(I-1)    I-1.1

Cap. I-1.1   I-1.2   I-1.3   I-1.4   I-2.1   I-2.2.1   I-2.2.2   I-2.2.3   I-2.2.4   I-2.2.5.1   I-2.2.5.2   I-2.2.5.3   I-2.2.5.4
I-2.2.5.5   I-2.2.5.6   I-2.2.5.7   I-2.2.5.8   I-2.2.5.9   I-2.2.5.10   I-2.2.5.11   I-2.2.5.12   I-2.2.5.13   I-2.2.6   I-2.3   I-3
Indice   I parte   II parte   III parte   Digressioni   Tabelle   Piante   Elenchi   Bibliografia

Ho calcolato tutto, tranne il successo
(U. Eco, La Stampa, 26.3.1983)

Nec mysteria quae non occulta
(G. Pico della Mirandola, Heptaplus, Prooemium)


PRIMA PARTE

LA TRACCIA DELLA COMMEDIA

 

I-1.  INTRODUZIONE

I-1.1.  OBIETTIVO DELLO STUDIO

L’idea del lavoro (1)  –  Tre domande critiche prima di continuare: prima domanda (2a)  –  Seconda domanda (2b)  –  Terza domanda (2c)  –  Un’interpretazione che parte da un’ipotesi (3)  –  Mancanza di altri studi che si basino sulle stesse idee del presente lavoro (4)  –  Tre altre cose da fare prima di entrare nel lavoro effettivo (5).

1.  L’idea del lavoro
Nell’introduzione di Saggi su Il nome della rosa(1) Renato Giovannoli dice fra l’altro questo sul primo grande romanzo di Eco: "Il nome della rosa è un libro complesso, ricco (fino all’eccesso) di significati, enesauribile; un libro fatto di frammenti di altri libri, eminentemente ’intertestuale’" (p. 7). Per dare qualche esempio di quest’ultimo lato del libro si può ricordare il tema dell’Apocalisse, il tema per eccellenza: si ricordino qui in primo luogo le trombe apocalittiche e le drammatiche morti che seguono; ci sono poi interferenze con i libri di Conan Doyle: vedi ad es. la somiglianza fra Guglielmo e Sherlock Holmes, fra Adso e il dottor Watson; ci sono interferenze con le Mille e una Notte: cfr. il libro avvelenato, "dolce come il miele", della biblioteca proibita e il libro anch’esso avvelenato del medico decapitato Duban; e la biblioteca stessa rispecchia la biblioteca di Babele di Borges; e così via. Lunghe sono infatti le liste che comprendono interferenze tra il libro di Eco e altri testi, siano essi letterari o no; vedi fra l’altro gli elenchi citati in I-1.2, sez. 2.2.
   Tuttavia, a parte le interferenze, per così dire, ovvie ed immediate, come quelle nelle liste menzionate, Eco fa intendere qua e là nel suo libro che c’è anche qualcosa di sotto. Si possono citare per es. queste affermazioni da parte del vecchio Adso sugli eventuali sensi latenti della mirabile storia che ci ha tramandato:

Giunto al finire della mia vita di peccatore ... mi accingo a lasciare su questo vello testimonianza degli eventi mirabili e tremendi a cui in gioventù mi accadde di assistere, ripetendo verbatim quanto vidi e udii, senza azzardarmi a trarne un disegno, come a lasciare a coloro che verranno (se l’Anticristo non li precederà) segni di segni, perché su di essi si eserciti la preghiera della decifrazione. (Nome(2), p. 19)

è cosa dura per questo vecchio monaco ... non sapere se la lettera che ha scritto contenga un qualche senso nascosto, e se più d’uno, e molti, o nessuno. (p. 503)

Anche nelle Postille a "Il nome della rosa" Eco allude alla stessa cosa: "Il testo è lì ... eppure capisco che lì si annida un senso (forse molti)" (Postille(3), p. 509). Né si dimentichi questa concezione di Guglielmo sul modo di come avvicinarsi a un testo prodotto da altri:
I libri non sono fatti per crederci, ma per essere sottoposti a indagine. Di fronte a un libro non dobbiamo chiederci cosa dica ma che cosa vuole dire, idea che i vecchi commentatori dei libri sacri ebbero chiarissima. (Nome, p. 319)
E come interpretare queste parole che troviamo impresse già sulla prima pagina del prologo del Nome della rosa: "Ma videmus nunc per speculum et in aenigmate e la verità, prima che faccia a faccia, si manifesta a tratti (ahi, quanto illegibili) nell’errore del mondo, così che dobbiamo compitarne i fedeli segnacoli, anche là dove ci appaiono oscuri e quasi intessuti di una volontà del tutto intesa al male" (p. 19); e ciò alla luce di questa sua opinione sull’arte del Medioevo espressa in Arte e bellezza nell’estetica medievale (Milano 1987) e in cui cita le stesse parole bibliche "per speculum ecc." che appaiono nella citazione di Adso: "Interpretare allegoricamente i poeti non voleva dire sovrapporre alla poesia un sistema di lettura artificioso e arido: significava aderire a essi considerandoli come stimolo del massimo diletto concepibile, il diletto appunto della rivelazione per speculum et in aenigmate" (p. 92). (Il corsivo è di Eco stesso.)
   Siffatte allusioni da parte di Eco stesso all’esistenza di quello che si potrebbe chiamare disegno velato sono state per tanti critici motivo sufficiente per avventurarsi in un’indagine su un senso più profondo del suo romanzo, ossia sul suo senso anagogico. Giovannoli, parlando dei quattro sensi dell’allegorismo medievale, conclude così sul senso anagogico del libro di Eco, formulando nello stesso tempo un chiaro problema ermeneutico: "Ma dov’è, ne Il nome della rosa, il livello anagogico?" (Saggi su Il nome della rosa, p. 10).
   Però, non trovando nessun chiaro sistema o disegno interpretativo che porti al livello anagogico, si conclude generalmente che il senso su quel livello è vuoto. Giovannoli continua: "Il fatto è che, come afferma esplicitamente Nunzia Rossi, esso [il senso anagogico] è ’vuoto’ indeterminato" (ibid., p. 10). L’opinione di Nunzia Rossi è questa: "Nel romanzo di Eco, quest’ultimo livello [anagogico] scompare (o piuttosto è determinato da una scelta del lettore)" (Un libro proibito, in Saggi su Il nome della rosa, p. 260). Nell’introduzione dell’edizione scolastica del Nome della rosa, Costantino Marmo scrive: "Ma soprattutto si è evitato con cura di affrontare [in questa sede] discorsi sul livello anagogico, sul significato complessivo dell’opera. Lasciato espressamente vuoto nel romanzo il livello anagogico, dargli un contenuto rimane compito e fatica, eventualmente, del lettore" (Marmo-Nome(4), p. XXXIII).
   Indagando sul livello anagogico del romanzo di Eco ci pare di aver trovato anche noi che in ultima analisi il senso del libro tende al vuoto. Ma le vie da percorrere per arrivare a tale conclusione sono del tutto differenti. Le varie tappe di quest’iter interpretativo possono essere riassunte nel modo seguente:
   In primo luogo ci sembra d’aver identificato nel libro di Eco due serie d’interferenze con due altri testi letterari: una serie d’interferenze con La Divina Commedia di Dante e un’altra con la tragedia Le Troiane di Euripide.
   Di queste due serie d’interferenze, o sottofondi strutturali, ci siamo poi serviti per definire due coerenti e separate strutture omologhe, una fra Il nome della rosa e La Divina Commedia, e l’altra fra Il nome della rosa e Le Troiane. Per "struttura omologa" (termine usato da Eco stesso; vedi La struttura assente, VII ed. Tascabili Bompiani, Milano 1991, pp. 47 sgg.) intendiamo qui una struttura che: 1) sia comune a due altre strutture; 2) colga in sintesi gli elementi corrispondenti e significativi delle due strutture d’origine. (Per una più completa analisi del concetto della struttura omologa, rimandiamo a I-1.3.)
   Definite le due strutture omologhe abbiamo continuato l’analisi su un piano più profondo, e cioè: partendo dalla struttura omologa Il nome della rosa/La Divina Commedia pare che il libro di Eco possa essere definito come una commedia; partendo invece dalla struttura omologa Il nome della rosa/Le Troiane, lo stesso libro sembra seguire il codice strutturale della tragedia. Precisiamo tuttavia che tale possibilità di doppia interpretazione del Nome della rosa dipende da quale punto di vista lo consideriamo. Rimandiamo a I-1.4, sez. 1.
   Infine ci pare che si possa disegnare un sistema strutturale di più grandi dimensioni, sistema che ha la forza di cogliere in sintesi sia la traccia della commedia che quella della tragedia, e dove, in ultima analisi, entrano in gioco anche i concetti della discordia concors, del Caos e del Nulla. E con ciò ci siamo avvicinati al livello anagogico del romanzo.
   Ora, in questa Prima parte dello studio intendiamo rendere conto di quello che abbiamo trovato sulla traccia della commedia. Più precisamente l’obiettivo principale sarà:

–  definire una struttura omologa fra Il nome della rosa e La Divina Commedia (I-2);

–  presentare un’analisi secondo cui Il nome della rosa può essere interpretato come una commedia (I-3).

Nella Seconda parte dello studio continueremo l’esame con: 1) definire una struttura omologa fra lo stesso Nome della rosa e Le Troiane di Euripide; 2) presentare un’analisi secondo la quale Il nome della rosa può essere interpretato come una tragedia.
   Solo quando saranno definite anche le strutture della traccia della tragedia, disporremo dell’intera gamma di pezzi strutturali che fanno parte dell’analisi per la formazione del sistema più grande a cui abbiamo accennato più sopra. Quest’analisi, la quale ci porterà al concetto del Caos e alle conclusioni sul senso anagogico del romanzo, costituirà la Terza ed ultima parte del nostro lavoro sui sottofondi strutturali nel Nome della rosa ed è da considerare come una sintesi delle due tracce opposte, nella quale entrerà in gioco fra l’altro il concetto della coincidentia oppositorum.

2.  Formulata così l’idea di tutta la nostra analisi, si presentano quasi automaticamente tre domande cruciali a cui bisogna rispondere prima di continuare.

2a.  Tre domande critiche prima di continuare:  prima domanda
A che serve tutto questo lavoro analitico? Sia ben chiaro che tutto il lavoro parte dall’ipotesi che Eco abbia effettivamente voluto impostare il suo romanzo sui due sottofondi strutturali menzionati più sopra e che la sua idea, con quest’impostazione particolare, sia stata quella di permettere di costruire un sistema strutturale in cui i concetti della commedia e della tragedia entrino come parti costituenti importanti e che ultimamente sfoci nel concetto del Caos inteso come sorgente di ogni polarità ed opposizione.
   Tuttavia, formulando quest’ipotesi non intendiamo dire che il supposto disegno con il suo sistema strutturale sia da identificarsi con ciò che Eco stesso chiama intentio auctoris, che riguarda tutta la gamma di idee, cappricci, spinte emotive, ecc. che hanno contribuito alla creazione di un’opera (la sua genesi); sarebbe invece più adeguato interpretarlo come un’espressione di una volontà dell’autore di far dire qualcosa al libro stesso: si tratterebbe insomma più dell’intentio operis, o almeno di una delle sue intenzioni, che non di altro.(5) Per essere ancora più espliciti diremmo – riferendoci al cap. "Tre tipi di intenzioni" del saggio "Intentio lectoris. Appunti sulla semiotica della ricezione" nei Limiti dell’interpretazione (Milano 1990) di Eco stesso, dove egli ragiona sui differenti modi d’interpretare un’opera – che l’interpretazione suggerita è da associare a questa soluzione interpretativa: "bisogna cercare nel testo ciò che esso dice in riferimento alla propria coerenza contestuale e alla situazione dei sistemi di significazione a cui si rifa" (p. 22). Anche Cesare Segre è della stessa opinione: "[l’innovazione] costruttiva [nell’ermeneutica] consiste nel non puntare più all’intentio auctoris, ma all’intentio operis" (Ermeneutica e strutture storiche, p. 490). A ciò si deve però aggiungere che il testo non è stato prodotto da sé stesso. C’è sempre un autore a dirigere i pezzi testuali di un’opera letteraria. In Semiotica, storia e cultura (Padova 1977) Segre precisa chiaramente la distinzione fra le due intenzioni: "Primato del testo e dei suoi aspetti formali rispetto all’autore come entità anagrafica e biologica, ma riconoscimento dell’autore come garante della consistenza significativa del testo stesso" (p. 77). Bisogna quindi fare una netta distinzione fra le due intenzioni, senza dimenticare però il loro campo comune, la "consistenza significativa del testo stesso". Senza un’ipotesi di base da parte del lettore su una strategia testuale dell’autore, ogni tentativo di interpretare più globalmente il libro sfocerebbe in un corpo ermeneutico privo di struttura interna. Ed è sempre tale ipotesi di base che, a nostro avviso, deve dirigere il lavoro effettivo dell’interprete.
   Premesso quanto sopra, è ovvio che le nostre ricerche sono state ben presto indirizzate verso un tentativo di ricostruire – entro i limiti, s’intende, del possibile – tutto questo sistema strutturale che ci pare d’aver trovato, sia nelle grandi linee che nei particolari più minuti. Il presentare questa ricostruzione sarà quindi lo scopo principale del nostro lavoro analitico.
   Ma che cosa si raggiungerà tuttavia con il presentare tale ricostruzione? Per noi, e speriamo anche per altri, tutta l’analisi (la traccia della commedia, quella della tragedia e una sintesi delle due tracce opposte) aiuterà a definire un altro lato interpretativo del romanzo dell’Eco e a gettare nuova luce sul problema del suo senso anagogico. Speriamo insomma che la nostra sarà considerata un’analisi eseguita secondo un percorso interpretativo interessante e di cui si possa anche dire che il testo la permette. E riferendoci a una tesi centrale in Lector in fabula (V ed., Milano 1991) – "Un testo vuole che qualcuno lo aiuti a funzionare" (p. 52) – speriamo pure che il testo stesso del Nome della rosa accetti di essere messo in funzione anche nel modo scelto da noi. Ciò dicendo confessiamo senza reticenze che abbiamo cercato di adattarci al ruolo del lettore che nella lettura di un testo vede un gioco fra autore e lettore, nel quale vuol entrare e rimanere il più a lungo possibile, magari fino all’ultima tappa del percorso progettato dall’autore, quasi come una sfida. Come ben sappiamo, in Lector in fabula si suggerisce uno scambio di mosse fra autore e lettore nella lettura di opere di qualche complessità. Raul Mordenti ne riassume il meccanismo:

Ciò che si verifica nella lettura è dunque una sorta di gioco fra autore e lettore, in cui il primo delinea un percorso e lo cosparge di suggestioni, falsi obiettivi, illusioni ottiche, costruendo un vero e proprio labirinto per il suo lettore; quest’ultimo è messo così di fronte ad una scelta obbligata: o rinunciare a percorrere il labirinto ... sancendo la sconfitta della "cooperazione testuale", oppure collaborare, cioè attivare a tendere al massimo l’universo delle proprie competenze, già presupposte dall’autore per il successo della sua strategia testuale. (Adso da Melk, chi era costui? in Saggi su Il nome della rosa, p. 39)
Nella lettura del romanzo abbiamo insomma cercato di collaborare. Ma dobbiamo naturalmente ammettere che tanti sono i falsi obiettivi e le illusioni ottiche che abbiamo incontrato durante il percorso, così ci pare almeno; si pensi ad es. alla coppia Guglielmo e Adso: se avessimo accettato che questa coppia rispecchiasse soltanto la coppia Sherlock Holmes e il dottor Watson (eco evidentissima), allora la sconfitta si sarebbe verificata quasi automaticamente. Ma fidandoci alla polivalenza interpretativa dei fenomeni del libro (lato importante di un’opera aperta), ci è stato permesso di individuare man mano i nodi e le linee di una grande rete strutturale sottostante alla "corteccia" del racconto di Adso. Bisogna a questo punto anche ammettere che Eco stesso, come autore di opere scientifiche nei campi della semiotica e della critica letteraria, ci ha aiutato assai in quanto ha contribuito a fornire le fondamenta e i mezzi per il lavoro analitico; ci riferiamo in primo luogo alle sue idee sull’intentio operis versus intentio auctoris, sul concetto dell’opera aperta con la sua polifonia di sensi, sulla collaborazione fra autore e lettore per mettere in funzione un testo, sul concetto della struttura omologa definita in base a due strutture iniziali, sul modo ermetico di leggere il mondo con la sua apertura a scoprire ogni tipo di legame fra i suoi elementi, sull’analisi strutturale in generale incluse quelle per scoprire e per produrre; idee di cui abbiamo già parlato o parleremo di più in seguito, e che si trovano fra l’altro nei suoi libri I limiti dell’interpretazione, Opera aperta, Lector in fabula, La struttura assente, Aspetti della semiosi ermetica (testo inedito, vedi la bibliografia). Né si dimentichi la lunga serie di argomenti, di concetti, di nomi che lui ha trattato in un modo o nell’altro nella sua vasta produzione scientifica o di idee, e che ci sono stati utili nell’analisi: l’allegorismo medievale, il concetto della discordia concors, l’Uno neoplatonico, la gnosi, l’abduzione, ecc.; Tommaso D’Aquino, Dante, Pico della Mirandola, Peirce, Pirandello, Joyce, Borges, ecc.
   Ma a parte i falsi obiettivi e le illusioni ottiche ci sono anche altre vie pericolose del labirinto: sono quelle di rinchiudersi in qualche teoria letteraria per poi analizzare il romanzo a partire esclusivamente dalle premesse di quella teoria. Infatti, anche per quanto riguarda le teorie letterarie c’è polivalenza nel romanzo. Angelo Guglielmo si esprime così:
Eco con questo romanzo ... ha fatto un ripasso generale dei tanti libri che ha letto, delle esperienze maturate, dei convincimenti raggiunti, delle conoscenze accumulate, delle scoperte effettuate: soprattutto ha voluto fornire una dimostrazione della efficienza delle tante teorie sul romanzo, inteso come arte della combinazione, che formalisti russi, strutturalisti, neoavanguardisti, barthesiani ecc., hanno elaborato negli ultimi cinquanta anni. (Il piacere del romanzo, in Saggi su Il nome della rosa, p. 66)
In questo contesto bisogna anche menzionare le teorie sul romanzo "postmoderno".
   Ma insistiamo ancora una volta a formulare la domanda iniziale: "A che serve il nostro lavoro?" Ecco un altro approccio alla risposta: dato che tutto il lavoro parte da confronti sistematici con altre opere (La Divina Commedia e Le Troiane) e per questo è da considerare un lavoro che rientra anche nel campo della letteratura comparata, non ci pare fuori luogo allegare qualche opinione che vale generalmente per questo campo:
La littérature comparée est l’art méthodique, par la recherche de liens d’analogie, de parenté et d’influence, de rapprocher la littérature des autres domaines de l’expression ou de la connaissance, ou bien les faits et les textes littéraires entre eux, distants ou non dans le temps ou dans l’espace ... afin de mieux les décrire, les comprendre et les goûter. (Pichois & Rousseau, La littérature comparée, II ed., Paris 1967, p. 174)
2b.  Seconda domanda
Quali argomenti ci sono per giudicare in modo positivo – o negativo – la nostra analisi? Dato che l’analisi presa nella sua totalità è da considerare come piuttosto inconsueta, ci immaginiamo bene che tanti saranno quelli che la leggeranno con una grande diffidenza iniziale quasi a priori. Per questo riteniamo sia bene elencare già qui gli argomenti principali che, secondo noi, aiuteranno a corroborare la verosimiglianza dei risultati raggiunti. Diciamo verosimiglianza perché, come ben si sa, è naturalmente impossibile provare se essi siano veri o no. Dobbiamo certo anche escludere che Eco stesso dica qualcosa in merito dato il suo chiaro desiderio di astenersi dal fare esplicitamente ogni concessione del tipo "lei ha ragione, ho voluto creare il libro appunto a partire da ciò che suggerisce Lei".(6) In questo senso è evidente che tutta l’analisi va considerata una proposta interpretativa (basata su un’ipotesi iniziale) del romanzo di Eco, una proposta che anche se complessa, è retta da una coerenza interna.
   Gli argomenti positivi principali sono i seguenti:

i)  Il numero delle coincidenze strutturali trovate (Il nome della rosa/La Divina Commedia + Il nome della rosa/Le Troiane) è, a nostro parere, piuttosto elevato. Per quanto riguarda le coincidenze presentate in questa Prima parte dello studio, esse costituiscono la base per la formazione di complessivamente 19 elementi omologhi di cui ciascuno è composto da tre, quattro, cinque o molto più coincidenze singole più o meno complesse o perfette. (Le coincidenze che portano a formare la struttura omologa Il nome della rosa/Le Troiane sono quasi dello stesso numero (17) di quelle fra Il nome della rosa e La Divina Commedia, ma hanno una distribuzione diversa: nella struttura omologa Il nome della rosa/La Divina Commedia dominano le coincidenze intorno ai personaggi e agli eventi, mentre delle coincidenze fra Il nome della rosa e Le Troiane sì e no una metà riguarda le vicende descritte dai testi e l’altra il teatro delle stesse vicende.(7))
   Intendiamo dire che se avessimo trovato solo cinque o dieci coincidenze singole, anche quanto mai perfette, ciò sarebbe stato forse interessante ma non avrebbe certamente dato qualcosa di più sostanziale alla comprensione dei sottofondi latenti del romanzo; tanto più che con un numero troppo ristretto di coincidenze sarebbe stato difficile costruire, o ricostruire, un sistema strutturale con tale coerenza interna che normalmente si richieda da un sistema di qualche complessità. E ricordiamo pure che le coincidenze trovate nella nostra analisi sono tutte inserite proprio in un grande sistema coerente.
   Per quadri generali dei 19 + 17 elementi che compongono le due strutture omologhe definite rimandiamo rispettivamente a I-2.3, sez. 1, e II-2.3, sez. 1. Per una visione di tutto il sistema strutturale, considerato da differenti punti di vista, può essere utile consultare anche le tabelle XI - XIV.

ii)  Nella serie degli elementi omologhi figurano anche personaggi o oggetti di primo rango: sempre in riferimento ai risultati di questa Prima parte dell’analisi, si troveranno durante l’iter analitico personaggi chiave come Guglielmo, Adso, la ragazza, i monaci morti, ecc.; oggetti importanti quali la biblioteca dell’Edificio, l’Edificio stesso, la porta d’ingresso dell’abbazia, il timpano della chiesa, ecc. Anche partendo dalla Divina Commedia si troveranno persone ed oggetti di primo piano che si legano attraverso ben definite corrispondenze al Nome della rosa: Dante, Virgilio, Beatrice (attraverso un episodio nella Vita nuova), Lucifero, Dio, ecc.; varie parti importanti dell’Inferno, la Galleria sotterranea che conduce al Monte Purgatrio, la Valletta dei principi, il Monte Purgatorio stesso incluso il Paradiso Terrestre, e così via. Per una lista più completa, rimandiamo a I-2.3, sez. 3. Per le corrispondenti liste del Nome della rosa/Le Troiane si veda invece II-2.3, sez. 3. Si raccomanda pure di consultare gli elenchi analitici (in appendice) per avere una rassegna globale delle scene, dei personaggi, delle costruzioni, degli oggetti ecc. che figurano in un modo o l’altro nell’analisi presa nella sua totalità.

iii)  Tutti gli elementi omologhi sono strutturati secondo coerenti ritmi temporali. Per la struttura omologa Il nome della rosa/La Divina Commedia basta consultare l’analisi stessa: sette giorni più ciò che accadde prima e ciò che accadde dopo. Nella struttura omologa Il nome della rosa/Le Troiane il ritmo è costituito da sette unità di tempo le quali nel Nome della rosa corrispondono ai sette giorni del racconto, e nelle Troiane al prologo (con Atena e Poseidone) più sei "atti", per la cui definizione il coro ha una parte prominente. Per le sette unità delle Troiane, si veda del resto tabella IX.

iv)  Anche le trombe apocalittiche, che sappiamo hanno tanta importanza per condizionare le vicende del libro, trovano il loro posto nell’ambito del sistema, e non ci riferiamo soltanto alle prime cinque trombe i cui rispettivi squilli sono stati identificati direttamente da Guglielmo, ma pure alle due trombe restanti della serie, quelle che per ragioni di tipo horror vacui dovevano suonare dopo la morte di Malachia; vedi digressione XVI dove c’è una rassegna di tutte le trombe.

v)  Tutta l’analisi parte da due opere letterarie che non soltanto conciliano l’opposizione eterna fra commedia e tragedia, ma rappresentano anche degli esempi evidentissimi di questi generi di dramma; anzi, queste due opere si possono annoverare fra le più eminenti dei loro generi (rimandiamo alla digressione I): in questo senso si tratterebbe di una soluzione simmetrica e perciò assai soddisfacente ad un’estetica basata sull’armonia, come è quella del Medioevo che sappiamo piace tanto a Eco; si pensi ad es. ai suoi studi Arte e bellezza nell’estetica medievale e Il problema estetico in Tommaso d’Aquino.
   Anche il ricorrente motivo degli specchi, che comporta riflessioni sui rispecchiamenti e sulla possibilità di far coesistere una forma e la sua immagine inversa, sembra armonizzare bene con la combinazione della commedia e della tragedia dietro le vicende dell’abbazia; si ricordino per es. gli specchi della biblioteca che danno origine non solo ad una grande confusione nell’anima di Adso ma pure a una serie di considerazioni asciutte da parte di Guglielmo: "altri [specchi] fanno apparire le immagini rovesciate ... Altri ancora ... fanno di un nano un gigante o di un gigante un nano" (Nome, p. 176). Né si dimentichi il metodo quanto mai proficuo di rispecchiare una pianta per arrivare a una sua versione inversa, ossia vista "dal di sotto", metodo che abbiamo usato nel processo per creare una pianta con cui correlare la pianta dell’abbazia (si veda in particolare II-2.2.2.1).
   Un altro motivo che nel Nome della rosa occupa una non trascurabile parte e il cui inserimento nel libro sembra essere ben spiegabile anche alla luce dell’opposizione fra commedia e tragedia, è quello del riso. Ci riferiamo a certi concetti che Eco stesso esprime nel saggio "Pirandello ridens" in Sugli specchi e altri saggi (III ed., Milano 1990). Ragionando sull’umorismo e il lato comico nelle opere e nel pensiero di Pirandello, arriva fra l’altro a questa conclusione che varrebbe generalmente per un artista del comico: "si può anche sorridere, ma le ragioni per cui si sorride sono le stesse per cui si piange. Perché l’umorismo ci rivela che la vita è fatta così, senza fornircene le ragioni. Dunque il comico e l’umoristico non esistono, o se esistono sono lo stesso del tragico" (p. 270). E continua un po’ più sotto nel testo: "Tutto il saggio di Pirandello [esaminato da Eco] ha come unico scopo (inconscio e contraddittorio) quello di dimostrare che l’unico animale che sa ridere è proprio quello che ... non ha nessuna ragione di ridere. O meglio, che ride proprio e solo per ragioni assai tristi" (ibid.).
   In questo senso, dunque, il riso s’inserirebbe nel Nome della rosa come un’eco rovesciata, o rispecchiamento, della matrice sottostante della tragedia.(8) (Per il riso, vedi del resto anche I-1.2, sez. 2.3.)

vi)  In base alle strutture omologhe, sia quella definita in questa Prima parte degli studi (traccia della commedia) che quella della Seconda parte (traccia della tragedia), si arriva nella Terza parte (sintesi delle due tracce opposte) a disegnare un grande sistema strutturale dove tutti i pezzi analitici s’inseriscono in modo coerente, e che sfocia ultimamente nel concetto del Caos inteso come una sorgente di tutte le contrarietà: la discordia concors ossia coincidentia oppositorum.
   E allo stesso Caos si allude qua e là nel Nome della rosa:

il mondo intero cammina sulla testa ... gli uccelli si lanciano prima di aver preso il volo ... Catone frequenta i lupanari, Lucrezio diventa femina. Tutto è sviato dal proprio cammino. (p. 23)

Io mi ricordai di alcuni versi che avevo udito nel vernacolo delle mie terre e non potei trattenermi dal pronunciarli:
   Aller Wunder si geswigen
   das herde himel hât überstigen,
   daz sult ir vür ein Wunder wigen.
E Malachia continuò, citando dallo stesso testo:
   Erd ob un himel unter
   das sult ir hân besunder
   Vür aller Wunder ein Wunder. (p. 86)

Ma come ti ho detto, bisogna immaginare tutti gli ordini possibili, e tutti i disordini. (p. 420)

Ardii, per la prima e l’ultima volta in vita mia, una conclusione teologica: "Ma come può esistere un essere necessario totalmente intessuto di possibile? Che differenza c’è allora tra Dio e il caos primigenio?" (p. 496)

Tra poco mi ricongiungerò col mio principio ... Sprofonderò nella tenebra divina ... e in questo sprofondarsi andrà perduta ogni eguaglianza e ogni disugaglianza (p. 503); ecc.

Né bisogna dimenticare che il concetto della conciliazione degli opposti figura anche in altri luoghi della produzione di Eco, indizio che per lui tale concetto è di non poca importanza. Si pensi per es. al cap. "La ’coincidentia oppositorum’" delle Poetiche di Joyce (II ed., Milano 1989)(9); al cap. "La contraddizione e il segreto" del saggio "Due modelli d’interpretazioni" nei Limiti dell’interpretazione; a diversi luoghi sparsi qua e là nel testo inedito Aspetti della semiosi ermetica curato dall’Eco e scritto da lui per la massima parte (vedi ad es. p. 182: "L’iniziato ritiene che tutte le contraddizioni si compongano nella coincidenza ermetica degli opposti."); ecc. (Vedi anche III-1, sez. 2e.)
   Può anche essere utile ricordare quanto David Robey dice intorno alla coesistenza di "order and disorder" nella "Note to the 1989 Edition" della traduzione inglese delle Poetiche di Joyce (London 1989), la quale sintomaticamente ha avuto il titolo The Middle Ages of James Joyce; The Aestetics of Chaosmos:
There is, too, an engagingly personal aspect to Eco’s discussion of Joyce. Not only does Joyce’s evolution, from Catholic, Thomist interests to a disordered vision of life, mirror Eco’s; the coexistence of models of order and disorder that Eco finds in Ulysses has also characterized most of his own work, including The Name of the Rose, which so strikingly juxtaposes the harmonious, rational medieval intellectual system with the worldview expressed by William of Baskerville: a distinctively modern sense of chaos and crisis. (pp. vii-viii)
Per un’analisi più sistematica del concetto del Caos e come vi si arrivi attraverso le tappe strutturali a cui abbiamo accennato più sopra, si rimanda ancora una volta a III-1.

vii)  Come argomento positivo di lieve peso ma comunque interessante mettiamo infine in evidenza che con l’analisi presentata è possibile definire questa curiosa trilogia intorno alla voce "commedia":

–  è la Commedia di Aristotele (il secondo libro della sua Poetica) che nel romanzo occupa tanta parte per lo sviluppo delle vicende: è questa che provoca la maggior parte delle sciagure (morti "apocalittiche" e catastrofe finale); ed è pure questa che sta al centro delle indagini di Guglielmo;

–  come un sottofondo strutturale della trama del romanzo si trova la Commedia di Dante (ci riferiamo a questa Prima parte del lavoro);

–  nella nostra analisi si vedrà che la stessa trama, considerata nel suo insieme, segue la matrice della commedia come essa è definita da Dante stesso (vedi in particolare I-3).

Dopo questa lista di argomenti positivi (i-vii) pensiamo sia giusto indicare anche qualche punto che forse potrà mettere in dubbio l’analisi. Ma ci limitiamo ad allegare il seguente, che tuttavia ha una pertinenza veramente centrale per tutto il lavoro: Come possiamo sapere che il sistema di coincidenze non sia arbitrario? Può darsi infatti – diranno non pochi – che, essendo i testi di partenza, in primo luogo quelli del Nome della rosa e della Divina Commedia ma anche quello delle Troiane, così ricchi di particolari, non dovesse essere compito difficile trovare, con l’aiuto di un po’ di fantasia, ogni tipo di corrispondenza o coincidenza. A questo rispondiamo, riferendoci parzialmente a quanto abbiamo già detto, che se le coincidenze trovate fossero state di numero ristretto e anche tali da non poter formare se non un debole sistema strutturale, allora avremmo ammesso di certo l’arbitrarietà delle trovate; ma dato che la mole delle coincidenze effettivamente reperite è piuttosto grande, che nel loro insieme esse formano un grande sistema coerente, che questo sistema a sua volta può essere usato come parte costituente per la formazione di un sistema simmetrico di ancora più grandi dimensioni, che l’ultima tappa di quest’ultimo sistema riguarda concetti che Eco stesso considera molto centrali per la tematica di tutto il libro (vedi sempre III-1, sez. 2e), che tutta l’analisi si basa in gran parte su metodi descritti da lui stesso (I-1.4, sez. 4), non riteniamo che sia valido l’argomento dell’arbitrarietà del sistema delle coincidenze trovate.
   Ma bisogna pure ammettere che fra tante coincidenze, di cui molte hanno un carattere abbastanza peculiare (cfr. quanto diciamo in I-1.4, sez. 2), è naturalmente difficile, se non addirittura impossibile, sapere se ognuna di esse sia veramente stata creata intenzionalmente dalla mano dell’autore, e nella forma in cui sono presentate qui. Questo è certo un dilemma. Per uscirne tuttavia – l’alternativa sarebbe quella di tacere sulla maggior parte delle coincidenze trovate – mettiamo in rilievo ancora una volta che la nostra è in primo luogo un’interpretazione del testo del Nome della rosa (intentio operis), non delle intenzioni, sempre sfuggevoli ed intricate, dell’autore del romanzo (intentio auctoris). Se allora il testo dà luogo a reperire una coincidenza, per quanto peculiare sia, che sia consona a un sistema di altre coincidenze in modo da sviluppare o corroborare lo stesso sistema, non rischeremo mai di sbagliare metodologicamente, purché, s’intende, l’analisi che porta a stabilire la coincidenza non sia erronea. Ma va naturalmente da sé che le coincidenze trovate e di cui si rende conto in questo lavoro, sono state tutte giudicate da noi come create intenzionalmente – o almeno sanzionate (un testo letterario può anche essere in qualche misura autoproduttivo(10)) – dall’autore del romanzo; e se non corrispondessero esattamente alle forme concettuali primitive che ci immaginiamo siano state volute dall’autore (troppo poca o troppo grande precisione o altre deviazioni del genere), possiamo sempre affermare che è il testo ad aprire la via. Ma nello stesso tempo sottolineiamo che è stata la nostra ipotesi di base sulla strategia testuale dell’autore a delimitare il campo delle coincidenze possibili e a dirigere il lavoro di ricerca.
   Affidandoci così fedelmente al testo stesso riusciremo anche ad evitare un altro problema: può darsi infatti che l’autore abbia voluto creare una ben precisa coincidenza la quale però, durante la stesura del testo effettivo, si vesta in altra forma che non in quella ideata originariamente; in questo caso, quale sarebbe l’intenzione dell’autore? Anche qui possiamo dunque riferirci al testo, trascurando volutamente ogni tentativo di fissare le forme esatte del pensiero dell’autore. Il testo è lì, come Eco stesso dice (I limiti dell’interpretazione, p. 118), e sarà il testo a formare l’oggetto principale dell’esame.
   Lo stesso varrebbe in via di principio anche nel caso ipotetico, ma non inverosimile, in cui nella mente dell’autore ci sia stata dall’inizio una forse soltanto vaga o diffusa idea di creare una coincidenza o anche serie di coincidenze che poi, nella stesura del testo, abbiano ricevuto una ben precisa forma da una mano diretta piuttosto dal subconscio dell’autore: un caso insomma di creatività intuitiva. Anche per tale tipo di coincidenze si potrebbe dire che è il testo a permetterne la definizione.

2c.  Terza domanda
Ci sono anche altri sistemi strutturali sottostanti come quelli della "Divina Commedia" e delle "Troiane"? Può darsi. Elena Costiucovich, traduttrice del Nome della rosa in russo, ha suggerito una interpretazione del romanzo secondo una matrice de La rose de Bratislave di Emile Henriot, in cui figura il manoscritto autografo delle Memorie di Casanova (vedi Costiucovich, La semiosi illimitata come base esistenziale della cultura, in Saggi su Il nome della rosa, pp. 82-83). Ma anche se lei nella sua analisi ha trovato qualche coincidenza abbastanza bella, la sua non conduce a formare nessun sistema coerente. Nei Limiti dell’interpretazione (cap. "L’autore e i suoi interpreti. Un test in corpore vili") Eco stesso discute l’ipotesi della Costiucovich. Dopo aver esaminato la sua teoria su alcuni punti centrali, conclude: "Cercare la ’Casanova connection’ non conduce in alcun luogo. ... Ovviamente, sono pronto a cambiare idea se qualche altro interprete dimostrerà che il collegamento con Casanova può portare a qualche percorso interpretativo interessante" (p. 117).
   L’esempio di Costiucovich appartiene a una categoria di analogie che Giovannoli chiama analogie tra strutture globali (Saggi su Il nome della rosa, p. 14). E di tali analogie ci sono più esempi. Giovannoli ne registra fra gli altri questi: l’Apocalisse, la Genesi, diversi romanzi di Agatha Christie, Se una notte d’inverno un viaggiatore di Calvino, Il mastino dei Baskerville di Conan Doyle, La montagna incantata di Thomas Mann, Todo modo di Sciascia, L’isola dei penguini di Anatole France, Il monastero stregato di Robert van Gulik (ibid., pp. 14 sgg.). Tuttavia, a parte la serie delle trombe apocalittiche (che ci hanno aiutato nell’analisi della traccia della commedia), non pare che queste opere costituiscano la base per una rete interpretativa di maggior consistenza. Ma rappresentano sempre casi intertestuali interessanti.

3.  Un’interpretazione che parte da un’ipotesi
Riassumendo quanto abbiamo detto finora, tutta la nostra analisi è da considerare una proposta come interpretare Il nome della rosa per arrivare in modo sistematico a un suo senso anagogico, cioè al vuoto e al Nulla. L’interpretazione parte dall’ipotesi che l’autore abbia strutturato il suo romanzo su due sottofondi: quello della Divina Commedia di Dante e quello delle Troiane di Euripide. Per la creazione dell’interpretazione siamo ricorsi fra l’altro alle idee di Eco stesso sull’analisi strutturale e sul modo ermetico di leggere il mondo. Una parte fondamentale dell’analisi è costituita da un confronto sistematico con le opere citate di Dante e di Euripide, per cui la proposta interpretazione rientra non solo nel campo dell’ermeneutica ma anche in quello della letteratura comparata.
   Presentando questa interpretazione non intendiamo dire che altre vie per arrivare alla stessa fine siano escluse.

4.  Mancanza di altri studi che si basino sulle stesse idee del presente lavoro
Vorremmo infine porre in evidenza che, a parte il nostro articolo L’eco di Dante ne Il nome della rosa dell’Eco – una struttura presente (in Actes du Xe Congrès des romanistes scandinaves, a c. di L. Lindvall, Lund 1990, pp. 100-114), non abbiamo trovato (fino al ’94, anno della nostra tesi) nessuno studio, articolo o altro, in cui si analizzasse questo primo grande romanzo di Eco da punti di vista che coincidevano con quelli del presente studio (rimandiamo a I-1.2, sez. 3b, per un rendiconto esplicito dei nostri controlli).
   Ma nello stesso tempo dobbiamo naturalmente anche concedere che tanti sono i ricercatori che hanno osservato qualche traccia isolata anche della Divina Commedia. Ci riferiamo in primo luogo al verso dantesco "e caddi come corpo morto cade" del canto V dell’Inferno, verso che echeggia quasi parola per parola dietro il ben noto grido di Adso, emesso quando lui si desta nel cuore della notte dopo l’incontro con la ragazza: "Lanciai un urlo e caddi come cade un corpo morto" (Nome, p. 253). Questo perfetto caso d’intertestualità è registrato da Aase Lagoni Danstrup, da Costantino Marmo e da molti altri. Ma si sono notati anche più punti di contatto con la Commedia di Dante (vedi I-1.2, sez. 3a). Però, non si mettono mai queste osservazioni isolate in sistema. Trovare poi nella letteratura critica delle voci sui legami sistematici fra Il nome della rosa e Le Troiane di Euripide, sarebbe compito difficile.
   In questo contesto dobbiamo pure aggiungere che ci sono naturalmente tanti altri modi di avvicinarsi al Nome della rosa, all’infuori di quello che forma la base del presente studio; intendiamo dire che altri punti di vista, altre idee, altre "chiavi", altri concetti d’origine, ecc. si sono dimostrati utili per comprendere i vari volti del libro dell’Eco. Ecco per es. quanto si scrive sulla copertina dell’edizione scolastica del Nome della rosa (Marmo-Nome):
La critica, a più riprese, si è interrogata sul perché un romanzo di notevole mole, dall’intreccio complesso e ricco di motivi storici e filosofici, sia riuscito a coinvolgere un pubblico così ampio nelle diverse aree geografiche. E lo stesso autore ha contribuito a spiegare ciò, rifacendosi alla "struttura aperta" del suo libro: che propone una vasta gamma di livelli di lettura, che vanno dal "poliziesco" al romanzo d’idee al libro di citazioni.
(Vedi anche I-1.2, sezioni 1-2.)

5.  Tre altre cose da fare prima di entrare nel lavoro effettivo
Dobbiamo cioè:
–  presentare una rassegna di come Il nome della rosa è stato trattato dalla critica: I-1.2;

–  chiarire un po’ meglio ciò che intendiamo per "struttura omologa": I-1.3;

–  rendere conto di certi concetti chiave e punti metodologici che stanno alla base di tutto il procedimento analitico che porta alla definizione della struttura omologa Nome della rosa/Divina Commedia: I-1.4. Precisiamo che gli appunti metodologici ivi presentati valgono anche per il lavoro analitico su cui si basa la definizione della struttura omologa Nome della rosa/Le Troiane.

Note

(1)  Saggi su Il nome della rosa, a cura di R. Giovannoli, Milano 1985.

(2)  Nome: Il nome della rosa, in Il nome della rosa & le Postille a "Il nome della rosa", XVIII ed., Milano 1987, pp. 5-503.

(3)  Postille: Postille a "Il nome della rosa", in Il nome della rosa & le Postille ecc., pp. 507-533.

(4)  Marmo-Nome: Il nome della rosa, introduzione e note di C. Marmo, edizione scolastica, Milano 1990.

(5)  Per la distinzione fra intentio auctoris e intentio operis, vedi anche per es. Segre, Ermeneutica e strutture storiche, in Lettere italiane, 1991, vol. 43, pp. 490-491.

(6)  Come pure si sa, Eco stesso ha già preparato qualche risposta standard a esplicite domande su determinate interpretazioni da parte dei lettori. Nel cap. "L’autore e i suoi interpreti" dei Limiti dell’interpretazione, nel quale ragiona sul modo in cui un autore modello debba comportarsi innanzi alle domande dirette degli interpreti, dice infatti così: "Escludendo il caso dell’autore perverso che si arrocchi su un cocciuto ’non ho mai pensato di dir questo, dunque la tua lettura è illecita’, rimangono due possibilità. Una, che l’autore conceda: ’Non volevo dir questo, ma devo convenire che il testo lo dice, e ringrazio il lettore che me ne ha reso consapevole.’ L’altra, che l’autore argomenti: ’Indipendentemente dal fatto che non volessi dire questo, penso che un lettore ragionevole non dovrebbe accettare una simile interpretazione, perché suona poco economico, e non mi pare che il testo la sostenga’" (p. 114). Sembra chiaro che con queste risposte ipotetiche Eco abbia ribadito ancora una volta la netta distinzione fra la possibilità di formulare delle interpretazioni più o meno fondate di un testo e l’impossibilità di descrivere con precisione tutta la gamma delle intenzioni dell’autore, cioè tutte le spinte emozionali ed intellettuali che hanno contribuito alla genesi dell’opera (concezione, maturazione, nascita). In Prelude to a Palimpsest (in Naming the rose: essays on Eco’s The name of the rose, a c. di M. Th. Inge, Jackson & London 1988, pp. xi-xv), dice del resto: "I wuold be the first to stress that the author’s intentions (intentio auctoris) have nothing to do with the intention of the text (intentio operis)" (p. xi). Anche oggi (2012) pare che Eco voglia conservare per sé stesso i misteri della sua Rosa.

(7)  Qualcuno si domanderà come sarà possibile trovare tante coincidenze fra la pianta dell’abbazia e ciò che si chiama qui teatro delle vicende delle Troiane. Dobbiamo per questo avvisare già ora che le coincidenze sono state reperite usando in primo luogo una pianta di quelle che si trovano nella seconda parte di Troy, General introduction, The first and second settlements di C.W. Blegen, J.L. Caskey, M. Rawson, J. Sperling (Princeton 1950): "Plan of Troy, adapted from W Dörpfeld ’Troja und Ilion’, Tafel III"; per arrivare alla serie di coincidenze bisogna però prima rispecchiare questa pianta e poi orientarla in modo particolare. Ma rimandiamo a II-2.2.2.1 dove si espongono in dettaglio le operazioni per arrivare alle piante (abbazia e Troia) adatte a un confronto. Abbiamo del resto presentato gran parte delle coincidenze fra l’abbazia e Troia in un articolo ("Corrispondenze topografiche fra l’abbazia ne Il nome della rosa di Umberto Eco e la vecchia città di Troia") apparso in un volume a cura del professor Lindvall presso l’Istituto di Studi romanzi di Gotemburgo (Italienska studier – Studi italiani, 1999).

(8)  In questo contesto non possiamo non osservare che Eco ha inserito nel suo libro (allo scopo conscio di far sorridere?) anche un’eco non rovesciata della tragedia. Ci riferiamo agli "atroci belati" che si odono sulla corte dell’abbazia alla fine dell’ecpirosi e provengono da pecore e capre che errano tra le fiamme: "Una parte delle pecore e delle capre, che erravano per la corte, ci passarono accanto lanciando atroci belati" (Nome, p. 496). Come si sa, la voce "tragedia" significa originariamente più o meno "canto caprino": "et dicitur [tragedia] ... a ’tragos’ quod est hircus et ’oda’ quasi ’cantus hircinus’" (Dante, Epistola XIII, par. 10). Un caso di "la tragedia è finita"? (Il testo dell’Epistola in Alighieri, Tutte le opere, a cura di L. Blaslucci, II ed., Firenze 1965, pp. 341-352.)

(9)  Per la coincidentia oppositorum di Joyce, cfr. per es. quanto Francesco Gozzi dice su Chamber Music: "In esse [nelle poesie di Chamber Music] si presenta ... più volte l’implicazione che l’inverno prelude alla primavera, il sonno al risveglio, la morte alla resurrezione, e così anche questa raccolta, come tutte le opere di Joyce, risulta basata sullo schema vita–morte–rinascita e sul tema della coincidentia oppositorum (la morte è il principio della vita e viceversa)" (Fuori del labirinto, Pisa 1987, p. 18).

(10)  Maria Corti fa questa osservazione sul processo creativo di un’opera: "Man mano che le leggi costruttive dell’opera prendono rilievo, è l’opera stessa a dettare la sua volontà all’autore" (Principi della comunicazione letteraria, II ed., Milano 1980, p. 51).

prefazioni   capitolo successivo

top