I-2.2.4

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I-2.2.4.  CIŅ CHE ACCADDE PRIMA DEI SETTE GIORNI

Il capitolo contiene un solo elemento.

ELEMENTO OMOLOGO NR/DC 5

La persona caduta

A.  OGGETTO DELL’ANALISI
Due scene in ognuna delle quali si assiste a una persona che sta immersa nel ghiaccio. Le scene appartengono ambedue agli elementi iniziali delle rispettive strutture d’origine (I-1.4, sez. 1). Definizione delle scene:
   Alcuni giorni prima dell’arrivo di Adso e Guglielmo all’abbazia, accade un tragico fatto: Adelmo(1), il giovane alluminatore, si getta nel cuore della notte dal muro fra gli stabbi e il torrione orientale dell’Edificio. Il suo corpo è poi trascinato da una frana provocata dalla tempesta della stessa notte. Il giorno dopo il corpo lacerato ed esanime è trovato sotto il detto torrione, in mezzo alla neve ghiacciata:

[Adelmo] era probabilmente precipitato durante le ore più buie della notte. Notte di grande tempesta di neve, in cui cadevano fiocchi taglienti come lame ... Fatto molle da quella neve che si era dapprima sciolta e poi indurita in lamine di ghiaccio, il suo corpo era stato trovato ai piedi dello strapiombo, dilaniato dalle rocce contro cui aveva rimbalzato. (Nome, p. 40)
Di quest’episodio isoliamo la scena in cui il corpo di Adelmo, dopo la caduta, è immerso nel ghiaccio sotto il torrione orientale.
   La morte di Adelmo rappresenta nella struttura NR la prima tromba apocalittica (per la serie delle trombe, si raccomanda di consultare digressione XVI).
   Per determinare la corrispondente scena della Divina Commedia risaliamo a un tempo che precede grandemente il cammino di Dante: arriviamo così al tempo della caduta dal cielo di Lucifero, l’angelo ribelle. Ed è in questo grande avvenimento, l’inizio della struttura DC, che si trova la scena che corrisponde a quella del Nome della rosa: è precisamente la scena, o il momento, in cui Lucifero, dopo la gran caduta, sta immerso nel ghiaccio del Cocito in fondo all’Inferno.
   Per quanto riguarda il ghiaccio del Cocito bisogna precisare che esso si è formato dopo la caduta di Lucifero: è Lucifero stesso a provocarne l’agghiacciamento. Ecco come Dante descrive le ali del capo dell’Inferno e la loro funzione: "[Le ali di Lucifero] Non avean penne, ma di vipistrello / era lor modo; e quelle svolazzava, / sì che tre venti si movean da ello: / quindi Cocito tutto s’aggelava" (Inf., XXXIV, 49-52). (Come una curiosità che può essere del tutto casuale, notiamo che anche il ghiaccio sotto il torrione orientale dell’Edificio si è formato dopo la caduta di Adelmo; cfr. la citazione "Nome, p. 40" di sopra.)

B.    ANALISI COMPARATIVA
Tempo delle scene (B1) – Descrizione dei luoghi con i corpi (B2) – Motivo della caduta (B3) – Descrizione delle persone cadute (B4) – Definizione dell’elemento omologo NR/DC 5 (C).

B1.  TEMPO DELLE SCENE
La scena NR ha luogo qualche giorno prima dell’arrivo all’abbazia di Adso e Guglielmo, cioè prima dei Sette giorni. Precisiamo che determinando il tempo della caduta di Adelmo in "qualche giorno prima dell’arrivo ecc.", ci appoggiamo alla seguente citazione dove Adso riferisce il colloquio avvenuto il Primo giorno tra Guglielmo e l’Abate sulla morte di Adelmo: "[L’Abate] Prese dunque a raccontare, con molta prudenza nella scelta delle parole e lunghe perifrasi, di un fatto singolare che era accaduto pochi giorni prima" (Nome, p. 40).
   La scena DC ha luogo, come si sa, molto tempo prima del cammino di Dante: anche questa scena accade pertanto prima dei Sette giorni.(2)

·  Le scene hanno luogo prima dei Sette giorni.

B2.  DESCRIZIONE DEI LUOGHI CON I CORPI
Posizione dei luoghi (B2.1) – Esalazioni dei luoghi (B2.2) – Gli oggetti aventi l’apparenza di fuscelli di paglia (B2.3) – Condizione atmosferica dei luoghi (B2.4).

B2.1.  POSIZIONE DEI LUOGHI
Nel torrione orientale dell’Edificio si trova, all’ultimo piano, una parte della biblioteca le cui stanze formano con le loro lettere d’identificazione il FONS ADAE (pianta II). Come già sappiamo (punto B1.1 del capitolo precedente), il Fonte di Adamo equivale al Paradiso Terrestre. E siccome il Paradiso Terrestre è situato nel torrione orientale sotto il quale si trovava il corpo lacerato di Adelmo, si conclude che la posizione di quel corpo può essere definita proprio come sotto lo stesso Paradiso.
   Precisando ancora di più tale posizione possiamo constatare che il posto del corpo di Adelmo era proprio in fondo ad un abisso. Infatti, nel descrivere il luogo dove si è precipitato il giovane monaco, Adso usa appunto il nome di "abisso". Adso scrive: "A causa dei molti rimbalzi che il corpo aveva subito precipitando, non era facile dire da qual punto esatto fosse caduto: certamente da una delle finestre che si aprivano per tre ordini di piani sui tre lati del torrione esposti verso l’abisso" (Nome, p. 40). Adso continua un po’ più avanti nel testo riferendo la discussione avvenuta tra Guglielmo e l’Abate sui particolari oscuri della morte dell’infelice e in cui Guglielmo fa uso della stessa parola: "E voi vi chiedete chi possa averlo, non dico spinto nell’abisso, ma issato nolente sino al davanzale" (ibid., p. 41). Da queste due citazioni si conclude che il luogo sotto il torrione orientale dove fu trovato il corpo di Adelmo, aveva carattere di abisso.
   Del lago Cocito, il luogo ghiacciato in cui si trova Lucifero, si sa che è situato sotto il Paradiso Terrestre. Per verificarlo basta guardare praticamente qualsiasi pianta illustrativa del mondo dantesco, per es. pianta III. Lì vediamo (ancora una volta) che il Paradiso Terrestre si trova all’ultimo piano del monte del Purgatorio (pianta VII) e che questo monte si alza, più o meno con la forma del cono dell’Inferno, in mezzo al mare dell’emisfero australe (pianta III); e in fondo all’Inferno, e più precisamente, nel punto centrale della Terra (pianta IV) sta Lucifero nella sua fredda caverna. Rispetto al Paradiso Terrestre, Lucifero si trova quindi proprio al di sotto.
   Ma quanto "al di sotto"? Ricordiamo che abbiamo già precisato il posto di Lucifero, cioè in fondo all’Inferno. E per quanto riguarda l’Inferno, è naturalmente possibile caratterizzarlo in molti modi, ma in questo contesto è utile ricorrere alle parole di Dante stesso il quale lo caratterizza proprio come un abisso. Ecco quanto dice quando lui e Virgilio, dopo aver attraversato il corpo del Diavolo, stanno finalmente per lasciare l’Inferno: "’Prima ch’io dell’abisso mi divella, / maestro mio,’ diss’io quando fui dritto, / ’a trarmi d’erro un poco mi favella’" (Inf., XXXIV, 100-102); cfr. pure le parole di Dante sulla proda dell’Inferno, nel canto IV dell’Inferno: "Vero è che ’n su la proda mi trovai / della valle d’abisso dolorosa" (vv. 7-8).
   Insomma, la posizione di Lucifero è in fondo all’Inferno, cioè in fondo ad un abisso.

·  Il luogo dove si trovano le persone cadute è situato in fondo ad un abisso, sotto il Paradiso Terrestre dei rispettivi Territori.

B2.2.  ESALAZIONI DEI LUOGHI
Il luogo dove si trova Adelmo è un luogo puzzolente. Lo sappiamo per il fatto che il corpo viene a trovarsi, dopo la frana, sotto il torrione orientale in mezzo al letame. Si tratta dello strame che si getta dall’abbazia e di cui parte, la notte funesta, è scivolata sotto il torrione insieme al corpo del monaco. E per la qualità odorosa di questo strame, ascoltiamo Adso che ci racconta: "Dico strame, perché si trattava di una gran frana di materia puteolente, il cui odore arrivava sino al parapetto da cui mi affacciavo; evidentemente i contadini venivano ad attingervi dal basso onde usarne per i campi" (Nome, p. 93). Lo strame era quindi la solita miscela di paglia e sterco. (A questa miscela ritorneremo ancora una volta: vedi punto B2.3 qui sotto).
   Il Cocito, il luogo dove è immerso Lucifero, si trova in fondo al pozzo dell’Inferno, e di tutta questa "cisterna" sappiamo che emana cattivo odore, ciò che si capisce da queste parole di Dante quando sta sulla ripa dell’abisso: "e quivi per l’orribile soperchio / del puzzo che ’l profondo abisso gitta, / ci raccostammo, in dietro, ad un coperchio / d’un grand’avello" (Inf., XI, 4-7). Insomma, anche il Cocito, dove si trova Lucifero, è un luogo puzzolente.(3)

·  I luoghi sono puzzolenti.

B2.3.  GLI OGGETTI AVENTI L’APPARENZA DI FUSCELLI DI PAGLIA
Sul luogo dove fu ritrovato il corpo morto di Adelmo esiste, come abbiamo visto nel punto precedente, una certa quantità di materia puzzolente, e nello stesso punto abbiamo pure visto (citazione "Nome, p. 93") che questa materia era composta da strame ("Dico strame, perché si trattava di una gran frana di materia puteolente, il cui odore ecc."). Esaminando più da vicino la qualità dello strame espulso arriviamo a concludere che essendo questo mescolato con sterco – la materia veniva infatti usata dai contadini come concime per i campi (ibid.) – doveva con ogni probabilità trattarsi di uno strame di paglia usato per lettiera del bestiame; e della paglia in genere possiamo dire che consiste di per sé di una certa quantità di fuscelli. (Che all’abbazia non ci fosse penuria di paglia, si capisce fra l’altro da come Adso descrive la cella di Guglielmo in cui doveva dormire la prima notte: "Per quella notte avrei potuto dormire in una vasta e lunga nicchia che si apriva nella parete della cella, su cui [il cellario] aveva fatto disporre della buona paglia fresca" (Nome, p. 35).)
   Se Dante, nel luogo in cui si trova Lucifero, non rinviene propriamente dei fuscelli di paglia, vi reperisce almeno degli oggetti (anime) che appaiono come fuscelli; cfr. queste parole di Dante in cui descrive il ghiaccio del Cocito e come esso fosse pieno di anime dannate: "Già era [io], e con paura il metto in metro, / là dove l’ombre tutte eran coperte, / e trasparìen come festuca in vetro" (Inf., XXXIV, 10-12).

·  Nei luoghi ci sono degli oggetti che hanno l’apparenza di fuscelli di paglia.

B2.4.  CONDIZIONE ATMOSFERICA DEI LUOGHI
La notte della caduta di Adelmo viene descritta così da Adso: "[Era una] Notte di grande tempesta di neve, in cui cadevano fiocchi taglienti come lame, che sembravano grandine, spinti da un austro che soffiava impetuoso" (Nome, p. 40). Concentrandoci sul vento della tempesta, ricaviamo dalla descrizione che si trattava di un vento che era sia forte ("soffiava impetuoso") che gelido (i suoi fiocchi erano "taglienti come lame").
   Nel definire le fattezze di Lucifero, Dante ci dà tra l’altro questa viva descrizione: "Sotto ciascuna [delle sue tre facce] uscivan due grand’ali, / quanto si convenìa a tanto uccello: / vele di mar non vid’io mai cotali. / Non avean penne, ma di vipistrello era lor modo" (Inf., XXXIV, 46-50). Dante continua il racconto descrivendo ciò che il Diavolo stava facendo con quelle sue ali "di vipistrello": "e quelle svolazzava, / sì che tre venti si movean da ello" (vv. 50-51). E l’effetto dello "svolazzare" è descritto nel verso seguente: "quindi Cocito tutto s’aggelava" (v. 52). Insomma, il luogo dove si trovava Lucifero era un luogo dove spirava un vento assai gelido.
   Se vogliamo poi sapere l’intensità del vento, può essere utile ricorrere ai seguenti versi in cui Dante descrive come doveva cercar riparo dietro a Virgilio proprio a causa di tale vento, che quindi doveva essere forte: "Come quando una grossa nebbia spira, / o quando l’emisperio nostro annotta, / par di lungi un molin che ’l vento gira, / veder mi parve un tal dificio [Lucifero] allotta; / poi per lo vento mi ristrinsi retro al duca mio" (ibid., vv. 4-9).
   Da tutti questi passi si deduce che nel luogo dove si trovava Lucifero, il Cocito, spirava un vento che era sia gelido che forte.

·  Nei luoghi spira un vento gelido e forte.

B3.  MOTIVO DELLA CADUTA
Di Adelmo sappiamo che si è gettato dal muro in un eccesso di autopunizione per i suoi peccati di superbia. Ascoltiamo infatti queste disperate parole che rivolge a Berengario, la notte, non molto prima del salto disperato dal muro: "Sono dannato!"; "Tal quale mi vedi hai di fronte a te un reduce dall’inferno e all’inferno bisogna che torni"; "E questa pena mi è stata data dalla divina giustizia per la mia vanagloria" (Nome, p. 123). Poco dopo si getta dal muro. Quanto alla superbia di Adelmo, prima della sua caduta, ne era testimone anche Ubertino di Casale: "C’era qualcosa di... di femminile, e dunque di diabolico in quel giovane che è morto ... Ma ti ho detto anche la superbia, la superbia della mente, in questo monastero consacrato all’orgoglio della parola, alla illusione della sapienza... " (ibid., p. 68).
   Dalla lettura della Bibbia sappiamo che Lucifero fu cacciato dai Cieli da Dio per punizione della sua superbia; cfr. anche la seguente terzina di Beatrice nel Primo Mobile del Paradiso: "Principio del cader fu il maladetto / superbir di colui che tu vedesti / da tutti i pesi del mondo costretto" (Par., XXIX, 55-57). (Per "colui ecc." s’intende qui Lucifero.)

·  Le persone interessate sono cadute per punizione dei peccati di superbia.

B4.  DESCRIZIONE DELLE PERSONE CADUTE
L’aspetto delle persone, prima e dopo la caduta (B4.1) – Lato diabolico e lato femminile nelle persone cadute (B4.2) – Il peso del mondo (B4.3) – Le gocce cocenti (B4.4) – Le persone come portatori di luce (B4.5) – Il domicilio (B4.6).

B4.1.  L’ASPETTO DELLE PERSONE, PRIMA E DOPO LA CADUTA
Della persona di Adelmo sappiamo non soltanto che era un monaco giovane; sappiamo pure che era molto avvenente. Leggiamo quanto Adso e Guglielmo vennero a sapere da Bencio, il monaco svedese, nella loro discussione con lui circa la vita morale dell’abbazia: "Dunque da tempo i monaci ironizzavano sugli sguardi teneri che Berengario lanciava ad Adelmo, che pare fosse di grande avvenenza" (Nome, p. 143). Però, questa sua avvenenza Adelmo l’aveva solo prima della caduta tra le rocce e della successiva frana; dopo egli doveva presentare un aspetto piuttosto sconvolgente. E di questo fatto abbiamo almeno due indizi. Eccone il primo:
   Adso ci riferisce la descrizione della morte del giovane monaco, a cui Guglielmo giunge per mezzo della logica:

E allora pensa se non sia più... come dire?... meno dispendioso per la nostra mente pensare che Adelmo, per ragioni ancora da appurare, si sia gettato sponte sua dal parapetto del muro, sia rimbalzato sulle rocce e, morto o ferito che fosse, sia precipitato nello strame. Poi la frana, dovuta all’uragano di quella sera, ha fatto scivolare e lo strame e parte del terreno e il corpo del poveretto sotto il torrione orientale. (p. 99)
Il secondo indizio è la testimonianza dell’Abate sullo stato del corpo di Adelmo, riferita nella sua conversazione con Guglielmo, il Primo giorno: "il suo corpo era stato trovato ai piedi dello strapiombo, dilaniato dalle rocce contro cui aveva rimbalzato. ... A causa dei molti rimbalzi che il corpo aveva subito precipitando, non era facile dire ..." (p. 40). Quest’ultima testimonianza dello stato miserabile del corpo di Adelmo viene anche ricordata più tardi da Guglielmo: "Quanto al cadavere di Adelmo, l’Abate ci ha detto che era lacerato dalle rocce" (p. 99).
   Alle testimonianze sul corpo dilaniato di Adelmo dobbiamo aggiungere che parlando di corpo s’intendono naturalmente anche testa e faccia; sarebbe infatti difficile pensare che nei rimbalzi del suo corpo sulle rocce fosse rimasta intoccata in qualche strano modo la parte superiore del corpo.
   Nel descrivere l’aspetto di Lucifero Dante si esprime in modo chiaro: "S’el fu sì bello com’elli è or brutto, / e contra ’l suo fattore alzò le ciglia, / ben dee da lui procedere ogni lutto" (Inf., XXXIV, 34-36). Lui era cioè bello prima della caduta, e brutto dopo. Per ribadire ancora la bellezza di Lucifero prima della caduta, si può allegare anche questa testimonianza inserita nel testo dantesco alcune terzine prima della citazione precedente: "Quando noi fummo fatti tanto avante, / ch’al mio maestro piacque di mostrarmi / la creatura ch’ebbe il bel sembiante" (vv. 16-18). Altre testimonianze della bruttezza di Lucifero dopo la caduta non sono sicuramente necessarie.(4)

·  Ambedue le persone erano belle prima della caduta; dopo presentavano un brutto aspetto.

B4.2.  LATO DIABOLICO E LATO FEMMINILE NELLE PERSONE CADUTE
La personalità di Adelmo era assai complicata. Tra i lati della sua persona, quale la conosciamo noi, si possono definire almeno questi due: lato diabolico e lato femminile. Per tali aspetti rimandiamo alla già citata testimonianza di Ubertino di Casale: "C’era qualcosa di... di femminile, e dunque di diabolico in quel giovane che è morto" (Nome, p. 68). A parte questa citazione sul lato diabolico di Adelmo, si può aggiungere che anche la sua superbia della mente (punto B3) rientra bene nel quadro diabolico, perché questa superbia era l’espressione di una voglia di sapere sempre di più allo scopo di sentirsi o apparire migliore di quello che era in realtà (il nucleo della superbia); e la sapienza che ne risultava non era soltanto l’illusione di una vera sapienza, ma anche una sapienza diabolica, almeno se ci atteniamo alla definizione che ci fornisce San Tommaso della sapienza indirizzata a raggiungere qualcosa di più eccellente dello stesso portatore della sapienza (non perfetta): "Unde si [colui che vuole sapere] praestituat sibi finem ... in aliqua excellentia [sopra il livello giusto], vocatur sapientia diabolica, propter imitationem superbiae diaboli" (Summa II-II, q. 45, a. 1, ad 1).
   Guardiamo adesso a Lucifero. Di lui possiamo senz’altro dire che è un po’ complicato... Se vogliamo tuttavia definire qualche lato della sua personalità, ce n’è almeno uno che si presenta, per così dire, automaticamente: il suo lato diabolico. Per questo suo lato non occorrono ulteriori giustificazioni.
   Ma sul conto di lui è anche possibile definire altri lati, fra cui si trova uno che si può definirsi addirittura "femminile". Però, per giustificarlo occorre ragionare per tappe.
   Per prima cosa alleghiamo una citazione dalla Vita nuova di Dante: "... con ciò sia cosa che li nomi seguitino le nominate cose, sì come è scritto: ’Nomina sunt consequentia rerum’" (cap. XIII).(5) Con queste parole Dante vuole esprimere il concetto che i nomi delle cose sono perfettamente idonei ai portatori degli stessi nomi. Lo fa commentando la dolcezza che sente nel nome di Amore (ibid.). In base a quest’affermazione – che prendiamo qui come un dictum auctoritatis e da cui parte il ragionamento che segue – sarà quindi lecito, se vogliamo identificare i lati della personalità di Lucifero, fare un esame anche del suo nome. E in questo nome troviamo nascosto un lato interessante: il nome "Lucifero" sta infatti ad indicare non soltanto il capo dei demoni ma anche il pianeta Venere (vedi per es. Il Nuovo Zingarelli); e come ben si sa, il segno grafico di Venere è anche il simbolo per eccellenza della donna come tipo biologico. Dunque, esaminando il nome di Lucifero siamo in grado di definire un segno grafico che porta direttamente alla femminilità stessa. Possiamo insomma dire che nel suo nome c’è un lato femminile, ed essendo generalmente il nome di una persona una parte importante della stessa persona ("Nomina sunt consequentia rerum"), concludiamo che il lato femminile del suo nome, fa parte anche della sua persona. (Per un altro lato nascosto di Lucifero che si ricava dal suo nome, vedi punto B4.5 più sotto.)

·  Entrambi avevano nelle loro personalità due lati particolari: lato diabolico e lato femminile.

B4.3.  IL PESO DEL MONDO
Il Secondo giorno Guglielmo ha una sorta di interrogatorio con Berengario sulle ultime ore di vita di Adelmo. Berengario è molto turbato ma riesce tuttavia a tracciare un disegno abbastanza coerente sullo stato d’animo del suo confrate amato. Egli descrive Adelmo come un’anima assai tormentata e rammenta fra l’altro queste parole del giovane monaco: "’Vedi tu,’ disse [Adelmo], ’questa cappa di sofismi della quale sono stato vestito sino a oggi? Questa mi grava e pesa come avessi la maggior torre di Parigi o la montagna del mondo in su le spalle e mai la potrò più porre giù’" (Nome, p. 123). Dalle parole si ricava questo: Adelmo si sentiva come avesse la montagna del mondo sulle spalle; in senso figurato era cioè gravato dal peso del mondo.
   Anche Lucifero, nel suo posto al centro del mondo, ha un peso figurato non minore sulle spalle. Leggiamo quanto Beatrice insegna a Dante sull’origine del male: "Principio del cader fu il maladetto / superbir di colui che tu vedesti / da tutti i pesi del mondo costretto [compresso(6)]" (Par., XXIX, 55-57). Per quest’ultimo verso Dino Provenzal fa il seguente commento: "Verso magnifico, pesantissimo, in cui rivediamo Lucifero prigioniero del ghiaccio in mezzo al globo terracqueo" (Provenzal-Comm., p. 885); commento a cui suppliamo: "e avente sopra di sé ’tutti i pesi del mondo’". Ecco anche l’interpretazione di Sapegno: "causa della caduta fu la superbia di Lucifero, che tu vedesti confitto al centro della terra, su cui gravita il peso di tutto l’universo" (Sapegno-Comm., III, p. 360).
   Insomma, anche Lucifero era gravato in senso figurato dal peso del mondo. Precisiamo tuttavia che il "peso del mondo" di Lucifero non era dello stesso tipo di Adelmo: il peso di Adelmo consisteva di un "monte di pensieri", mentre quello di Lucifero era praticamente tutto l’emisfero terrestre ("il mondo"), che gli stava sopra quasi come una montagna in bilico.

·  Le due persone erano gravate in senso figurato dal peso del mondo.

B4.4.  LE GOCCE COCENTI
Nell’interrogatorio con Berengario, a cui abbiamo accennato nel punto precedente, Berengario rivela anche come, durante il suo incontro con Adelmo nel cimitero dell’abbazia, venisse bruciato da una goccia che credeva di sudore. Ecco le sue parole: "E [Adelmo] scosse il dito della sua mano che ardeva, e mi cadde sulla mano una piccola goccia del suo sudore e mi parve che mi forasse la mano" (Nome, p. 123). Questa goccia non era però di sudore come credeva lui; secondo Guglielmo, che nel suo modo indagatorio era arrivato (come pare) a una plausibile ricostruzione dei particolari della scena, si trattava invece di una goccia di una candela accesa che Adelmo portava con sé, e fu quella goccia a cadere sulla mano di Berengario dandogli una sensazione di forte bruciore. Guglielmo conclude: "E se Adelmo veniva dal coro portava forse un cero, e la goccia sulla mano dell’amico era solo una goccia di cera. Ma Berengario si è sentito bruciare molto di più perché Adelmo certamente lo ha chiamato suo maestro" (p. 125).
   Anche il capo di Lucifero produce delle gocce, e più precisamente, gocce di pianto, cioè lacrime; cfr. queste parole di Dante che descrive la sua testa tripartita: "Con sei occhi piangea, e per tre menti / gocciava ’l pianto e sanguinosa bava" (Inf., XXXIV, 53-54). Che questo pianto non fosse costituito da lacrime di gioia, si deduce dai seguenti versi dove Dante descrive il pianto che s’ode in altre parti del Cocito: "Lo pianto stesso lì pianger non lascia, / e ’l duol che truova in su li occhi rintoppo, / si volge in entro a far crescer l’ambascia" (ibid., XXXIII, 94-96). Per ritornare al pianto di Lucifero, esso era indubbiamente provocato dalla stessa cosa, cioè da un dolore che si suppone fosse tra i più profondi e intensi. E come sappiamo, per le lacrime di un gran dolore si usa anche la locuzione "lacrime cocenti".

·  Erano ambedue produttori di gocce cocenti.

B4.5.  LE PERSONE COME PORTATORI DI LUCE
Riferendoci ancora una volta all’interrogatorio di Guglielmo con Berengario, segnaliamo sul conto di Adelmo un altro tratto caratteristico che spicca nell’incontro sul cimitero dietro la chiesa. Berengario rivela infatti che Adelmo, vagando fra le tombe, aveva con sé una luce. Ecco le parole di Berengario: "’Non so che cosa facessi nel cimitero, non ricordo. Non so perché ho visto il suo volto [di Adelmo], forse avevo una luce, no... lui aveva una luce, portava un lume’" (Nome, p. 124). In questo contesto lugubre Adelmo appare quindi come un portatore di luce (lume). (Data questa sua qualità di portare luce e quindi anche di rendere luce, non possiamo non sospettare che sia più di un puro caso che lui all’abbazia copra proprio la funzione di alluminatore ("grande maestro miniatore" (Nome, p. 40).)
   Per Lucifero è chiaro che nella sua grotta infernale non portava nessuna luce. Ma esaminandolo sotto un aspetto linguistico non è difficile caratterizzare anche lui come un portatore di luce. Infatti, consultando i vocabolari per stabilire l’etimologia del suo nome comune, LUCIFERO, constatiamo subito che il suo nome è stato coniato sulla matrice latina "luciferus" che significa appunto "portatore di luce", matrice che a sua volta è stata modellata su una corrispondente greca (phosphóros).
   Forse ci si domanda a questo punto quanti lati si nascondano nel nome di Lucifero. Consultando Il Nuovo Zingarelli, voce "Lucifero", si arriva a definire questi: portatore di luce (senso etimologico) – il pianeta Venere – angelo della luce, Demonio, capo dei demoni – persona rabbiosa e cattiva. Di questi significati è quindi solo l’ultimo ad essere lasciato da parte in quest’analisi (con riservazione per l’ultimo aggettivo).

·  Le due persone erano portatori di luce.

B4.6.  IL DOMICILIO
A detta di Adelmo stesso, il suo domicilio era nientemeno che l’Inferno. Ecco ancora una volta le sue parole dirette a Berengario la notte prima del suo suicidio: "’Sono dannato!’ così mi disse. ’Tal quale mi vedi hai di fronte a te un reduce dall’inferno e all’inferno bisogna che torni’" (Nome, p. 123). Ma per tale domicilio esclusivo dobbiamo precisare che qui si tratta naturalmente di un domicilio figurato; possiamo tuttavia concludere che almeno da un punto di vista, quello figurato, il domicilio di Adelmo era proprio l’Inferno.
   In questo contesto vorremmo anche far notare che abbiamo a che fare con un buon esempio di un tipo di presagio che incontreremo più volte nel corso della nostra analisi: vedi per es. i presagi in occasione della caduta di Malachia (I-2.2.5.10, punto B2, fine), dell’apertura del finis Africae (digressione XIV); per non parlare della serie delle trombe apocalittiche (digressione XVI). Nel presente caso si tratta di un presagio espresso inconsapevolmente da Adelmo sulla propria caduta nell’abisso (l’Inferno) oltre il muro dell’abbazia. E per tutti questi presagi possiamo naturalmente domandarci quale sarebbe la forza che li ispira o provoca e poi mette in moto la loro realizzazione. Il castigo divino, l’angelo castigatore, altre forze oscure?
   Ma ritorniamo a Lucifero. Il suo domicilio è naturalmente l’Inferno (in senso reale).

·  Per tutte e due le persone cadute l’Inferno rappresenta un domicilio, figurato o no che sia.

Si noti del resto che è possibile creare un bisticcio intorno ad un domicilio alternativo di Adelmo, che anch’esso ha legami con la caverna di Lucifero (vedi digressione VIII).

C.  DEFINIZIONE DELL’ELEMENTO OMOLOGO NR/DC 5
Prima dei Sette giorni si è in presenza di una persona che è immersa nel ghiaccio in fondo ad un abisso, sotto il Paradiso Terrestre del Territorio fatale. Questa persona è caduta dall’alto per punizione dei suoi peccati di superbia. Prima della caduta era avvenente, dopo la caduta presentava un brutto aspetto.
   Ha nella sua personalità due lati particolari: lato diabolico e lato femminile. È gravato in senso figurato dal peso del mondo, è fonte di gocce cocenti ed è anche portatore di luce.
   L’Inferno rappresenta, su un piano figurato o meno, un suo domicilio. Il luogo dove si trova la persona caduta puzza e si nota la presenza di oggetti che hanno l’apparenza di fuscelli di paglia. Sul luogo spira un vento gelido e forte.

Note

(1)  Per un’ipotesi di come spiegare il nome di Adelmo, rimandiamo alla digressione VII.

(2)  Volendo stabilire quanto tempo prima del cammino di Dante Lucifero cadde dal Cielo, veniamo a sapere che l’evento si verificò addirittura prima della creazione delle stelle e degli altri corpi celesti del firmamento. Ecco una descrizione della beata Ildegarda: "Cum igitur diabolus de caelo corruit, qui sedere et regnare voluit et qui nullam creaturam creare et facere potuit, deus firmamentum statim fecit, ut ille videret et intelligeret, quae et quanta deus facere et creare posset. Tunc etiam solem, lunam et stellas in firmamentum posuit, ut diabolus in eis videret et cognosceret, quantum decorem et splendorem perdidisset" (Causae et curae, Leipzig 1903, p. 11).

(3)  Se volessimo tuttavia specificare il puzzo dell’Inferno, Dante ci dà qua e là delle indicazioni precise, almeno per quanto riguarda i componenti del lezzo infernale; ricordiamo per es. queste due indicazioni che riguardano l’odore che proviene rispettivamente: 1) dalla decima "chiostra" di Malebolge: "e tal puzzo n’usciva / qual suol venir delle marcite membra" (Inf., XXIX, 50-51); 2) dalla bolgia degli adulatori: "giù nel fosso / vidi gente attuffata in uno sterco / che dalli uman privadi [cessi] parea mosso" (ibid., XVIII, 112-114).

(4)  Disponiamo tuttavia di una testimonianza che potrà sembrare disdire l’idea della bruttezza di Lucifero dopo la caduta. Si tratta di un passo di Ezechiele (Eze., 28:11-17) in cui si legge quanto segue sul conto del re di Tiro, il quale nel contesto profetico fa le veci del Diavolo: "Plenus sapientia, et perfectus decore ... Et elevatum est cor tuum in decore tuo; / Perdidisti sapientiam tuam in decore tuo". Leggendo questa citazione si ha l’impressione – che in fin dei conti può considerarsi falsa – che Lucifero conservasse più o meno permanentemente la sua avvenenza dopo la perdita della sua sapienza; però, ad esser precisi, dalle parole citate non si ricava che lui fosse bello in eterno, cioè tanto tempo dopo la caduta; possiamo infatti molto bene immaginarci, anche senza contraddire il passo citato, il caso in cui egli perdesse il suo decoro dopo la perdita della sapienza – forse come una conseguenza più o meno immediata di quest’ultima perdita – ma prima della caduta dai Cieli o nell’atto stesso di cadere, o poco dopo; un caso insomma che armonizza bene anche con la citazione dantesca ("S’el fu sì bello com’elli è or brutto").

(5)  Le parole latine che Dante cita ("Nomina sunt consequentia rerum"), provengono, come si sa, dalle Istituzioni di Giustiniano (libro II, tit. 7 "De donationibus", par. "Est et aliud"). Nella nostra edizione delle Istituzioni (vedi Corpus Iuris Civilis nella bibliografia) il testo suona però così: "... consequentia nomina rebus esse". Per questa citazione di Dante e la sua interpretazione, ecco quanto scrive Costantino Marmo: "La questione della fonte di quest’affermazione di Dante ha parecchio travagliato i commentatori" (Marmo-Nome, p. 554). (Si ricordi del resto che abbiamo già incontrato la massima in I-2.2.2, nota 5 a proposito del nome di "Beatrice".)

(6)  Per "costretto" nel senso di "compresso", cfr. per es. l’edizione Lucchi della Commedia, p. 557.

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