)  –  Il Caos e l’enigmatico Ur-codice (2d)  –  Riflessioni di Eco stesso sulle ultime cose (2e)  –  Un sistema di progresso seriale (2f)  –  La semiosi ermetica (2g)  –  Proposta di un senso anagogico del romanzo (3).

1.  Preambolo. 
Come abbiamo detto in precedenza (I-1.1, sez. 1), l’analisi non si ferma con l’aver identificato le due matrici di commedia e di tragedia inerenti al romanzo di Eco. Ora siamo infatti, finalmente, in grado di disporre di ogni pezzo e parte del grande sistema simmetrico a cui abbiamo accennato nel capitolo citato, quel sistema cioè che ha forza di sintetizzare su una traccia binaria tutte le strutture trovate, e che in ultimo sfocia nel concetto del Caos. Ed è nostra intenzione presentare in questo capitolo un’analisi strutturale che ci porti al Caos e al livello anagogico del romanzo.

2a.  Alcune chiavi per l’analisi. 
In base a tutto il procedimento per arrivare al Caos ci sono alcune idee chiave che troviamo espresse nell’ambito dell’analisi strutturale che Eco stesso ha sviluppato e che espone tra l’altro nella Struttura assente. Le idee chiave sono:

i)  innanzi ad ogni struttura omologa bisogna in via di principio domandarsi se non sia possibile definire un’altra struttura più semplificata e comprensiva a partire dalla già posta struttura. Eco scrive: "Pertanto, ogni volta che identifico una struttura omologa all’interno di un dato ordine di fenomeni, devo chiedermi se non esista una struttura di quella struttura, un codice di quel codice" (La struttura assente, p. 48);

ii)  un buon programma di ogni strutturalista è quello di non smettere mai nella ricerca di nuovi codici strutturali, sempre più semplificati e comprensivi, a partire da quelli già definiti. E all’orizzonte si vedranno sempre i contorni diffusi di un Urcodice, il quale, nonostante la sua apparente irraggiungibilità (una "presenza assente" o viceversa), sarà quella a dirigere il lavoro. Eco si esprime così: "E, di semplificazione in semplificazione, il sogno dello strutturalista è, al limite, quello di individuare il Codice dei Codici, l’Ur-Codice" (ibid.). Quanto al carattere diffuso dell’Urcodice eccone un’indicazione: "... solo se l’Ur-Codice rappresenta ancora una struttura" (p. 301); cfr. anche sez. 2d più sotto.

2b.  Le strutture delle due tracce percorse. 
Ma ritorniamo alle strutture definite fin qui nel presente lavoro:

Traccia della commedia

–  strutture NR e DC (I-1.4, sez. 1, tabelle I e II)

–  struttura omologa NR/DC (I-2.3, sez. 1)

–  la matrice strutturale della commedia secondo il codice dato da Dante nell’Epistola a Cangrande (in seguito chiamata struttura Commedia): inizio aspro e fine prospera (felice) (I-3, sez. 1b e tabella VII)

Traccia della tragedia

–  strutture NR-bis e TR (II-1.2, sez. 2, tabelle I e VIII)

–  struttura omologa NR-bis/TR (II-2.3, sez. 1)

–  la matrice strutturale della tragedia secondo il codice dato da Dante nell’Epistola a Cangrande (in seguito chiamata struttura Tragedia): inizio ammirabile e placido e fine fetida o spiacevole ed orribile (II-3, sez. 1 e tabella X)

Di queste otto strutture possiamo dire quanto segue:

i) attraverso processi di semplificazione selettiva siamo arrivati a definire, a partire dalle strutture NR e DC, la struttura omologa NR/DC. A partire invece dalle strutture NR-bis e TR abbiamo definito la struttura omologa NR-bis/TR;

ii) come abbiamo visto in I-3, sez. 2, la struttura omologa NR/DC segue la forma della struttura Commedia; o con un altro modo di esprimerlo: dalla struttura omologa NR/DC si può arrivare, attraverso un processo di semplificazione, alla struttura Commedia. Una situazione analoga si ha per la struttura omologa NR-bis/TR, la quale si è dimostrata seguire la forma della struttura Tragedia; o con altre parole: dalla struttura omologa NR-bis/TR si arriva, attraverso un processo di semplificazione, alla struttura Tragedia (II-3, sez. 3);

iii) come sappiamo la struttura Commedia è caratterizzata da un inizio aspro e una fine felice (I-3, sez. 1b). Se vogliamo sintetizzare in modo più generale tale sviluppo, cioè reperire un codice del codice, arriviamo facilmente a una nuova struttura caratterizzata da uno sviluppo dal male al bene (ossia da qualcosa di cattivo a qualcosa di buono). Possiamo ragionare in modo analogo per la struttura Tragedia la quale è caratterizzata da un inizio ammirabile e placido e una fine fetida o spiacevole ed orribile (II-3, sez. 1): volendo cioè sintetizzare tale sviluppo e reperire un codice del codice, si arriva a una nuova struttura caratterizzata da uno sviluppo dal bene al male (ossia da qualcosa di buono a qualcosa di cattivo).

Rimandiamo alle tabelle XI e XII in cui si espongono in modo sintetico i passi di quest’analisi. Per agevolare l’identificazione nelle analisi che seguiranno abbiamo trovato conveniente identificare le strutture della linea della commedia con cifre latine (Ia, Ib, II, III, IV) e quelle della linea della tragedia con maiuscole (Aa, Ab, B, C, D).

2c.  I primi passi verso il Caos
Abbiamo così a disposizione dieci strutture, cinque delle quali rappresentano la linea della commedia, e altre cinque la linea della tragedia. Le dieci strutture sono:

–  linea della commedia: strutture NR e DC, struttura omologa NR/DC, strutture Commedia e dello "sviluppo dal male al bene";

–  linea della tragedia: strutture NR-bis e TR, struttura omologa NR-bis/TR, strutture Tragedia e dello "sviluppo dal bene al male".

Queste strutture corrispondono, come abbiamo già detto, alle strutture Ia, Ib, II, III, IV e Aa, Ab, B, C, D, rispettivamente.
   Ora, come fare per arrivare al Caos? Diremmo che sarà difficile a meno che non adattiamo il nostro modo di ragionare a quel pensiero ermetico di cui abbiamo già parlato (vedi in particolare I-1.4, sez. 3). Per trovare una soluzione del problema posto suggeriamo pertanto di ricorrere a tale modello, continuando così il filo ermetico che ha già contribuito a condizionare il metodo dell’analisi fin qui eseguita (si rimanda alla sezione citata). Intendiamo dire che accettando il modello ermetico saremo in grado di raggiungere una soluzione fruttuosa. E se lo accettiamo, possiamo continuare.
   Ma prima di intraprendere questa nuova parte dell’analisi, dobbiamo definire alcuni tratti specifici della semiosi ermetica che ci potranno aiutare nel lavoro. Su questo punto Eco stesso è stato generoso in quanto nei Limiti dell’interpretazione ha dedicato un’intera parte (e anche più) esclusivamente al pensiero ermetico. In quella parte, che del resto ha lo stesso titolo del suo testo inedito Aspetti della semiosi ermetica, si trova il saggio "Due modelli d’interpretazione" nel quale espone le differenze fondamentali tra il "razionalismo occidentale" e il "pensiero ermetico", nato quest’ultimo in Grecia accanto al razionalismo tradizionale.(1) Il razionalismo occidentale (greca, latina o tradizionale) è da Eco descritto succintamente con questi tre principi fondamentali: "il principio di identità (A=A), il principio di non contraddizione (impossibile che qualcosa sia A e non sia A nello stesso tempo) e il principio del terzo escluso (o A vero o A falso e tertium non datur)" (I limiti dell’interpretazione, p. 41). Accanto a questo razionalismo si ha il pensiero ermetico che permette di capovolgere questi tre principi. Eco scrive:
Affascinata dall’infinito la civiltà greca elabora, accanto al concetto di identità e non contraddizione [il razionalismo occidentale], l’idea della metamorfosi continua, simbolizzata da Hermes. Hermes è volatile, ambiguo ... iuvenis et senex a un tempo. Nel mito di Hermes vengono negati i principi di identità, di non contraddizione e di terzo escluso (ibid., pp. 42-43)
Fra questi tre principi sembra che il principio della contraddizione sia centrale in quanto accettando la contraddizione (A e non-A nello stesso tempo) si perviene sia al capovolgimento del principio dell’identità che quello del terzo escluso, perché: se vale A=A, il principio della contraddizione dice che deve valere anche l’opposto, cioè A=non-A; e se vale "o A vero o A falso", deve, secondo lo stesso principio di contraddizione, valere anche l’opposto, che sembra essere un concetto dal contenuto un po’ diffuso ma che in ogni modo ci porta a questa considerazione: se non vale il principio di "o A vero o A falso", ciò pare stia ad indicare che si sia giunti a qualcosa fuori dell’ambito della nostra logica normale: una sorta di "terzo": un "A vero-falso".
   Sarà in primo luogo il principio ermetico della contraddizione che useremo per arrivare alla soluzione suggerita. Ma aggiungiamo che sarà un ricorrere controllato alla contraddizione, perché bisogna usarla per formare un sistema che per gli altri aspetti segue le normali regole della logica e del pensiero razionale. Vediamo ora la soluzione ermetica. (Si raccomanda di seguire le varie tappe sulla tabella XIII.)

i)  Bisogna prima mettere le dieci strutture su un binario diviso simmetricamente in cui la linea della commedia ne occupa un lato e quella della tragedia ne occupa l’altro e in cui le due strutture varianti del Nome della rosa sono poste in mezzo. Così si arriva dal primo stadio strutturale, rappresentato dalle strutture Ia, Ib, Aa e Ab, fino al quarto stadio che comprende le strutture IV e D (parti inferiore e mediana della tabella XIII).
   Prima di continuare vediamo cosa di preciso si trova sul quarto livello:

–  struttura IV (sviluppo dal male al bene) a cui si arriva secondo un’analisi che si basa su una concezione del Nome della rosa che coincide con la struttura NR;

–  struttura D (sviluppo dal bene al male) a cui si arriva secondo un’analisi che si basa su una concezione del Nome della rosa che coincide con la struttura NR-bis.

Da un punto di vista (concezione in base alla struttura NR) Il nome della rosa è quindi caratterizzato da uno sviluppo dal male al bene; da un altro (concezione in base alla struttura NR-bis) è invece caratterizzato da uno sviluppo dal bene al male.
   Quanto allo status delle strutture NR e NR-bis, ci pare sia bene ricordare che rappresentano due concezioni logiche della storia di Adso da Melk; infatti:
–  la struttura NR considera la sua storia da un punto di vista diciamo cosmologico o apocalittico, in quanto comincia con un episodio che coincide con la prima tromba apocalittica (la morte di Adelmo) e finisce logicamente con un episodio che coincide con l’ultima tromba (la sua stessa morte); si rammenti in proposito l’importanza dell’Apocalisse per la trama del romanzo;

–  la struttura NR-bis concerne il periodo più centrale e drammatico di tutta la sua vita: i sette giorni del racconto del manoscritto, dal primo giorno fino al settimo giorno. (Si veda la tabella I per una visione grafica delle due concezioni.)

ii)  Disponendo ora di due strutture (IV e D) che sembrano rappresentare gli stadi finali di due analisi separate, eseguite da un punto di vista drammatico (sviluppo comico o tragico) e basate su due concezioni precise del Nome della rosa, ci chiediamo se sia possibile trovare una sola struttura che possa comprendere nello stesso tempo ambedue le strutture. In altre parole, esiste o no una struttura che in qualche modo riesca a conciliare sia uno sviluppo dal male al bene (struttura IV) che uno sviluppo dal bene al male (struttura D)? Ci poniamo la domanda perché sarebbe più soddisfacente arrivare a una sola risposta al quesito dove il romanzi tendi, che non a una risposta articolata in due parti differenti. Meglio dunque una risposta del tipo "considerando nello stesso tempo ambedue le concezioni sopraccitate, il romanzo tende a x", che non "considerando il romanzo da un punto di vista (prima concezione) si arriva alla commedia, partendo da un altro punto di vista (seconda concezione) si giunge invece alla tragedia".
   A prima vista pare impossibile trovare tale più generale struttura. Ma ricorrendo a questo punto al modello ermetico possiamo di fatto definirla. Sarebbe una struttura caratterizzata da uno sviluppo da qualcosa di cattivo (dal male) che è anche buono, a qualcosa di buono (al bene) che è anche cattivo: si veda la struttura caotica sul quinto livello. (Si precisa che in quest’analisi si considera il "male" come il "non-bene", ossia "privatio boni", come San Tommaso avrebbe detto; vedi per es. Summa I, q. 14, a. 10, 1. Il "non-male" è quindi equivalente al "non-(non-bene)", cioè il "bene" stesso. Ciò secondo la legge della doppia negazione.)
   Considerando tale struttura vediamo che si tratta di una struttura apparentemente contraddittoria – e per questo dotata di un aspetto capovolto ossia caotico – ma che tuttavia, in un modo astratto e teorico, riesce a comprendere sia la struttura IV che quella D. Linguisticamente tale struttura funziona bene, ma, ci si domanda naturalmente, dove la reperiamo nel nostro mondo tangibile. Diremmo che non è una struttura che rispecchia fedelmente le azioni lineari degli sviluppi che consideriamo normali; è invece un modello teorico di una possibilità strutturale, sia essa normale o meno rispetto alla logica a cui siamo abituati. Si tratta insomma di una possibilità di usare la nostra lingua per creare una struttura teorica i cui componenti possono essere contraddittori se visti due a due, ma visti uno ad uno sono del tutto normali.
   A questo punto non possiamo non menzionare che Eco stesso, nei Limiti dell’interpretazione (p. 207), ha riportato una figura che sul piano visivo rappresenta un mondo contraddittorio:

Fig. 42

   
Eco fa questo commento: "Un esempio visivo di un mondo possibile impossibile è il famoso disegno di Penrose (... un archetipo di molti impossibilia pittorici ... ). ... un mondo in cui un oggetto del genere può esistere è forse possibile, ma sicuramente al di là della nostra capacità di concezione". Commento insomma in sintonia con la possibilità di creare con la lingua sistemi inconcepibili per la nostra logica normale.(2)
   Ma ritorniamo alla struttura caotica sul quinto livello, la quale sarà chiamata struttura caotica I (parte superiore della tabella XIII).
   Forse è bene precisare sulla struttura caotica I che non è una semplificazione strutturale di tipo "normale" (come gatto – animale felino – quadrupede); si tratta invece di una struttura semplificata nel senso che riesce a comprendere da un piano superiore due differenti strutture sottostanti (le strutture IV e D).

iii)  Varcato il soglio del mondo delle possibilità caotiche e contraddittorie, possiamo continuare, chiedendoci se non ci sia alcuna struttura, o codice, che comprenda in qualche modo generalizzato anche la struttura caotica I. Anche qui ci si offre una possibilità: possiamo infatti definire una struttura dove accanto al predicativo X c’è anche il predicativo non-X. Tale struttura dice insomma che ogni predicativo di qualcosa comporta l’opposto dello stesso predicativo; ha quindi la forza di abbracciare da un piano superiore sia lo sviluppo dal male al bene che quello dal bene al male, in quanto, negando il codice dello "sviluppo dal male al bene" (predicativo X), si dà fra l’altro il codice dello "sviluppo dal bene al male" (predicativo non-X). (Fra i non-X dobbiamo, a rigore, mettere anche altre possibili strutture, come "sviluppo dal bene al bene", "sviluppo dal male al male", e forse anche più codici privi di senso, i quali tuttavia non ci interessano qui.) Questa struttura sarà chiamata struttura caotica II (si veda sempre tabella XIII).
   In questo senso siamo arrivati a una soluzione strutturale che è caratterizzata più che sufficientemente dalla coincidentia oppositorum. Si è insomma raggiunto il principio stesso della discordia concors, l’unione di tutte le diversità.
   Ma tale discordia concors universale, che cos’è? Guardando nell’interno della struttura caotica II si intuisce una serie infinita di coppie di possibili diversità: A e non-A, B e non-B, C e non C, ecc. E considerando solo le coppie prese una ad una, ci pare che la serie non sia altro che una altrettanto infinita serie di nullità. Perché, se dici A e non-A nello stesso tempo non fai che cancellare tutto: non rimane insomma nessuna diversità, ossia: la diversità esiste come una possibilità teorica ma è in effetti non-esistente. E avendo a disposizione una serie infinita di nullità, diremmo, con una semplificazione, che il valore logico di tale serie non può essere che proprio nulla, come del resto anche questa serie: +1 -1 +2 -2 +3 -3, ecc.; cioè, la serie equivale al Nulla.
   Insomma, la struttura caotica II, la discordia concors, è quindi caratterizzata da un’infinita serie di coppie di possibili diversità e ha un valore logico che equivale al Nulla.
   Così ci pare di aver mostrato una possibilità di arrivare, partendo dalle dieci strutture di cui all’inizio di questa sezione e ricorrendo parzialmente a un ragionamento ermetico, al concetto del Caos, alla discordia concors e al Nulla.
   Ritornando al quesito dove il romanzo di Eco tendi (vedi sopra in "2)": "Disponendo ora ecc."), possiamo quindi rispondere in questo modo: considerando nello stesso tempo tutte e due le concezioni (in base rispettivamente alle strutture NR e NR-bis), il romanzo di Eco pare tendere al Nulla.

2d.  Il Caos e l’enigmatico Ur-codice
Però, anche raggiunta la struttura caotica II ci sembra che ci manchi qualcosa. E ciò sarebbe una sorte di fonte di tutte le possibilità predicative (A, B, C, ecc.; non-A, non-B, non-C, ecc.), le quali, attraverso il codice della struttura caotica II, se lo accettiamo, vengono ordinate, prima in coppie contraddittorie, e poi, uscendo dall’ambito del Caos, in combinazioni accettate dalla nostra logica razionale. E questo "qualcosa" sarebbe infine l’ultima cosa? Impossibile a dirsi. Abbiamo tuttavia indicato nello schema strutturale anche un passo ulteriore che è rappresentato da quello che chiamiamo struttura caotica III, la quale, se fosse ancora una "struttura", avrebbe un contenuto logicamente indefinibile in quanto conterrebbe in sé infinite serie di possibilità e per questo ogni tentativo di descrizione sistematica finirebbe in un’interminabile serie di contraddizioni (è A, e A è qualcosa che non è B; ma è anche B, e B è qualcosa che non è né A né C; ecc.). E continuiamo a domandarci: questo "qualcosa" sarebbe dunque l’Urcodice, il sogno dello strutturalista, a cui ci siamo riferiti nella sez. 2a più sopra? Chi lo saprà? Eco, che ha dedicato gran parte dei suoi pensieri di strutturalista agli ultimi stadi dell’analisi strutturale (vedi per es. La struttura assente), si esprime in questo modo cauto: "Ma se l’Ur-Codice fosse qualcosa di diverso da una struttura, e fosse invece una sorgente indeterminata che permette tutte le configurazioni possibili, anche quelle che si contraddicono tra loro?" (La struttura assente, p. 301).
   Comunque, se lo stadio 7 fosse l’ultimo stadio raggiungibile – ma non comprensibile tuttavia, in quanto richiederebbe un repertorio di concetti linguistici che potesse esprimere in modo coerente, ordinato e spazialmente limitato tutte le possibilità, ogni diversità e il Nulla – , allora potremmo certo dire "Er muoz gelîchesame die Leiter abewerfen, sô Er an ir ufgestigen ist" (Nome, p. 495). Non ci sarebbe più nulla da dire. "Non mi rimane che tacere", come dice Adso (p. 503).

2e.  Riflessioni di Eco stesso sulle ultime cose
Ma, ci si domanda a questo punto, è verosimile che Eco stesso abbia pensato in queste linee. Non lo sappiamo, ma non ci pare da escludere, dati non solo i suoi ragionamenti penetranti intorno al concetto dell’Urcodice e come vi si avvicina – e ci riferiamo in primo luogo alla Struttura assente – , ma anche i seguenti passi (fra molti), tratti da altre parti della sua produzione (incluso il Nome della rosa), e che sfiorano più o meno da vicino le linee esposte:

–   Sull’Uno, che rappresenta l’"ultima cosa" nel filo ermetico della filosofia neoplatonica e in cui si conciliano gli opposti, dice: "Il pensiero ermetico dice che il nostro linguaggio, quanto più è ambiguo, polivalente e si avvale di simboli e metafore, tanto più sarà adatto a nominare un Uno in cui si realizza la coincidenza degli opposti" (I limiti dell’interpretazione, p. 45).

–   Sulla contraddizione nell’Uno e l’impossibilità di definirlo: "L’Uno è il luogo della contraddizione. È insondabile, inesprimibile, se non per via di approssimazione e negazione" (Aspetti della semiosi ermetica, p. 184). (La via per negazione rispecchia una vecchia idea – la teologia negativa – formulata tra l’altro da Cusano in questo modo: "negationes sunt verae, affirmationes insufficientes in theologicis; ... negationes, removentes imperfectiora, de perfectissimo, sunt veriores aliis" (De docta ignorantia, Bari 1913, p. 64).)

–   Sulla capacità del "caos" e di Dio di contenere tutte le possibilità. Adso dice: "Ardii, per la prima e l’ultima volta in vita mia, una conclusione teologica: ’Ma come può esistere un essere necessario totalmente intessuto di possibile? Che differenza c’è allora tra Dio e il caos primigenio?’" (Nome, p. 496). (Dio è sempre il nome dell’"ultima cosa".)

–   Su Dio come sede di ogni possibilità e per questo equivalente al Nulla. Adso continua la sua conclusione: "Affermare l’assoluta onnipotenza di Dio e la sua assoluta disponibilità rispetto alle sue stesse scelte, non equivale a dimostrare che Dio non esiste?" (ibid.).

Si aggiunge che queste ultime citazioni devono essere considerate molto centrali per tutto il libro di Eco in quanto Adso ribadisce esplicitamente che è la sola volta in tutta la sua vita che formuli un pensiero veramente teologico (cfr. anche "la tesi centrale" del libro, riferita più sotto). Che poi questo pensiero abbia sapore eretico, è un’altra cosa.

–  Su Dio come l’unione di ogni cosa e la sua contraddizione. Eco cita dal Corpus Hermeticum: "Egli [Dio] è al tempo stesso le cose che sono e le cose che non sono" (Aspetti della semiosi ermetica, p. 30).

–  Sul "forte" soggetto trascendente (l’Uno neoplatonico) della semiosi ermetica che è nello stesso tempo tutto, nulla, fonte indicibile di ogni cosa, pernio di ogni connessione fra le cose: "Esso [il soggetto ’forte’ trascendente ossia l’Uno neoplatonico], essendo il principio della contraddizione universale, il luogo della Coincidentia Oppositorum, estraneo a ogni possibile determinazione, e dunque, contemporaneamente, Tutto, Nulla, e Fonte Indicibile di Ogni cosa, fa sì che ogni cosa si connetta a ogni altra grazie a una ragnatela labirintica di mutui riferimenti." (I limiti dell’interpretazione, p. 326)

(Inutile ricordare che qui si riconosce la struttura del rizoma; vedi in proposito I-1.2, sez. 2.1.)
   Che cosa Eco intenda per "forte soggetto" lo si capisce per es. alla luce di questa sua affermazione: "e intendo per neoplatonismo forte il neoplatonismo delle origini ... e le sue versioni gnostiche, in cui al sommo di una scala degli esseri, prodotta per emanazione, stia un Uno inafferrabile ed oscuro, che non essendo suscettibile di nessuna determinazione, le contenga tutte e sia dunque il luogo della contraddizione stessa" (Sugli specchi e altri saggi, p. 236).
   Né si dimentichi quello che Eco, in un’intervista, ha detto sulla "tesi centrale" del romanzo già qualche anno dopo la sua pubblicazione:
L’assoluta onnipotenza di Dio: ecco la tesi centrale de Il nome della rosa. ... un Dio che può giungere sino a violare il principio di non-contraddizione, a far sì che ciò che è avvenuto non sia mai avvenuto, finisce coll’esplodere nel Caos, nel panteismo; nel nichilismo appunto. (Messori, Incontro con Umberto Eco, in Jesus, 1982, vol. 4, n. 4, p. 56)(3)
Aggiungiamo infine che Eco pare aver dato una sottile atmosfera neoplatonica a tutto il libro attraverso Abbone, che secondo Giuseppe Zecchini "è il calco fedele dell’abate Sugerio [di Saint-Denis]: la sua filosofia è il neoplatonismo" (Il medioevo di Umberto Eco, in Saggi su Il nome della rosa, pp. 347-348).
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Per questa edizione HTML – a venti anni dalla prima edizione della nostra tesi sui sottofondi struttuali nel Nome della Rosa – si potrebbero probabilmente allegare molti altri pensieri e opinioni che Eco ha espresso sulle contraddizioni della Divinità. Non abbiamo fatto alcuno studio particolare in materia. Possiamo comunque allegare una sola citazione del suo romanzo Baudolino del 2000, la quale ci pare molto centrale per capire – eventualmente – la concezione di Eco sulle cose divine: nel capitolo 33 si legge tra l’altro come Ipazia cerchi di spiegare a Baudolino la sua concezione della natura di Dio. Per lei Dio non può essere descritto e capito con attributi definibili, e verso la fine della loro conversazione lei ricorre a similitudini antitetiche:
"cerca di capire, Baudolino, Dio è una lampada senza fiamma, una fiamma senza fuoco, un fuoco senza calore, una luce oscura, un rimbombo silenzioso, un lampo cieco, una caligine luminosissima, un raggio della propria tenebra, un cerchio che si espande contraendosi sul proprio centro, una molteplicità solitaria, è... è..." Esitò per trovare un esempio che convincesse entrambi, lei la maestra e lui l’allievo. "È uno spazio che non c’è, in cui tu e io siamo la stessa cosa, come oggi in questo tempo che non scorre." (p. 433)
Qui si intuisce ovviamente un Dio che è sorgente di ogni contraddizione. Si rilegga a confronto la citazione dei Limiti dell’interpretazione (p. 45): "Il pensiero ermetico dice che il nostro linguaggio, quanto più è ambiguo, polivalente e si avvale di simboli e metafore, tanto più sarà adatto a nominare un Uno in cui si realizza la coincidenza degli opposti". Le parole citate di Ipazia armonizzano più che sufficientemente con l’affermazione di Eco, espressa dieci anni prima. Indizio che per Umberto Eco la ricerca di Dio era sempre attuale.

2f.  Un sistema di progresso seriale
Per completare tuttavia la presente analisi strutturale aggiungiamo che a partire dal sistema sfociante nel Caos (tabella XIII), il cui motore è stato quello di cercare di trovare nuove strutture più semplificate e comprensive, si può anche procedere in via inversa, arrivando a definire un sistema di progresso seriale, sistema cioè dove si parte da una struttura il più generale possibile e poi, attraverso un processo generativo ossia seriale, si producono altri codici strutturali, sempre più complessi e differenziati, di cui ciascuno rappresenterebbe un caso speciale del codice posto più sopra nella gerarchia. Questo modo sarebbe dunque un lavoro analitico eseguito in senso opposto alla via strutturale fin qui percorsa. (Per il concetto del processo seriale, rimandiamo ad es. alla parte "Pensiero strutturale e pensiero seriale" della Struttura assente, dove Eco formula tra l’altro questa distinzione fra i due modelli: "mentre il pensiero strutturale mira a scoprire, il pensiero seriale mira a produrre" (p. 307).) L’analisi seriale è esposta nella tabella XIV. In quest’analisi si determina un’evoluzione dalla struttura "?" del primo stadio (corrispondente alla struttura caotica III) fino alle strutture DC, NR, NR-bis e TR dello stadio 7 più in basso. In tale schema ogni struttura sarebbe quindi un caso particolare della struttura dello stadio o degli stadi più sopra. Ma bisogna precisare intorno al numero dei casi dei livelli inferiori: anche se le frecce da una struttura sono di numero ristretto (uno o due), ciò non significa che esse rappresentino le sole frecce possibili. Per fare un esempio: dalla struttura "sviluppo dal male al bene" si potranno infatti generare in teoria un’infinita serie di altre strutture, all’infuori delle strutture Commedia (immediatamente sotto), NR/DC, NR e DC (negli stadi più sotto ancora). Sarà cioè sempre possibile creare nuove commedie o strutture di commedie, accanto a quelle già conosciute dalla Storia. E sarebbe la stessa cosa con la struttura Tragedia. Così sarebbe in teoria possibile immaginarci ogni tipo di sviluppo comico o tragico, il che significherebbe fra l’altro l’aver "coperto" ogni attività di sviluppo umano che abbia carattere di dramma, inclusi i drammi di ogni individuo. E con quest’ultima affermazione è chiaro che la nostra indagine fin qui eseguita, vera o no che sia, ci ha portato a inserire noi stessi nella rete strutturale del libro; siamo cioè divenuti in qualche modo "colpevoli" anche noi, con tutte le complicazioni che tale colpo di scena comporterebbe, argomento, però, che non possiamo approfondire qui(4).
   Ma proseguiamo l’analisi seriale dicendo che, almeno in teoria, si potrebbe continuare il processo generativo dallo stadio 7, arrivando magari a delle nuove versioni, ma distorte, del Nome della rosa, della Commedia e delle Troiane. Sarebbe la serie delle strutture ipotetiche dello stadio 8. E così via, all’infinito.
   Rimettendo ora il discorso su una linea più teorica, diremmo che anche lo schema con il processo seriale pare armonizzare piuttosto bene con alcune idee ermetiche che Eco ha penetrato evidentemente con grande interesse e serietà. Negli Aspetti della semiosi ermetica, il cui solo titolo indica un interesse particolare per il pensiero ermetico, dice per es. così: "La semiosi ermetica prevede una dottrina dell’emanazione per cui si dà parentela fisica e continuità emanatistica tra ogni elemento dell’arredo mondano e l’Uno originario" (p. 183). E riferendosi a certi concetti chiave del modello neoplatonico, che gli sembra abbiano influenzato il pensiero ermetico, egli si formula in questo modo intorno agli argomenti dell’Uno neoplatonico (sinonimo di Dio), dell’emanazione, della creazione e delle ipostasi: "Dio è ineffabile ... C’è un rapporto continuo tra l’Uno e la creazione ... Il rapporto tra Dio e il creato è di emanazione continua. ... La creazione avviene attraverso intermediari, che sono ipostasi, ovvero livelli emanatistici, dell’Uno. ... Le ipostasi sono momenti del processo creativo dell’Uno, gradi della sua intelligenza" (ibid., pp. 54-55).
   Si intuisce insomma attraverso queste citazioni un sistema che abbia più o meno gli stessi ingredienti fondamentali del sistema seriale abbozzato qui, soprattutto se consideriamo quest’ultimo sotto il seguente aspetto: qualcosa di superiore (codice o altro) da un contenuto enigmatico e inafferrabile, progressi seriali in tappe dallo stadio superiore fino alle strutture in basso; e aggiungiamo che queste ultime strutture sembrano rappresentare bene il nostro mondo ("l’arredo mondano" dell’emanazione neoplatonica), in quanto da un lato si ha una commedia e dall’altro una tragedia, le quali rappresentano in modo eminente i due generi drammatici (cfr. digressione I); e in mezzo c’è Il nome della rosa, di cui Eco stesso dice: "Volevo un luogo chiuso, un universo concentrazionario" (Postille, p. 516); voleva cioè un universo chiuso e ristretto, ossia un microcosmo o uno speculum mundi.
   Concludendo vorremmo dire che il sistema strutturale dell’analisi seriale ci sembra rappresentare l’ultima tappa possibile di un’analisi strutturale eseguita su un percorso condizionato dalle premesse metodologiche e di ricerca che sono state poste fin qui per questo lavoro. Non crediamo insomma di poter raggiungere più sui binari strutturali.

2g.  La semiosi ermetica
Adesso una riflessione di altro carattere: dato che il sistema seriale sembra armonizzare bene soprattutto con alcune idee centrali del pensiero ermetico sull’emanazione da un principio originario indefinibile, tutto il libro di Eco potrebbe essere considerato (a parte, s’intende, altre possibilità) come l’espressione di un suo desiderio d’immettere in un’opera letteraria lo stampo velato di un modello teorico strutturale che rispecchiasse a modo suo le idee ermetiche sull’emanazione e sull’Uno, modello insomma in cui l’Uno ermetico s’identificherebbe con l’irraggiungibile Urcodice dello strutturalista moderno. Un autentico lavoro di semiosi ermetica, ossia un grande gioco intellettuale che tuttavia sarebbe da prendere molto sul serio. Forse è questa una delle intenzioni veramente fondamentali del romanzo di Eco. Non si sa. E anche se lo fosse, siamo tuttavia convinti che ce ne sono delle altre, forse più fondamentali. Perché non si ferma davanti a un enigma, sia esso l’Uno ermetico, l’Urcodice o altro, senza cercare di penetrarvi, magari per vie del tutto differenti da quelle già percorse.

3.  Proposta di un senso anagogico del romanzo
Ritorniamo adesso all’allegorismo medievale e al senso anagogico del romanzo di cui abbiamo parlato in I-1.1, sez. 1.
   Per prima cosa bisogna precisare sul senso anagogico di un’opera. Costantino Marmo scrive: "Esso [il senso anagogico] deriva il proprio nome dal termine greco anagoghé (’viaggio’, ’ascesa’) ed è spiegato dai medievali come comprensione che conduce verso l’alto (sursum ductiva intelligentia): al cuore dei misteri divini" (Marmo-Nome, p. 460); nella Nuova Enciclopedia Universale Garzanti, voce "anagogia", si legge: "nell’esegesi della Bibbia, tecnica con la quale si passa dal senso letterale a quello mistico"; Petit Larousse illustré 1990, voce "anagogie": "(gr. ana, en haut, et agôgos, qui conduit). ... Interprétation des Écritures par laquelle on s’élève du sens littéral au sens spirituel"; Il Nuovo Zingarelli, voce "Anagogia": "Una delle quattro forme di interpretazione delle Sacre Scritture, nella quale i fatti descritti sono spiegati come simbolo delle realtà soprannaturali cui l’anima deve elevarsi"; Collins Dictionary of the English Language, London & Glascow 1985 (ristampa), voce "anagoge" o "anagogy": "allegorical or spiritual interpretation, esp. of sacred works such as the Bible"; The New Shorter Oxford English Dictionary, Oxford 1993, voce "anagogic" ("anagogical"): "having a spiritual, mystical or allegorical interpretation"; in The Oxford English Dictionary, II ed., Oxford 1989, voce "anagoge", si riporta questa vecchia definizione (Phillips, 1706): "a raising of the mind to search out the hidden Meaning of any Passage; especially the Mystical Sense of the Holy Scriptures"; in "Ordförklaringar" nella traduzione svedese del Nome della rosa (Rosens namn) si legge per la voce "anagogisk": "Syftande på de yttersta tingen"; nel cap. "L’Epistola XIII, l’allegorismo medievale, il simbolo moderno" in Sugli specchi e altri saggi (p. 216) Eco riporta il distico medievale sui quattro livelli di lettura incluso quello anagogico: "littera gesta docet, quid credas allegoria, / moralis quid agas, quo tendas anagogia"; Dante stesso scrive: "Lo quarto senso si chiama anagogico, cioè sovrasenso" (Convivio, II:1).
   Si possono naturalmente allegare più definizioni, anzi una lunghissima serie di definizioni, che tuttavia varierebbero più nella loro veste linguistica che nel contenuto; ma queste dovrebbero bastare per sintetizzare almeno in modo generale quello che ci pare sia il nucleo del "senso anagogico", e cioè: quel senso che porta il più lontano possibile nell’interpretazione di un testo, fino alla sfera delle cose trascendenti. Bisogna naturalmente aggiungere che quando l’oggetto dell’esame anagogico è costituito da un testo di carattere tradizionalmente religioso, tutte le strade anagogiche portano a Dio: "nel Medioevo il lettore ... lavorava con un ampio numero di significati ma con un unico significato finale, Dio" (Vasilash, La gemma diafana, in Saggi su Il nome della rosa, p. 249).
   Ma non tutti i testi identificano automaticamente le cose trascendenti con il Dio tradizionale. Il romanzo di Eco appartiene evidentemente a questa categoria.
   Vediamo ora quali conclusioni si possono trarre sul senso anagogico del Nome della rosa in base all’analisi fin qui eseguita. (Si precisa che per "senso anagogico" s’intende d’ora in poi il senso anagogico secondo la definizione più generale formulata sopra.)
   Nella sez. 2d abbiamo abbozzato l’ultimo stadio (enigmatico) che ci sembra raggiungibile con un’analisi strutturale indirizzata ad andare il più lontano possibile (analisi per scoprire). Come ricordiamo l’analisi è articolata in tappe ed è finita nella struttura caotica III (se è lecito parlare ancora di "struttura" sopra il sesto livello strutturale). Abbiamo definito questa "struttura" come indicibile in quanto racchiuderebbe in sé ogni possibilità, ogni diversità e il Nulla. Ora, una struttura o codice – o comunque la chiamiamo – che ha queste caratteristiche ci pare appartenga eminentemente alla sfera trascendente, cioè fuori della nostra comprensione. Non pensiamo quindi sia sbagliato concludere che su un livello anagogico – il livello delle cose trascendenti – il romanzo di Eco sembra tendere al vuoto e al Nulla.
   Ricordiamo del resto che già sul sesto livello dello stesso sistema abbiamo incontrato la tendenza verso il Nulla (vedi la fine della sez. 2c: iii).
   Per controllare che questa conclusione non sia inverosimile, ci domandiamo se nel romanzo c’è qualche altra indicazione del contenuto zero delle ultime cose. Ce ne sono infatti. Ne alleghiamo due che riguardano la fine delle strutture NR e NR-bis. Ecco come finiscono queste ultime strutture:
–  fine della struttura NR:  Adso muore e si riunisce con Dio. Ma questo Dio di Adso, ci chiediamo, come sarebbe? Attenendoci alle parole di lui stesso sull’ultimo foglio del manoscritto, in cui spiega la propria concezione della divinità, abbiamo: "Tra poco mi ricongiungerò col mio principio, e non credo più che sia il Dio di gloria di cui mi avevano parlato gli abati del mio ordine, o di gioia, come credevano i minoriti di allora, forse neppure di pietà. Gott ist ein lautes Nichts, ihn rührt kein Nun noch Hier..." (Nome, p. 503).(5)
Seguendo Adso sulla via della struttura NR si arriva quindi in ultimo ad una divinità enigmatica che s’identifica con il vuoto ("ein lautes Nichts");
–  fine della struttura NR-bis:  tutta l’abbazia prende fuoco e viene distrutta in una grande catastrofe, l’ecpirosi. Una cosa che viene distrutta viene anche per definizione ridotta al nulla.
Se guardiamo più da vicino la parola "ecpirosi" veniamo anche a sapere che nella filosofia stoica l’ecpirosi è la conflagrazione universale in cui il mondo viene annientato per essere rigenerato per un nuovo anno cosmico (come in Abbagnano, Dizionario di filosofia (II ed., Torino 1984 (ristampa)), Il Nuovo Zingarelli, ecc.). Cfr. anche Schwegler, Geschichte der Philosophie im Umriss, nuova ed., Leipzig c. 1900, p. 171-172, in cui si descrive un mondo generato dal fuoco divino e dove tutto ("Alles in der Welt") forma "einen Kreislauf beständigen Entstehens und Vergehens".
   Alla imminente scadenza dei "tempi maturi" di un’era cosmologicamente definita (sia pure fuori dell’ambito dello stoicismo) si allude del resto qua e là nel Nome della rosa; cfr. per es. queste battute del dialogo fra Guglielmo e il vecchio Alinardo il Secondo giorno:
[Alinardo:] "Il millennio non si computa dalla morte di Cristo ma dalla donazione di Costantino. Ora sono i mille anni..." "E allora finisce il regno dei giusti?" "Non lo so, non lo so più... Sono stanco. Il calcolo è difficile. ... Ma i tempi sono maturi. Non hai udito le sette trombe?" (Nome, p. 163)
Nella conflagrazione dell’abbazia non ne fu naturalmente annientata ogni costruzione; ne doveva restare qualche rovina qua e là. Però, il cuore dell’abbazia, la biblioteca, fu distrutto davvero. Adso descrive la sua impressione della destruzione anni dopo la catastrofe: "Poi mi avvidi che da uno dei torrioni saliva ancora ... una scala a chiocciola allo scriptorium, e di lì ... si poteva arrivare all’altezza della biblioteca: la quale era però soltanto una sorta di galleria rasente le mura esterne, che dava in ogni punto sul vuoto" (Nome, p. 502). Rammentiamo incidentalmente che in un’intervista francese Eco ha sfiorato la concezione di vedere Dio come una sorta di biblioteca ("Si Dieu existe, puisqu’il est omniscient, il est une sorte de grande bibliothèque"). Rimandiamo all’intervista citata in I-1.2, sez. 2.1.
   Nel Nome della rosa ci sono più segnali sul vuoto finale delle cose, incluse le ultime parole del libro "stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus"(6), ma questi allegati qui ci pare bastino per il nostro controllo.
*
Ma – ci si domanda forse a questo punto – perché fare tanta strada per arrivare alla definizione di un senso anagogico che equivale al Nulla o al vuoto, tanto più che, come abbiamo visto, Adso stesso allude chiaramente a questa fine di ogni cosa, cioè ad un Dio che è "ein lautes Nichts"? Non sarebbe quindi bastato rimandare direttamente alle ultime parole di Adso per definire il senso anagogico del libro? Eco ha fatto questa riflessione sulle vie per raggiungere un risultato:
Solitamente crediamo che il più complesso debba essere spiegato per mezzo del più semplice. Questa strada si chiama riduzionismo. ... Un’alternativa fruttuosa può essere spiegare il più semplice per mezzo del più complesso. Quest’idea mi piace di più. È audace ma può essere produttiva. (I limiti dell’interpretazione, p. 227)
Infine qualche battuta fra Adso e Guglielmo. Guglielmo ha dimostrato un interesse particolare per il sogno mirabile di Adso del Sesto giorno e Adso vuole sapere perché:
"Ma cosa c’era nel mio sogno che vi interessa tanto? Era senza senso, come tutti i sogni!"
   "Aveva un altro senso, come tutti i sogni, e le visioni. Va letto allegoricamente o anagogicamente..."
   "Come le scritture!?"
   "Un sogno è una scrittura, e molte scritture non sono altro che sogni." (Nome, p. 441)
*  *  *  *  *
Note

(1)  Ricordiamo che le idee espresse in questo saggio devono essere molto importanti per Eco perché esso si fonda sul testo della conferenza di apertura della XXXIX Fiera del libro di Francoforte, ottobre 1987.

(2)  Il commento di Eco fa parte di un sottocapitolo (3.5.6) dal titolo "Requisiti per costruire piccoli mondi", un capitolo interessantissimo che tratta mondi verosimili (i), inverosimili (ii), inconcepibili (iii) e possibili impossibili (iv).

(3)  Anche Thomas Stauder ha osservato quest’aperta asserzione di Eco, ma la usa in modo differente (I-1.2, sez. 2.5). Ringraziamo tuttavia lo Stauder perché è stato attraverso un suo articolo (Nell’anno ottavo ecc.) che siamo venuti a conoscenza dell’intervista in questione.

(4)  Citiamo soltanto dal cap. "L’abduzione in Uqbar" in Sugli specchi e altri saggi per far vedere che con questa nostra complicità nella storia di Adso pare che siamo divenuti come i clienti del detective don Isidro di Borges-Casares: "Don Isidro scopre sempre che ciò che i suoi clienti hanno subito è stata una sequenza di eventi progettati da un’altra mente. Egli scopre che essi si muovevano già nel quadro di un racconto e secondo le leggi dei racconti, che essi erano i personaggi inconsapevoli di un dramma già scritto da qualcun altro" (Sugli specchi e altri saggi, p. 171).

(5)  Le parole tedesche rappresentano un caso intertestuale (Cherubinischer Wandersmann di Angelo Silesio ossia Johann Scheffer, 1624-1677); per le parole esatte, cfr. tuttavia Marmo-Nome, p. 565: "nel testo di Silesio, la frase suona invece: ’Gott ist ein lauter – Nichts’". Ma ciò non importa, perché nel testo del Nome della rosa Adso dice espressamente "ein lautes Nichts", senza chiedere autorizzazione a Silesio, che nacque qualche secolo più tardi.

(6)  Per il senso vuoto di questo verso di Bernardo di Morlay, cfr. per es. Leonardo Boff, La doppia impasse della conservazione e della creazione (in Saggi su Il nome della rosa), p. 440: "... l’antica e archetipica rosa, ’che è solo un nome, e i nomi che possediamo sono vuoti.’"

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