I-2.2.5.12

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I-2.2.5.12.  ELEMENTO OMOLOGO NR/DC 17

L’invito a salire in cielo

A.  OGGETTO DELL’ANALISI

Due scene in cui i rispettivi Discepoli e Maestri ricevono un invito a salire in Paradiso. Definizione delle scene:
   Dopo la compieta del Sesto giorno Adso e Guglielmo si trovano nella biblioteca proibita. Li cogliamo quando stanno davanti alla porta enigmatica del finis Africae tutti intenti a cercare d’entrarvi. Con la tecnica di "age primum et septimum de quatuor" riescono ad aprire la porta. Entrano nel finis Africae, e lì parteciperanno alle drammatiche vicende che conosciamo. Di quest’episodio, l’apertura della porta del finis Africae, scegliamo la scena in cui Adso e Guglielmo stanno eseguendo l’ordine dell’"age primum ecc.". Ecco come Adso descrive i momenti:

Fummo in breve alla stanza dello specchio, ormai preparati al gioco deformante che ci attendeva. Alzammo le lampade e illuminammo i versetti che sovrastavano la cornice, super thronos viginti quatuor... ...
   "Fai luce, per il demonio, e non temere, Dio è con noi!" mi rispose piuttosto incoerentemente. Le sue dita stavano toccando la q di quatuor, e io che stavo qualche passo indietro vedevo meglio di lui quanto stesse facendo. Ho già detto che le lettere dei versetti sembravano intagliate o incise nel muro: evidentemente quelle della parola quatuor erano costituite da sagome di metallo, dietro alle quali era incassato e murato un prodigioso meccanismo. Perché, quando fu spinta in avanti, la q fece udire come uno scatto secco, e lo stesso accadde quando Guglielmo agì sulla r. (Nome, p. 462)
La corrispondente scena della struttura DC è quella in cui Dante, in compagnia di Virgilio e del poeta Stazio, appena attraversato il muro di fiamme del settimo girone del Purgatorio, sente pronunciare le parole "Venite benedicti patris mei" dalla voce lucente ai piedi della scala che porta al Paradiso Terrestre:
Poi dentro al foco innanzi mi si mise, / pregando Stazio che venisse retro, / che pria per lunga strada ci divise. / Sì com fui dentro, in un bogliente vetro / gittato mi sarei per rinfrescarmi, tant’era ivi lo ’ncendio sanza metro. ... Guidavaci una voce che cantava / di là; e noi, attenti pur a lei, / venimmo fuor là ove si montava. / "Venite benedicti patris mei," / sonò dentro a un lume che lì era, / tal, che mi vinse e guardar nol potei. (Purg., XXVII, 46-60)
B.  ANALISI COMPARATIVA
Giorno e ora delle scene (B1) – Il segnale dell’invito a salire in Cielo (B2) – La luce da dove viene il segnale (B3) – Definizione dell’elemento omologo NR/DC 17 (C).

B1.  GIORNO E ORA DELLE SCENE
L’apertura della porta del finis Africae avviene il Sesto giorno (cfr. il capitolo in cui s’inserisce la scena: "Sesto giorno, dopo compieta").
   L’ora esatta è insicura ma dev’essere tra le 9.00 e le 9.30 circa di sera. Il calcolo si basa su questo ragionamento:

1)  Adso dice che lui e Guglielmo sono entrati nel finis Africae due ore dopo compieta: "Due ore dopo compieta, alla fine del sesto giorno, nel cuore della notte che dava al settimo giorno, eravamo penetrati nel finis Africae" (Nome, p. 463);

2)  per sapere l’ora esatta bisogna dunque sapere quando finiva l’ora della compieta. Normalmente quest’ora canonica si colloca fra le sei e le sette di sera. Calcolando due ore dal termine della compieta di questo giorno, arriviamo preliminarmente a un’ora intorno alle 21.00. Però, prima di fissare quest’ora dobbiamo forse assestarla un po’, perché Adso non dice esplicitamente se con "ora" lui intenda i soliti 60 minuti oppure un’ora tradizionale.(1) Se 60 minuti, non bisogna naturalmente fare nessun assesto; ma se si tratta di ore tradizionali, occorre aggiungervi mezz’ora circa, poiché, in quel contesto (posizione geografica e tempo dell’anno), un’ora tradizionale notturna equivale a circa 1.15 ore normali (tabella V ). Usando quindi quest’ultimo modo d’interpretare il concetto di "ora", modo che anche era d’uso nell’ambito della Chiesa di quel tempo (vedi per es. il passo del Convivio a cui ci si riferisce nella nota 1), il calcolo sfocia invece nel determinare l’ora dell’apertura della porta del finis Africae verso le 21.30.

Abbiamo insomma due alternative di tempo: 21.00 oppure 21.30, tra le quali sembra impossibile scegliere con sicurezza. Per uscire da tale dilemma resta, ci pare, un solo modo, quello cioè di determinare uno spazio temporale che copra tutt’e due le alternative. Fatto ciò arriviamo ad una più sicura conclusione: cioè che la scena attuale è da collocarsi, con ogni probabilità, entro le ore 21.00 e le 21.30 circa.(2)(3)
   Nella struttura DC l’episodio dell’attraversare il muro di fiamme e del relativo lume parlante è riferito, come abbiamo già visto, nei versi 46-60 del canto XXVII del Purgatorio. È cioè il Sesto giorno.
   L’ora della scena è abbastanza facile da determinare: sono verso le 6 di sera, l’ora del tramonto. Lo sappiamo dal fatto che il lume parlante, immediatamente dopo aver pronunciato il versetto latino "Venite, benedicti patris mei", aggiunge qualche frase per sollecitare il cammino dei tre poeti: "’Lo sol sen va’ soggiunse, ’e vien la sera: / non v’arrestate, ma studiate il passo, / mentre che l’occidente non si annera’" (Purg., XXVII, 61-63).

·  Le scene hanno luogo la sera del Sesto giorno, tra le 18.00 e le 21.30 circa.

B2.  IL SEGNALE DELL’INVITO A SALIRE IN CIELO
Nella scena NR possiamo dire sul conto di Adso che lui riceve un segnale sonoro interpretabile come un invito a salire al Cielo. Per arrivare a tale conclusione precisa dobbiamo seguire una linea interpretativa che contiene anche qualche passo ardito. Ecco la linea:

1)  Adso e Guglielmo si trovano davanti al versicolo dell’Apocalisse "Super thronos viginti quatuor" tutti intenti ad eseguire l’ordine di "age primum et septimum de quatuor". Interpretando la parola latina "agere" come "operare su (premere, toccare)" arrivano, come ricordiamo, all’effetto desiderato, cioè all’apertura della porta del finis Africae. L’apertura avviene in questo modo esatto: Guglielmo preme sulle lettere e Adso fa luce, osservando nello stesso tempo il versetto con tutte le sue lettere: "Le sue dita stavano toccando la q di quatuor, e io che stavo qualche passo indietro vedevo meglio di lui quanto stesse facendo" (Nome, p. 462). Poi si odono gli scatti delle due lettere.

2)  Essendo questi ultimi scatti collegati all’eseguimento della formula "age primum et septimum de quatuor", ne consegue che quando Adso li sente, riceve un segnale sonoro proprio di "primum et septimum de quatuor".

3)  L’espressione "primum et septimum de quatuor" può anche essere tradotta in cifre, per es. "4:1 e 7" (del numero quattro uno e sette). Esistono naturalmente altri modi di tradurre numericamente queste parole, per es. "4/1 e 7", "IV:1 e 7", "IV/1, 7", ecc., ma "4:1 e 7" è la traduzione che scegliamo qui perché è più fruttuosa dal punto di vista interpretativo.
   Guardando ora la sola espressione "4:1 e 7" riconosciamo subito (fra l’altro) uno degli schemi tradizionali per designare certo verso di certo capitolo di certo libro della Bibbia(4); e in questo caso si tratterebbe de "il primo e il settimo verso del capitolo 4".(5)
   Quando Guglielmo eseguisce la formula, facendo così produrre i due tac sonori dal meccanismo della parola "quatuor" (gli "scatti secchi" di q e r), si può quindi dire, in base alla suggerita chiave interpretativa, che in quel momento Adso riceve un segnale sonoro che porta ai versi 4:1 e 7 di certo libro della Bibbia.
   Ma allora, di quale libro si tratterebbe? Considerato l’aspetto apocalittico di tutta la scena, è naturalmente la stessa Apocalisse che costituisce la prima alternativa. A parte, s’intende, altre alternative secondarie che si lasciano qui per non deviare dalla linea interpretativa da noi scelta.

4)  Nell’ultima tappa della nostra linea constatiamo che proprio nel 4:1 del libro di San Giovanni si assiste ad un chiaro invito a salire in Cielo. Ecco infatti il testo: "Post haec vidi: et ecce ostium apertum in caelo, et vox prima ... dicens: ’Ascende huc, et ostendam tibi quae fieri post haec" (Ap., 4:1).(6) (Per il settimo verso, si rimanda alla digressione XIV, "et animal".)

Insomma, attraverso una linea interpretativa basata in parte su passi di simpatia ermetica è possibile dire sul conto del giovane Adso che nel momento in cui il suo Maestro preme sulle lettere q e r della parola "quatuor" del versetto apocalittico, lui riceve un segnale sonoro che può essere interpretato come un invito a salire in Cielo.
   Prima di continuare bisogna ammettere che quest’iter analitico ha una apparenza ardita, tanto che si potrà anche dubitare se la conclusione in cui è sfociato sia valida o meno. Sarebbe bene perciò se ci fosse qualche indizio che potesse corroborarlo. Per fortuna ce ne sono: è infatti possibile inserire l’invito apocalittico dell’"ascende huc" in una catena logica di avvenimenti che non solo riguardano l’apertura della porta del finis Africae e quello che successe dopo, ma anche portano a decifrare un chiaro messaggio simbolico nell’atto della divorazione della Commedia di Aristotele da parte di Jorge (rimandiamo alla già citata digressione XIV, "et ostendam" ).
   Ma prima di lasciare la scena NR constatiamo che la voce che pronuncia le parole dell’invito è quella del figlio di Dio. Per conferma vedi per es. il commento di Adolf Schlatter: "Strax därpå hör han [Giovanni] samma starka röst, med hvilken redan den första synen började" (Nya Testamentet med förklaringar, trad., Stockholm & Uppsala 1906-1909, Joh. Upp., p. 47). ("Poco dopo sente la stessa voce forte con la quale la prima visione cominciò.") E la voce della prima visione appartiene proprio a Gesù, quello che dice a Giovanni: "Noli timere: ego sum primus, et novissimus, et vivus, et fui mortuus, et ecce sum vivens in saecula saeculorum" (Ap., 1:17-18).
   Vediamo ora cosa accade nella struttura DC. Le parole "Venite, benedicti patris mei" che la voce lucente rivolge ai tre poeti sono state tratte dalla Bibbia; sono infatti quelle stesse parole che Gesù, al giorno del Giudizio Universale, dirà a coloro che saranno eletti ad entrare nel Regno celeste; cfr. Il Vangelo di Matteo: "Tunc dicet Rex his, qui a dextris eius erunt: ’Venite, benedicti Patris mei; possidete paratum vobis regnum a constitutione mundi’" (Matt., 25:34). Insomma, ascoltando la frase biblica del lume parlante, Dante riceve un segnale sonoro che può essere interpretato come un invito, formulato con le parole di Gesù, a salire in Cielo. (Va aggiunto che quest’invito a salire in Cielo non è lanciato loro (Dante, Virgilio e Stazio) a caso. L’invito si colloca infatti in un contesto del tutto coerente al significato dello stesso invito, in quanto i poeti assistono all’invito nel momento stesso in cui stanno per raggiungere la scala che porta al Paradiso Terrestre, quel paradiso da dove Dante, in un secondo tempo, andrà al Paradiso Celeste.)

·  Accade ai Discepoli di ricevere un segnale sonoro interpretabile come un invito a salire in Cielo, formulato con le parole di Gesù.

A questo punto forse ci si domanderà dove sia l’intenzionalità da parte dell’autore del Nome della rosa; il legame definito sembra infatti fondarsi più su una catena di ragionamenti per arrivare ad una interpretazione possibile che non a un fatto calcolato. Riteniamo che l’intenzionalità – o il calcolo – consista fra l’altro nello scegliere appunto "primum et septimum" per la formula enigmatica. Perché è proprio attraverso tali numeri che riusciamo ad arrivare al segnale dell’"ascende huc". Se nella formula ci fosse stato scritto invece per es. "tertium et sextum", allora la possibilità di legare le due scene per mezzo dell’invito a salire in Cielo non sarebbe più esistita.

B3.  LA LUCE DA DOVE VIENE IL SEGNALE
Ritornando alla definizione della scena vediamo che mentre Guglielmo sta eseguendo l’ordine della formula, Adso guarda verso il punto da dove riceve il segnale di cui al punto precedente. Adso descrive: "Le sue dita stavano toccando la q di quatuor, e io che stavo qualche passo indietro vedevo meglio di lui quanto stesse facendo" (Nome, p. 462). Ma dal testo risulta anche che il punto da dove viene il segnale è illuminato, perché nel descrivere la scena Adso fa intendere che è lui stesso a fare luce; ha infatti spento il proprio lume che ha portato con sé, ha preso quello di Guglielmo e riceve il seguente ordine dal suo maestro: "Fai luce, per il demonio, e non temere, Dio è con noi!" (ibid.).
   Quasi la stessa cosa accade nella scena DC. Nella sua definizione leggiamo infatti: "Guidavaci una voce che cantava / di là; e noi, attenti pur a lei, / venimmo fuor là ove si montava. / ’Venite benedicti patris mei,’ / sonò dentro a un lume che lì era, / tal, che mi vinse e guardar nol potei" (Purg., XXVII, 46-60). Ma mentre Adso nella sua scena proprio guardava verso il punto luminoso, evidentemente con gli occhi aperti, nel caso di Dante la luce era così forte da impedirne ogni vista ("e guardar nol potei"). Non sarebbe quindi giusto affermare che Dante guardava la luce; è meglio perciò dire che era rivolto verso di essa, senza guardare.

·  Quando i Discepooli ricevono il segnale sonoro sono rivolti (guardando o meno) verso la parte luminosa da dove viene lo stesso segnale.

C.  DEFINIZIONE DELL’ELEMENTO OMOLOGO NR/DC 17
Il Sesto giorno, tra le 18.00 e le 21.30 circa, accade al Discepolo di essere rivolto verso una parte luminosa da dove riceve un segnale sonoro interpretabile come un invito a salire in Cielo, formulato con le parole di Gesù.

Note

(1)  Forse è inutile sospettare che Adso, dicendo "due ore dopo compieta", potesse avere in mente anche altre ore che quelle tradizionali. Diremmo che in questa materia bisogna essere cauti, e ciò per il semplice fatto che al tempo di Adso era già diffusa la "conoscenza" della differenza tra i due tipi di ore (come si legge per es. in Convivio, III:6).

(2)  Ma, dirà forse qualcuno, Adso scrive che l’apertura avvenne "nel cuore della notte" (cfr. la citazione "Nome, p. 463" nella prima parte del punto B1); e usando tale espressione, non voleva indicare che l’ora dell’apertura fosse proprio intorno a mezzanotte, il cuore della notte? In questo caso si deve interpretare "il cuore della notte" come "notte avanzata". Che le parole di Adso si debbano interpretare proprio così, risulta se non altro dal fatto che: 1) Adso dice che la "notte dava al settimo giorno" (era cioè ancora il Sesto giorno); 2) è da scartare l’ipotesi che calcolando "due ore dopo compieta" si possa arrivare fino a mezzanotte. Così, interpretando "nel cuore della notte" come "a notte avanzata", l’indicazione del tempo diventa del tutto normale, tanto più che secondo il nostro calcolo erano già passate circa 4-5 ore dal tramonto, che accade verso le 16.40.

(3)  Per il limite inferiore di questo spazio temporale, è da aggiungere che teoreticamente potremmo aggiustarlo un po’ indietro: può darsi infatti che il rito della compieta, proprio quella sera, terminasse qualche tempo prima del solito. Un’indicazione di ciò sarebbe che l’abate voleva che la comunità si affrettasse a recarsi alla chiesa dopo il pasto: "Alla fine [della cena] [l’abate] disse ai monaci di affrettarsi a compieta" (Nome, p. 457). Ma considerando che non ci guadagneremmo niente con tale eventuale aggiustamento (cfr. la conclusione del punto), non vale la pena di sviluppare l’argomento.

(4)  Per tale schema, rimandiamo per es. a questa sequenza in Svenskt bibliskt uppslagsverk, II ed., Stockholm 1962-63, vol. I, p. 75: "Joh. 6:8, 12:22, Mark. 13:3", ecc. Come ben si sa, ci sono anche altri modi d’indicare un passo della Bibbia ("Mc. 13, 3", "Mar. 13. 3", e così via). Cfr. anche questa regola nelle "instructions to authors" della rivista Literature & Theology: "Biblical references should be cited thus: Genesis 23: 13-14" (1993, vol. 7, n. 3).

(5)  Ma qui si obietterà sicuramente: la divisione dei capitoli in versi è un’invenzione del Cinquecento (edizione Estienne del 1551); doveva pertanto essere escluso che una formula del 1327 potesse vedere tanto lontano. Rispondiamo che tutte le cose che accaddero all’abbazia parevano seguire un ordine divino, non solo le morti che avvenivano apparentemente secondo uno schema apocalittico, ma anche il "gran finale" con l’ecpirosi, la conflagrazione purificatrice comandata dalla volontà divina; ricordiamo sempre le parole di Adso nel bel mezzo dell’incendio catastrofale: "Già nella mattinata del settimo giorno della nostra permanenza in quel luogo, quando ormai i superstiti si avvidero che nessun edificio poteva più essere salvato, ... a quel punto mancò a ciascuno la volontà di combattere contro il castigo divino" (Nome, p. 499). Non c’è quindi motivo di sorprenderci se troviamo anche altre cose che abbiano a che fare con una realtà meno tangibile o non attuata ancora. Né dobbiamo dimenticare che nel manoscritto di Adso troviamo aperte allusioni a cose del nostro secolo, a parte le citazioni dirette da testi moderni. Ecco per es. come Guglielmo conclude una piccola discussione su diversi prodigi tecnici (motoscafi, automobili, elicotteri, sottomarini, ecc.) che il Maestro ha pronosticato al suo Discepolo: "Ma non devi preoccuparti se non ci sono ancora [i prodigi], perché non vuol dire che non ci saranno. E io ti dico che Dio vuole che ci siano, e certo son già nella sua mente ...’" (ibid., pp. 25-26). E sull’abbazia c’è sempre un velo di volontà divina.

(6)  Per le citazioni della Vulgata, qui e in seguito, rimandiamo alla bibliografia: Biblia Sacra iuxta Vulgatam Clementinam, Nova Ed., VII ed. Madrid 1985.

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