I-2.2.5.3

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I-2.2.5.3.  ELEMENTO OMOLOGO NR/DC 8

La morte nel sangue

A.  OGGETTO DELL’ANALISI
Due momenti in cui i rispettivi Discepoli stanno guardando una persona morta immersa nel sangue. Definizione dei momenti:
   Verso la fine del rito delle laudi del Secondo giorno, Venanzio è trovato morto in un gran recipiente di sangue dietro la chiesa. Interrotte le funzioni sacre, tutti si recano a veder che cosa è successo. Fra quelli che vengono a vedere c’è anche Adso. Adso descrive la scena macabra: "Erano ... due gambe umane, le gambe di un uomo ficcato a testa in giù nel vaso di sangue" (Nome, p. 112). Di quest’episodio scegliamo il momento in cui Adso sta guardando il corpo morto di Venanzio, immerso nel sangue.
   La morte di Venanzio rappresenta nella struttura NR la seconda tromba apocalittica (vedi digressione XVI).
   Il corrispondente momento della struttura DC è quella in cui Dante, arrivato alle anime morte immerse nel sangue bollente del Flegetonte, vede tra gli altri Alessandro Magno: "Io vidi gente sotto infino al ciglio; / e ’l gran Centauro disse: ’E’ son tiranni / che dier nel sangue e nell’aver di piglio. ... quivi è Alessandro ... ’" (Inf., XII, 103-107).(1)

B.  ANALISI COMPARATIVA
Giorno e ora dei momenti (B1) – Conoscenze del greco e della filosofia di Aristotele da parte delle due persone decedute (B2) – Il lato venatorio nelle personalità dei morti (B3) – La sostanza micidiale ingerita prima di morire (B4) – Definizione dell’elemento omologo NR/DC 8 (C).

B1.  GIORNO E ORA DEI MOMENTI
Nel Nome della rosa il rito delle laudi si celebra normalmente fra le 5 e le 6 di mattina. Tutto l’episodio ha luogo verso la fine delle laudi del Secondo giorno (cfr. la definizione del momento). L’ora del momento NR può quindi essere definita fra le 5.30 e le 6 di mattina di quel giorno.
   L’episodio delle anime nel sangue bollente del Flegetonte è riferito nel canto XII dell’Inferno; ha cioè luogo nel Secondo giorno.
   Per il calcolo dell’ora constatiamo che Vernon colloca l’intero canto XII fra le 4 e le 6 di mattina del giorno attuale (cfr. l’incontro con Brunetto del capitolo precedente). Ma dove possiamo inserire esattamente l’episodio del canto XII? Difficile a dirsi. Tanto più che in due sole ore si verificheranno gli avvenimenti di non meno di otto canti (XII-XIX). Pensiamo perciò sia meglio astenersi da ogni ulteriore calcolo di tempo: basta constatare che l’episodio doveva certamente accadere nella prima metà dello spazio temporale indicato, cioè fra le 4.00 e le 5.00 di mattina.

·  I momenti definiti hanno luogo il Secondo giorno, tra le 4.00 e le 6.00 di mattina.

B2.  CONOSCENZE DEL GRECO E DELLA FILOSOFIA DI ARISTOTELE DA PARTE DELLE DUE PERSONE DECEDUTE

Di Venanzio, il morto, si sa fra l’altro questo:

1)  Era un esperto traduttore dal greco. Non si deve quindi essere in dubbio nel concludere che sapeva piuttosto bene quella lingua. Anzi, da un commento di Guglielmo possiamo dedurre che la sapesse anche più che bene: "Venanzio pensava in greco" (Nome, p. 321). Per la conoscenza del greco antico nell’Europa occidentale del tardo medioevo, rimandiamo del resto a I-2.2.1, nota 1;

2)  Aveva una buona conoscenza della filosofia di Aristotele. Lo si sa dal suo modo di ragionare intorno ai pensieri del grande filosofo; si legga in particolar modo la discussione sul riso fra Venanzio, Jorge e altri riferita per bocca di Bencio nel cap. "Secondo giorno, prima": "Venanzio che sa... che sapeva molto bene il greco, disse che Aristotele aveva dedicato specialmente al riso il secondo libro della Poetica e che se un filosofo di quella grandezza aveva consacrato un intero libro al riso, il riso doveva essere una cosa importante. ecc." (ibid., p. 120).

Di Alessandro Magno sappiamo: 1) sapeva parlare il greco (sic); 2) doveva conoscere piuttosto bene la filosofia di Aristotele, essendo stato quest’ultimo maestro e precettore del Macedone quando questi era giovane. Conferma se ne ha praticamente in qualunque enciclopedia, per es. Nuova Enciclopedia Universale Garzanti: "A. Magno ... Figlio di Filippo II, ebbe Aristotele come precettore."

·  Le due persone hanno in comune che in vita sapevano bene il greco e avevano una buona conoscenza della filosofia di Aristotele.

B3.  IL LATO VENATORIO NELLE PERSONALITÀ DEI MORTI
In I-2.2.4, punto B4.2, abbiamo definito un lato caratteristico della persona di Lucifero attraverso la massima "nomina sunt consequentia rerum". A questa massima ritorniamo per definire un tratto caratteristico che appartiene alla personalità di Venanzio, tratto che si vela sotto la corteccia del suo nome: Venanzio. L’analisi è questa: "Venanzio" significa "cacciatore"; cfr. per es. Il Nuovo Zingarelli, p. 2230: "Nel latino dei primi Cristiani Venantiu(m) manteneva il chiaro significato di ’cacciatore’, immediatamente collegato com’era col participio venante(m) del verbo venari ’andare a caccia’, di antica origine indeuropea." Essendo il lato venatorio tipico del nome del morto, ne consegue, in base alla massima citata, che tale lato appartiene anche alla sua personalità.
   Della persona di Alessandro Magno si sanno naturalmente tantissime cose. Volendo tuttavia sintetizzare la sua personalità in qualche singola parola, si può ricorrere per es. al cosiddetto Sarcofago di Alessandro, trovato a Sidon nel 1887. Su questo sarcofago ci sono due grandi rilievi, ciascuno dei quali dà un quadro della vita del gran figlio di Filippo. Un rilievo ce lo presenta come guerriero (naturalmente), e l’altro come cacciatore:

Fig. 2 – Il sarcofago di Alessandro

(Nordisk familjebok, II ed., Malmö 1954 (ristampa), voce "Alexandersarkofagen").

Così, usando il Sarcofago di Sidon, è infatti possibile definire un lato caratteristico del macedone: quello del cacciatore, ossia venatorio. Sappiamo naturalmente anche dalla Storia che gli piaceva tanto la caccia.

·  Tutti e due hanno nelle loro personalità un lato venatorio.

B4.  LA SOSTANZA MICIDIALE INGERITA PRIMA DI MORIRE
Anche Venanzio era attratto dal libro proibito di Aristotele, e anche per lui fu la Commedia del Filosofo a provocargli la morte, o per essere più precisi: fu la sostanza velenosa delle sue pagine che lo uccise. Non sappiamo però le modalità precise della sua morte. Ma nell’interrogatorio con Remigio la mattina del Quarto giorno, Guglielmo si rende tuttavia conto come Venanzio, la notte della sua morte, avesse bevuto qualcosa nella cucina dell’Edificio. Remigio dice infatti di aver trovato lì il corpo morto del monaco, vicino al quale c’erano una tazza infranta e segni di acqua o di altro liquido. Guglielmo fa questa riflessione sulla tazza rotta:

Come Guglielmo mi fece osservare dopo, quella tazza poteva significare due cose diverse. O proprio lì in cucina qualcuno aveva dato da bere a Venanzio una pozione velenosa, o il poveretto aveva già ingerito il veleno (ma dove? e quando?) ed era sceso a bere per calmare una improvvisa arsura, uno spasimo, un dolore che gli bruciava le viscere, o la lingua (ché certamente la sua doveva essere nera come quella di Berengario). (Nome, p. 277)
Sappiamo che in questo caso è la seconda ipotesi che vale. Il che significa che Venanzio, dopo aver ingerito il veleno della Commedia di Aristotele, fu invaso, a quanto pare, da grandi ed improvvisi dolori che evidentemente cercò di attenuare con l’acqua della cucina.
   Quanto alla morte di Alessandro Magno la Storia ci insegna che morì alcuni giorni dopo un banchetto a Babilonia. Purtroppo non si sa con esattezza la vera ragione della sua morte. Morì di febbre improvvisa, ebbrezza eccessiva oppure avvelenamento? Sappiamo comunque che durante il fatale banchetto, dove come sempre abbondava il vino, a un certo punto sembra che Alessandro fosse preso da grandissimi ed improvvisi dolori. Ma se questi dolori fossero causati da una sostanza virulenta maturata proprio allora nel suo corpo (indebolito dall’ebbrezza), da una eccessiva quantità di alcool oppure da un veleno amministratogli insidiosamente in un pocolo, non si sa. Vediamo in ogni modo come Giustino, l’epitomatore delle perdute Historiae Philippicae di Pompeo Trogo, espone il fatto: "Accepto poculo [offertogli] media potione repente velut telo confixus ingemuit elatusque convivio semianimis tanto dolore cruciatus est, ut ferrum in remedia posceret tactumque hominum velut vulnera indolesceret" (Epitoma Historiarum Philippicarum Pompei Trogi, Leipzig 1915, p. 99). E Giustino continua, allegando due delle teorie principali dei dolori del re: "Amici causas morbi intemperiam ebrietatis disseminaverunt, re autem vera insidiae fuerunt, quarum infamiam successorum potentia oppressit" (ibid., pp. 99-100). Come si vede, Giustino (Trogo) credeva più alla teoria dell’avvelenamento, ipotesi che del resto viene sviluppata nel testo che segue. Si aggiunge che anche Curzio Rufo nella sua storia di Alessandro Magno trasmette l’informazione che "Veneno necatum esse credidere plerique" (Historiarum Alexandri Magni Macedonis libri qui supersunt, Leipzig 1912, p. 289). (L’amminstratore del veleno sarebbe stato in quel caso il figlio di Antipater (ibid.).)
   Comunque sia, non deve certo essere sbagliato concludere sulla fine di Alessandro che lui morì dopo aver ingerito una sostanza che gli fu micidiale (un virus o altro microorganismo, troppo alcool oppure un forte veleno), e che questa sostanza, a quanto pare, gli provocò forti ed improvvisi dolori.

·  Muoiono ambedue dopo aver ingerito una sostanza micidiale che a quanto pare ha provocato loro grandi ed improvvisi dolori.

C.  DEFINIZIONE DELL’ELEMENTO OMOLOGO NR/DC 8
Il Secondo giorno, tra le 4.00 e le 6.00 di mattina, il Discepolo vede una persona morta immersa nel sangue.(2) In vita il morto sapeva bene il greco e aveva una buona conoscenza della filosofia di Aristotele; aveva nella sua personalità un lato venatorio. Muore dopo aver ingerito una sostanza micidiale che a quanto pare gli ha provocato grandi ed improvvisi dolori.

Note

(1)  Come si sa esiste anche la possibilità di identificare quest’Alessandro con Alessandro di Fere, il (crudele) tiranno della Tessaglia. Ma i commentatori sono oggi per lo più concordi nello scartare tale alternativa, per es. Dino Provenzal: "non par probabile che si tratti, come altri vogliono, di Alessandro di Fere, ché altrimenti non l’avrebbe citato col solo nome; anche in Inf., XIV, 31, c’è un Alessandro citato col solo nome, ed è il Macedone" (Provenzal-Comm., pp. 98-99). Il passo a cui il Provenzal si riferisce è questo: "Quali Alessandro in quelle parti calde / d’India vide ... fiamme cadere infino a terra salde; ... tale ..." (Inf., XIV, 31-37).

(2)  Per il sangue potremmo eventualmente soggiungere che si tratta di un sangue che bolle o deve bollire. Infatti, quello del Flegetonte era un sangue bollente (vedi la definizione della scena DC), e il sangue del recipiente dietro la chiesa abbaziale era destinato a vivande di vario tipo, incluso il sanguinaccio (cfr. Nome, p. 310).

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