I-1.4

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Indice   I parte   II parte   III parte   Digressioni   Tabelle   Piante   Elenchi   Bibliografia

I-1.4.  APPUNTI METODOLOGICI

Le strutture di partenza (1)  –  Regole per il lavoro analitico (2)  –  Il pensiero ermetico (3)  –  Eco come auctoritas di semiotica ed interpretazione (4).

In questo capitolo si rende conto principalmente della metodologia adottata per la definizione della prima struttura omologa, quella fra Il nome della rosa e La Divina Commedia. Si fa tuttavia presente che i ragionamenti, i principi e le regole che si espongono qui, in particolare quelli della sez. 2, valgono, dove applicabili, anche per il lavoro analitico che stanno alla base della definizione della struttura omologa fra Il nome della rosa e Le Troiane. Arrivati però alla Seconda parte dello studio completeremo gli appunti metodologici presentati qui con alcuni altri che riguardano esclusivamente la struttura omologa della traccia della tragedia.

1.  Le strutture di partenza
In primo luogo è necessario definire il tipo delle strutture delle due opere considerate in questa Prima parte dello studio: Il nome della rosa e La Divina Commedia.
   Tutte e due le opere rappresentano due sequenze autonome di fatti (cioè eventi effettivi, circostanze di vario tipo: posizione geografica, tempo, ambiente, relazioni particolari, persone, oggetti, costruzioni, ecc.). Dal punto di vista strutturale sono perciò da definire proprio come strutture di fatti. Vale a dire che la struttura omologa che stiamo per definire, sarà anch’essa composta di fatti, o meglio, di sintesi di fatti.
   Quando parliamo di struttura di un libro o di un’opera letteraria in generale, intendiamo la sua struttura nella sua totalità organica, includendovi tutti i fatti che in qualche modo appartengono al filo generale del racconto, e non solo quelli che si collocano dentro i limiti fisici dello stesso racconto. Per dare un esempio: il racconto effettivo del Nome della rosa comincia con l’apparizione di Guglielmo e Adso sulla via per l’abbazia. Ma già qualche settimana prima di questa scena introduttiva si verifica un fatto che è assai importante per la comprensione e lo sviluppo delle vicende che seguiranno: è la morte di Adelmo, il giovane monaco che precipita dal muro dell’abbazia e muore tra le rocce ghiacciate. Anche se questo fatto, strettamente parlando, ha avuto luogo fuori dei limiti fisici del racconto esposto, si deve tuttavia ammettere che esso appartenga al filo generale del medesimo racconto, considerato nella sua totalità strutturale. (Per la morte di Adelmo, vedi del resto I-2.2.4)
   Precisiamo inoltre che nella totalità organica di una struttura di un libro includiamo non solo i dati ricavati dallo stesso libro, ma anche dati ed informazioni reperibili in altre fonti, purché riguardino gli stessi elementi del libro. Se la Storia o altra fonte ci insegna per es. che Virgilio era perito di cavalli, consideriamo tale informazione del tutto applicabile anche al maestro di Dante, sebbene nella Commedia non si dica niente delle conoscenze equine del mantovano (cfr. in proposito I-2.2.1, punto B3). Ricordiamo anche quanto Eco afferma seguendo il pensiero di Leibniz: "il concetto completo di una sostanza individuale implica tutti i suoi predicati passati e futuri" (Il segno dei tre, a cura di U. Eco e Th. Sebeok, trad., Milano 1983, p. 259).
   Considerando la possibilità di concepire un racconto di fatti come un concatenamento di avvenimenti che in teoria è infinito, non solo quanto ai suoi antefatti ma anche per quel che riguarda gli eventi che seguono, bisogna ora definire esattamente ciò che nel presente lavoro s’intenderà per "struttura del Nome della rosa" e "struttura della Divina Commedia", abbreviate rispettivamente in struttura NR e struttura DC. Per comodità si useranno in seguito le sigle "NR" e "DC" per denotare riferimenti alle due strutture.
   Attenendoci all’informazione nel cap. "Naturalmente, un manoscritto" del Nome della rosa, possiamo constatare che in via di principio ci sono quattro versioni del libro: il manoscritto latino di Adso della fine del Trecento, l’edizione secentesca di Mabillon, la traduzione in francese dell’abate Vallet (edizione del 1842) e la traduzione fatta da Eco del libro dell’abate. Sarà la traduzione italiana di Eco quella su cui si baserà la struttura NR.
   Definiamo così i punti estremi delle due strutture d’origine.
   L’inizio della struttura NR sarà rappresentato dalla caduta di Adelmo, evento che dato il ragionamento di sopra pare del tutto lecito usare per dar inizio alla catena strutturale. Scegliendo la caduta di Adelmo arriviamo anche a facilitare la scelta dell’inizio della struttura DC, che anch’essa sarà rappresentata da una caduta (vedi più sotto).
   Per la fine della struttura NR bisogna scegliere da quale punto di vista vogliamo considerare la storia di Adso. Attenendoci al fatto che nella storia di Adso è naturalmente lui stesso ad assumersi la parte del vero protagonista, ci pare giusto scegliere proprio la sua fine, cioè la sua morte, come elemento terminale della storia.(1) E la morte di Adso accadde non molto dopo la stesura del manoscritto: ecco infatti qualche riga in cui egli parla, ormai ottantenne, della sua morte imminente: "Giunto al finire della mia vita di peccatore, mentre canuto senesco come il mondo, nell’attesa di perdermi nell’abisso senza fondo della divinità silenziosa e deserta ... mi accingo a lasciare su questo vello testimonianza ecc." (Nome, p. 19).
   Quanto alla struttura DC poniamo prima in rilievo la fine, che deve naturalmente identificarsi con l’episodio finale della Commedia, quello in cui Dante, in un fulmineo momento, raggiunge la divinità, scopo di tutto il suo cammino ("Et quia, invento principio seu primo, videlicet Deo, nichil est quod ulterius queratur" (Epistola XIII, par. 33)).
   Per l’inizio della struttura DC procediamo come abbiamo fatto per la fine della struttura NR: accettiamo cioè un periodo intermedio non raccontato. Così arriviamo ad un evento che armonizza bene con l’inizio della struttura NR, cioè la caduta di Lucifero dal Cielo. Per questa soluzione si aggiunge che è proprio la caduta di Lucifero a provocare il cambiamento della topografia della terra, dando origine fra l’altro alla "natural burella" dell’Inferno e al Monte Purgatorio(2); per questo dev’essere chiaro che tale caduta va considerata un antefatto veramente cruciale per lo sviluppo generale delle vicende della Commedia. E alla cacciata dal cielo di Lucifero si allude qua e là nella Commedia; vedi per es. Inf., XXXIV, 121-123(3): "Da questa parte cadde giù dal cielo; / e la terra, che pria di qua si sporse, / per paura di lui fé del mar velo".
   Posti così i punti estremi delle due strutture d’origine e sapendo pure che la morte di Adso è caratterizzata dal suo congiungimento con Dio (vedi in particolare I-2.2.6), possiamo constatare che in tutti e due i casi, struttura NR e struttura DC, abbiamo a che fare con una catena di fatti che comincia con una caduta, finisce con un congiungimento con Dio e in cui il racconto effettivo (gli eventi dei sette giorni del Nome della rosa e il cammino di Dante, inclusi i sette giorni insieme con Virgilio) rientra come parte centrale.
   In sintesi possiamo descrivere le due strutture in questo modo:

STRUTTURA NR:  inizio (caduta di Adelmo) che funge da antefatto per il racconto effettivo – racconto effettivo – periodo non raccontato – fine della storia del racconto effettivo (congiungimento di Adso con Dio).

STRUTTURA DC:  inizio (caduta di Lucifero) che funge da antefatto per la storia del racconto effettivo – periodo non raccontato – racconto effettivo – fine (congiungimento di Dante con Dio) con la quale si conclude il racconto effettivo.(4)

Considerando in particolare la struttura NR possiamo quindi caratterizzarla in questo modo: 1) rispecchia il libro Il nome della rosa nella sua forma italiana; 2) lo sviluppo degli eventi comprende non solo quello che accade entro i limiti esteriori del libro (i sette giorni) ma anche quello che accadde prima e dopo il racconto effettivo.
   Ribadiamo l’importanza di definire bene ciò che s’intenderà per struttura NR perché nella Seconda parte della studio, a cui abbiamo accennato in I-1.1 e nel quale metteremo a confronto Il nome della rosa con Le Troiane di Euripide, la storia di Adso verrà considerata sotto un altro punto di vista, e cioè: manoscritto latino (di cui disponiamo soltanto di una versione tradotta), racconto effettivo dei sette giorni all’abbazia. Quest’ultima variante strutturale del Nome della rosa sarà chiamata struttura NR-bis; nel confronto con la struttura NR-bis la struttura delle Troiane verrà chiamata struttura TR.
   Per quadri sintetici delle rispettive strutture d’origine NR, NR-bis, DC e TR, rimandiamo alle tabelle I (strutture NR e NR-bis), II (struttura DC) e VIII (struttura TR).

2.  Regole per il lavoro analitico
Come si vedrà, la struttura omologa NR/DC è di non poca complessità. Abbiamo perciò pensato di impostare il procedimento analitico in questo modo:

1)  per prima cosa si definirà un elemento omologo che formerà la cornice strutturale, il telaio, di tutta la struttura omologa, incluse alcune unità chiave (come tempo e teatro delle vicende, protagonisti principali, sguardo generale); quest’elemento sarà chiamato elemento omologo di base (I-2.1);

2)  poi definiremo tutti gli altri elementi omologhi della struttura, elementi che, data la loro funzione di completare e sviluppare l’elemento omologo di base, saranno chiamati elementi omologhi complementari (I-2.2).

Per quanto riguarda il metodo adottato per definire i singoli elementi omologhi (sia gli elementi di base che quelli complementari) abbiamo scelto di procedere di norma in questo modo:

–  definire due corrispondenti fatti o complessi di fatti delle due strutture d’origine;

–  fare un’analisi comparativa dei fatti o complessi di fatti definiti, a partire da certi punti (ossia "attacchi") d’analisi, scelti per ribadire ed evidenziare la consonanza fra due oggetti, persone, episodi, ecc.; quest’analisi costituirà per lo più la parte centrale per la creazione di un legame consistente fra le strutture comparate; l’analisi sarà generalmente divisa in due o più punti (B1, B2, ecc.), ognuno dei quali sfocerà in una conclusione, normalmente breve e messa in grassetto, che coglie in sintesi l’essenziale del punto analizzato;

–  definire in base ai risultati dell’analisi, cioè le varie conclusioni dei punti analizzati, l’elemento omologo in questione. Si osservi che mentre le singole conclusioni (in grassetto) riguardano corrispondenze fra le due strutture d’origine, gli elementi omologhi rappresentano invece parti dell’intera struttura omologa che stiamo definendo.

Queste tappe dell’analisi corrisponderanno di regola alle seguenti rubriche:

A.  Oggetto dell’analisi
B.  Analisi comparativa
C.  Definizione dell’elemento omologo NR/DC nn
Per la seconda tappa di questo procedimento (l’analisi comparativa) pensiamo sia necessario fare qualche commento supplementare (a-c):

a)  L’analisi intorno a un dato punto può talvolta essere semplice e senza intoppi, tal altra volta un po’ intrecciata e lunga (pensiamo fra l’altro ai ragionamenti per determinare i tempi di certe scene delle strutture d’origine(5)). Per lo più abbiamo anche scelto di ricorrere abbastanza frequentemente a delle citazioni allo scopo di giustificare in modo esplicito le conclusioni.
   In qualche caso l’analisi può essere pregna di ragionamenti arditi. Ma ciò non dovrebbe a priori nuocere all’analisi dato che allo stesso Eco piacciono evidentemente i ragionamenti anche arditissimi. Si pensi ad es. a un filo interpretativo assai ardito che lui ci dà – e lo ringraziamo per tale generosità inventiva – nell’introduzione dei Limiti dell’interpretazione. Lì espone vari modi di interpretare un (inventato) messaggio scritto, trovato così per caso in una bottiglia. Il messaggio è corto e dice soltanto: "Caro amico, in questo Cesto portato dal mio Schiavo ci sono 30 Fichi che ti invio come Dono". Intorno a questo messaggio si possono fare diverse ipotesi interpretative. Nella terza ipotesi, suggerita da Eco stesso, si espone un interessante filo analitico che procede dai fichi e finisce, attraverso qualche ardito balzo interpretativo, nella Grazia Divina. Eco scrive:
Il messaggio nella bottiglia è un’allegoria, e possiede un secondo senso nascosto, basato su un codice poetico privato. Fichi può essere una sineddoche per "frutti", frutti può essere una metafora per "influenze astrali positive", influenze astrali positive può essere un’allegoria per "Grazia Divina", e così via. (pp. 8-9)
Da quest’esempio si può insomma concludere che non bisogna scartare automaticamente neanche le interpretazioni più ardite, purché, s’intende, seguano un iter analitico intelligibile e finiscano in qualcosa d’interessante.
   Per quanto riguarda le soluzioni interpretative presentate in questo lavoro, abbiamo comunque cercato tutto il tempo una soluzione che, complicata o no, lunga o meno, sia quanto più chiara possibile, sia fruttuosa nel senso che porti a una conclusione rilevante e conforme al resto dell’analisi, e che sia anche tale da poter reggere agli occhi critici e aperti di chi volesse seguire una catena d’indizi esposti per es. in un’indagine poliziesca.
   Ma dobbiamo pure ammettere che c’è sempre un limite oltre il quale non bisogna avventurarsi; ci riferiamo principalmente a due tipi di possibili interpretazioni: il primo tipo è quello in cui i nodi analitici sono tali da non poter essere stati presi in considerazione, se non difficilmente, dall’autore in qualità di autore modello. Può essere per es. il caso in cui ci sia una possibilità di creare un gioco di parole che abbia l’apparenza di essere fruttuosa, ma che sia di un tipo che presupponga una conoscenza da parte dell’autore di una lingua che è inverosimile che lui sappia. In tal caso si tratterebbe sicuramente di una coincidenza arbitraria e quindi da scartare.
   L’altro caso si ha quando è possibile "trovare" una linea interpretativa interessante, ma che non conduce se non marginalmente a una conclusione fruttuosa, cioè tale da permettere di definire un altro pezzo logico da inserire nella rete totale del sistema. In alcune delle digressioni, e anche altrove, si troveranno per es. delle linee interpretative un po’ ardite, le quali però, a nostro parere, portano a delle conclusioni del tutto consone alle loro rispettive parti della rete. Se non avessero dato luogo a delle conclusioni fruttuose nel senso definito sopra, le avremmo scartate. E non le scartiamo per il solo fatto che è impossibile provare che siano state veramente ideate dall’autore, e in quella forma in cui vengono presentate qui. Il testo le permette, non si può escludere che l’autore le abbia ideate effettivamente, danno qualche nuovo aspetto al sistema e armonizzano bene con il resto dell’analisi, ciò che basta.
   Per sviluppare da qualche altro punto di vista il tema delle soluzioni ardite vorremmo aggiungere quanto segue (i-iii):

i)  In molti casi siamo riusciti a stabilire una corrispondenza attraverso un gioco di parole. Si prenda ad es. il gioco sulla parola "celeste", esposto in I-2.2.5.9 (la morte di Severino), punto B2, dove abbiamo a che fare, da un lato, con una sfera armillare (arma celeste) e, dall’altro, con il folgore di Giove (arma celeste). Questo gioco è uno dei meno complicati ma rappresenta comunque un metodo puramente linguistico per legare, l’uno all’altro, due fatti, oggetti, persone, ecc.; si tratta cioè di un metodo che, a quanto pare, è ben calcolato dall’autore del romanzo e dove si usano due significati differenti di una stessa parola (verbo, aggettivo, ecc.). Fuorché il gioco con l’aggettivo "celeste", avremo così occasione di divertirci con il giocare anche su parole come "consumare", "pauroso", "monumentale", "cocente" e così via (i primi due giochi si trovano già in I-2.2.2, punto B1.5, commento e B1.8).
   Bisogna anche ricordare che tali giochi non devono sorprendere considerato che nel Nome della rosa Eco gioca apertamente sui significati delle parole o dei suoni delle parole; si prenda per es. questo noto brano del "der Teufel" inserito nell’episodio in cui Adso e Severino vanno a valle in cerca di tartufi (cap. "Quarto giorno, sesta"):
Ricordo [io = Adso] anzi che più avanti negli anni un signore dei miei paesi sapendo che conoscevo l’Italia, mi chiese come mai avevo visto laggiù dei signori andare a pascolare i maiali, e io risi comprendendo che invece andavano in cerca di tartufi. Ma come io dissi a colui che questi signori ambivano a ritrovare il "tar-tufo" sotto la terra per poi mangiarselo, quello capì che io dicessi che cercavano "der Teufel", ovvero il diavolo, e si segnò devotamente guardandomi sbalordito. Poi l’equivoco si sciolse e ne ridemmo entrambi. (Nome, p. 291)
Raccontato ciò, Adso (Eco) fa questo commento: "Tale è la magia delle umane favelle, che per umano accordo significano spesso, con suoni eguali, cose diverse" (ibid.). Del resto, chi non sa l’inclinazione generale di Eco agli scherzi, ai bisticci e alle sottigliezze epigrammatiche? Alfredo Giuliani scrive: "Quand’è che Umberto Eco fa sul serio e quand’è che scherza?" (op. cit., p. 33). E quando si trova un gioco nel testo di Eco, ciò si adegua bene all’"intera visione medievale della poesia" (espressione di Eco) con il suo "diritto alla rappresentazione ’polisema’ e al gioco intellettuale della interpretazione" (Sugli specchi e altri saggi, p. 216).

ii)  Certe volte pare che la mano dell’autore, allo scopo di creare una coincidenza o persino un’intera serie di coincidenze, si sia trasferita da un piano della realtà ad un altro. Può trattarsi per es. di due scene di cui una avviene realmente e l’altra in un sogno, come l’incontro fra Dante e Beatrice nel sogno di Dante nella Vita nuova (I-2.2.2, punto B1); di due catene di avvenimenti di cui una si verifica nella realtà e l’altra su un piano immaginativo, come l’apparizione degli animali infuocati (I-2.2.5.13); di due oggetti di cui uno è un oggetto reale e l’altro ha solo l’apparenza di esserlo, quali le anime nel ghiaccio del Cocito che appaiono come "festuche" (I-2.2.4, punto B2.3); e così via.
   Per questi scivolamenti da una realtà ad un’altra – una sorta di gioco concettuale in cui ci si permette di vedere "le cose del mondo" da diversi punti di vista – si può notare che essi sembrano armonizzare abbastanza bene con altre forme di creazioni dell’homo ludens, siano esse catene interpretative ardite, giochi di parole, formazioni di simboli semplici o complessi (per es. il simbolismo intorno alla "consumazione della commedia" nella digressione XIV, punto b), o altri tipi di ludi intellettuali. Pare che tali scivolamenti siano un indizio di una mente ermetica (cfr. sez. 3 più sotto).

iii)  Non di rado siamo ricorsi a delle auctoritates; si tratta di nozioni di vario tipo su cui la "scienza moderna" non dice niente o quasi niente. Può essere ad es. la posizione del Paradiso Terrestre. Se la Bibbia lo pone ad oriente, accettiamo tale informazione come un fatto veridico, e lo facciamo perché consideriamo la Bibbia proprio un’auctoritas.(6) È naturalmente chiaro che in questo modo ci avviciniamo anche alla dialettica medievale, cioè a quel metodo di ragionare che si basa più o meno fermamente sui testi o sui personaggi che sono saliti al rango di essere considerati auctoritates. Ma tale avvicinamento al metodo medievale non pensiamo sia fuori luogo in questo lavoro, tanto più che tutto il libro Il nome della rosa ha un così forte sapore di Medioevo.

b)  Quanto alla scelta dei punti da analizzare (di solito indicati con "B1", "B2" ecc.), alcuni s’inseriscono in modo naturale nel contesto generale di un dato elemento omologo (tempo, fatti principali, relazioni, ecc.), altri possono invece sembrare più o meno secondari o anche peculiari. Per i punti di quest’ultimo tipo vale in via di principio che sono stati scelti per ribadire ed evidenziare ancora la consonanza fra due oggetti confrontati (oggetti concreti, persone, scene, ecc.) allo scopo di massimare il carattere individuale di un determinato elemento omologo; sempre però rispettando il criterio che non sia escluso o inverosimile che l’autore del romanzo abbia pensato, se non esattamente nelle stesse linee, almeno in quella direzione.
   Anche qui può essere conveniente fare qualche commento a parte:

–  Fra i punti definiti figurano talvolta anche quelli meno aspettati in quanto non appartengono alla stessa categoria, o alle stesse poche categorie, degli altri punti che formano i legami fra due oggetti confrontati. Ma ciò non dovrebbe sconvolgere dato che se vogliamo legare un oggetto (persona, scena, ecc.) ad un altro, sarebbe poco economico guardare solo ad una o due categorie di elementi comuni. E un’ottica in cui vengono considerati gli oggetti da esaminare non da uno o due punti di vista ma nella loro totalità multiforme, non dovrebbe certo disturbare neanche Eco stesso. In questo senso anche i particolari possono essere molto utili per rafforzare i legami. Dire per es. che Ubertino è una persona il cui nome può essere riconosciuto in una sequenza particolare delle lettere B,N,R,T,E,O,U, non ci aiuta molto a capire la sua personalità ma rappresenta tuttavia un modo (fra altri possibili) per legarlo a Brunetto Latini (cfr. I-2.2.5.2, punto B5.6). Mettiamo anche in rilievo che definendo la struttura omologa NR/DC non intendiamo creare una miniversione del Nome della rosa o della Divina Commedia, bensì una struttura i cui elementi saranno scelti a partire dal criterio che possano dare carattere individuale alla struttura omologa presa nella sua totalità. Intendiamo dire che ogni punto della struttura omologa sarà tale da poter differenziarla in qualche modo da altre eventuali strutture dello stesso genere (all’infuori delle strutture d’origine). Se diciamo per es. che uno dei protagonisti della struttura omologa ha una buona istruzione matematica, viene escluso forse il 75% dell’umanità, e anche più se consideriamo l’Europa medievale; se diciamo che ha fatto una volta una predizione prodigiosa intorno a un cavallo, verranno certamente esclusi più del 95% di tutti gli uomini; e così via, fino a comporre una combinazione di predicativi che escluda praticamente ogni persona fuori delle due che costituiscono l’oggetto del confronto; o in via generale, fino a formare una "chiave" che funzioni solo per gli oggetti confrontati.
   In questo modo, bisogna ammetterlo, le due strutture d’origine verranno considerate da un punto di vista piuttosto astratto mentre i loro aspetti estetici, psicologici o tradizionalmente letterari (stile, composizione, tematica, drammaticità, atmosfera particolare, ecc.) saranno per lo più tralasciati. Ma detto ciò, dobbiamo pure aggiungere che verso la fine di tutto il percorso analitico, inclusa anche la traccia della tragedia, quest’asciutta impostazione iniziale dello studio ci aiuterà infine ad avvicinarci al livello anagogico del Nome della rosa e alla meta della lunga via percorsa. E ricordiamo qui le parole di Eco stesso sulle "lunghe vie":

Certe volte la via più lunga è la più rapida perché consente di arrivare in modo più sicuro ma anche perché permette di arrivare alla meta molto più ricchi di esperienza, e per la varietà dei luoghi visitati lungo il cammino, e per il fatto ... che un luogo diventa più familiare se ne ricostruiamo le operazioni da compiere per arrivarvi. (Lector in fabula, p. 27)
–  Un altro fattore che può portare a considerare piuttosto peculiare un punto definito, è il seguente: in qualche caso pare che l’autore del romanzo abbia distribuito in modo curioso diverse qualità precise di un oggetto originario della struttura DC (oggetto materiale, persona, scena, ecc.); pare cioè che abbia, per così dire, prima spezzato l’oggetto in una serie più o meno lunga di qualità o caratteristiche particolari di cui abbia poi distribuito una parte nel proprio romanzo in modo da permettere la creazione di coincidenze anche inaspettate e peculiari, quasi come avviene nei sogni. Si pensi per es. alle tre belve dantesche in I-2.2.5.1, che sembrano "riapparire" in qualche loro aspetto in cinque esseri (se non più) nel Nome della rosa (vedi in particolare tabella VI); o ai diversi pezzi dell’Inferno i cui corrispondenti sono sparsi qua e là nel territorio dell’abbazia (cfr. per es. I-2.3, sez. 3, riassunto B). Le ragioni per tale spezzamento possono essere varie. Una può essere che l’autore del romanzo ha voluto evitare di creare troppo evidenti coincidenze e ciò per non rompere prematuramente il velo davanti agli occhi del lettore. E ricordiamo qui alcune parole già citate in I-1.1: "Ma videmus nunc per speculum et in aenigmate e la verità, prima che faccia a faccia, si manifesta a tratti" (Nome, p. 19); parole quindi del tutto conformi all’idea di questo tipo di spezzamento.

c)  Riassumendo ora quanto abbiamo detto fin qui, incluso ciò che si espone in I-1.1, sez. 2, la nostra analisi sarà quindi eseguita a partire da queste premesse interpretative:

·  sempre domandarsi se una soluzione interpretativa sia possibile dato il contesto generale in cui s’inserisce e in cui ha le sue radici;
·  accettare anche le catene interpretative ardite, purché siano coerenti e conducano a una soluzione che sia fruttuosa ed in armonia con il resto dell’analisi;
·  essere aperti a ogni tipo di gioco intellettuale;
·  cercare legami su ogni piano della realtà;
·  ricorrere, se necessario, alle auctoritates antiche;
·  non rigettare neanche i legami inconsueti e secondari, ammesso che convengano a dare carattere individuale a ciò che è da esaminare;
·  accettare che si possano mettere insieme coincidenze di ogni tipo purché contribuiscano a rafforzare i legami fra due oggetti confrontati;
·  accogliere pure una soluzione che parta da un forte spezzamento degli elementi iniziali.
3.  Il pensiero ermetico
Guardando questi ultimi punti è chiaro che si adattano in qualche misura a quel modo di affrontare un’interpretazione di un fenomeno che Eco associa a ciò che chiama pensiero ermetico, modo insomma di leggere il mondo o un testo in cui nessuna considerazione di qualsiasi tipo viene trascurata a priori. Ecco come scrive in argomento: "uno dei tratti salienti del pensiero ermetico è proprio la flessibile agilità con cui accetta qualsiasi criterio di somiglianza, e tutti insieme anche se contraddittori fra loro. Il reticolo delle segnature permette un’interpretazione infinita del mondo" (I limiti dell’interpretazione, p. 86).
   Ma, ricorrendo all’esempio del lavoro del detective e dello scienziato, pone anche delle condizioni al modo ermetico di interpretare i fenomeni. Continua infatti:
Ma per far scattare l’impulso all’individuazione di segnature occorre una lettura sospettosa del mondo.
   Per leggere sospettosamente il mondo e i testi occorre aver elaborato un qualche metodo ossessivo. Sospettare, in sé, non è patologico: sia il detective che lo scienziato sospettano per principio che alcuni fenomeni, palesi ma apparentemente irrilevanti, possano essere indizio di qualcosa di non palese – e su questa base elaborano un’ipotesi inedita che poi mettono alla prova. Ma l’indizio va preso come tale solo a tre condizioni: che non possa essere spiegato in modo più economico, che punti verso una sola causa (o una ristretta classe di cause possibili) ... e che possa far sistema con altri indizi. (ibid.)
Si osservi che qui abbiamo a che fare con un processo simile all’abduzione di Peirce. Eco scrive:
Il fatto è che lo scienziato non ha bisogno di diecimila prove induttive. Fa una ipotesi, magari azzardata, molto simile a una scomessa, e la mette alla prova. Sino a che la prova dà dati positivi, ha vinto.
   Ora, un detective non procede altrimenti. A rileggere le dichiarazioni di metodo di Sherlock Holmes si scopre che quando egli (e con lui Conan Doyle) parla di Deduzione e Osservazione, in effetti sta pensando a una inferenza simile all’Abduzione di Peirce. (Sugli specchi e altri saggi, pp. 167-168)(7)
Se applichiamo il metodo ermetico alle interpretazioni di un dato testo, non ci pare quindi che sia sbagliato richiedere da una buona soluzione interpretativa in chiave ermetica che:
1) sia economica, cioè non debba partire da premesse inverosimili o comunque condizionate da fattori fuori il controllo dell’autore presunto del testo esaminato;

2) punti verso un numero più o meno ristretto di cause del perché si possa pervenire alla soluzione suggerita;

3) faccia sistema con il resto della rete interpretativa, considerata in tutto o in parte.

Questi tre criteri saranno sempre rispettati in questo studio, sia lungo la traccia della commedia che quella della tragedia.
   Ritornando ancora una volta all’esempio dell’arma celeste (vedi la sezione precedente), l’applicazione dei criteri è più o meno questa:

1) l’autore del testo ha potuto scegliere liberamente il tipo dell’arma con cui far uccidere Severino;

2) la scelta di tale arma particolare è un indizio che l’autore ha voluto legare Severino a una determinata persona nella Divina Commedia (il gigante Briareo);

3) legando Severino a Briareo si riesce a definire un altro pezzo di tutta la rete interpretativa, in tutta conformità con l’ipotesi di base sulla strategia testuale dell’autore del romanzo.

Quanto ai vantaggi del pensiero ermetico può essere utile ricordare che secondo Eco stesso è proprio questo modo di pensare che può aiutarci a trovare nuovi lati interpretativi in molte manifestazioni umane; cfr. fra l’altro questa sua riflessione: "L’utilità di modelli semiotici del genere [quale il modello ermetico] è che essi permettono di individuare manifestazioni di un modo di pensare (che rappresentano sinteticamente) anche in autori e correnti che a prima vista ne sembrano lontani, o che non vi si rifanno in modo esplicito" (Aspetti della semiosi ermetica, p. 4). E in questo lavoro si presentano nuovi lati interpretativi della storia di Adso.
   Qualcuno si domanda a questo punto che cos’è di preciso questo modello ermetico. Dato che ritorneremo più avanti all’argomento (vedi in particolare III-1, sezioni 2c-g dove useremo il modello fra l’altro per abbozzare una via per arrivare al concetto della discordia concors, di cui abbiamo già parlato in I-1.1), ci limitiamo qui a raccomandare di ascoltare Eco stesso che ci insegna che il modello ermetico è, generalmente parlando,
un modo di pensare, e quindi ... un modo di intendere il senso dei segni (comprese le cose e gli eventi intesi come segni), fondato sulla somiglianza e sulla simpatia universale. Questo modo di pensare è in un certo senso "intemporale" – e cioè si presenta come una delle posizioni semiotiche fondamentali sin dall’inizio dei tempi. ... Tuttavia si definisce come semiosi ermetica quel modello che si afferma nei primi secoli della nostra era attraverso la diffusione degli scritti attribuiti a Ermete Trismegisto, lo sviluppo del pensiero gnostico, l’affermarsi della metafisica neoplatonica. Questo modello converge in parte nella tradizione del misticismo giudaico e in particolare nella Cabbala. Agli inizi dell’era moderna, e cioè nel fiorire dell’Umanesimo italiano, queste influenze convergono a nutrire l’ermetismo rinascimentale. (ibid., p. 3)
Nel bagaglio ermetico c’è quindi una serie impressionante di sistemi filosofici di cui alcuni sono complicatissimi. Sottolineiamo pertanto che in questo lavoro ci limiteremo a ricorrere al modello ermetico solo come un mezzo per arrivare il più lontano possibile nell’analisi.
   Per ritornare ora al mondo ristretto dell’abbazia pare che anche Guglielmo aderisca al modo ermetico di pensare, ciò che fa intendere fra l’altro quando espone a Adso il suo metodo di ragionare per pervenire a una soluzione soddisfacente di fatti apparentemente oscuri. Adso scrive:
Di fronte ad alcuni fatti inspiegabili tu devi provare a immaginare molte leggi generali, di cui non vedi ancora la connessione coi fatti di cui ti occupi: e di colpo, nella connessione improvvisa di un risultato, un caso e una legge, ti si profila un ragionamento che ti pare più convincente degli altri. Provi ad applicarlo a tutti i casi simili, a usarlo per trarne previsioni, e scopri che avevi indovinato. Ma sino alla fine non saprai mai quali predicati introdurre nel tuo ragionamento e quali lasciar cadere. E così faccio ora io. (Nome, pp. 307-308)
E se Guglielmo pensa in modo ermetico, come pare, non vediamo perché non potremo farlo anche noi.

4.  Eco come auctoritas di semiotica ed interpretazione
Infine, qualcuno forse si domanderà perché siamo ricorsi così ostinatamente alle opere di Eco stesso nella scelta del metodo con cui analizzare il suo romanzo, includendo nel metodo anche l’uso della struttura omologa. La risposta è che abbiamo scelto questa soluzione perché siamo convinti che bisogna sempre cercare il metodo più adatto possibile alle cose da esaminare. E un metodo d’analisi che si basa sulle idee di Eco stesso in quanto auctoritas di semiotica e di interpretazione di testi letterari e di altri tipi di manifestazioni umane, ci è sembrato più che conveniente per un lavoro indirizzato a scoprire i sottofondi latenti del suo proprio romanzo. In questo senso abbiamo quindi scelto il metodo ex rebus, e non res ex methodo: "ordinem methodumque rebus aptandum esse, non res methodo ac ordini" (Buddeo, Elementa Philosophiae Instrumentalis, VII ed., 1719, p. 265). Opinione che viene ribadita anche da altri e ciò nel campo stesso della letteratura comparata: "la littérature comparée possède-t-elle le monopole d’une méthode? Méthode historique, génétique, sociologique, statistique, stylistique, comparative, elle use de chacune selon ses besoins" (Pichois & Rousseau, op. cit., pp. 173-174). Se dovessimo classificare il nostro metodo potremmo chiamarlo metodo semiotico-strutturale con radici fra l’altro nella semiosi ermetica.
   Tutto sommato, l’analisi da eseguire è da considerarsi come ispirata alle idee di Eco stesso sul concetto della struttura omologa, sull’analisi strutturale, sull’interpretazione di un’opera letteraria e sul metodo ermetico per arrivare a conclusioni fruttuose.
   Bisogna anche precisare che per ragioni di chiarezza abbiamo scelto di impostare tutta l’analisi secondo uno schema che ha sapore di rapporto o indagine in cui, in via di principio, ogni affermazione deve essere sostenuta con argomenti espliciti.
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Dopo i capitoli introduttivi (I-1.1 - 1.4) è ora di procedere alla definizione della struttura omologa NR/DC.

Note

(1)  Che non sia sbagliato chiamare Il nome della rosa la "storia di Adso", appare chiaro se non altro da questa confessione di Eco (nelle Postille a "Il nome della rosa") sulle varie scelte di come battezzare il romanzo: "Il mio romanzo aveva un altro titolo di lavoro, che era l’Abbazia del delitto. L’ho scartato perché fissa l’attenzione del lettore sulla sola trama poliziesca e poteva illecitamente indurre sfortunati acquirenti, in caccia di storie tutte azioni, a buttarsi su un libro che li avrebbe delusi. Il mio sogno era di intitolare il libro Adso da Melk. Titolo molto neutro, perché Adso era pur sempre la voce narrante" (p. 508).

(2)  Ricordiamo la storia della creazione del Monte Purgatorio: "Lucifero, folgorato da Dio, precipitò dal cielo verso la terra ... dalla parte dell’emisfero inferiore; e la terra, che prima occupava questo emisfero, si abbassò per paura di lui che cadeva e si ritrasse fuggendo sotto le acque verso l’emisfero superiore: poi trovandosi a contatto di Lucifero nel centro, quella parte che noi di qua vediamo sorgere nell’ampiezza dell’oceano nell’emisfero inferiore abbandonò il suo luogo, formando il vuoto [la ’natural burella’] ed elevandosi in forma di montagna, la montagna del purgatorio" (Casini-Comm., pp. 269-270). (Casini-Comm.: Alighieri, La Divina Commedia, commento di T. Casini, V ed., Firenze 1920.)

(3)  Per il testo della Commedia (Inf., Purg., Par.) abbiamo usato Alighieri, Tutte le opere, pp. 387-733.

(4)  Si noti che entrambe le strutture sono conformi a ciò che Aristotele sembra richiedere generalmente da una buona opera di azione drammatica: "il tutto è ciò che ha principio, mezzo e fine. Principio è quel che non deve di necessità essere dopo altro, mentre dopo di esso per sua natura qualche altra cosa c’è o nasce; fine al contrario è quel che per sua natura è dopo altro o di necessità o per lo più, mentre dopo di esso non c’è niente; mezzo poi è quel che è esso stesso dopo altro e dopo di esso c’è altro" (La Poetica, trad., Milano 1981, pp. 87-88).

(5)  Per quanto riguarda i tempi abbiamo dovuto in via di principio scegliere fra due opzioni: 1) accettare di definire i rispettivi tempi con grande approssimazione, guadagnando così spazio nel presente testo; 2) cercare di definire i tempi quanto più esattamente possibile (senza però esagerare); ma questa soluzione richiede naturalmente più spazio. Abbiamo scelto la seconda alternativa perché consideriamo più soddisfacente una soluzione che cerca di mettere in primo luogo la precisione.

(6)  Per la Bibbia come un’auctoritas eminentissima, cfr. ad es. Piltz, Auktoritetsbegreppet under skolastiken, in Lychnos, Lärdomshistoriska Samfundets Årsb1984, Stockholm 1984, pp. 67-76.

(7)  A chi volesse approfondire l’interessantissimo argomento abduzione–Peirce–Sherlock Holmes, si raccomanda per es. Il segno dei tre a cura di Eco e Thomas Sebeok.

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