I-2.2.6

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I-2.2.6.  CIÒ CHE ACCADDE DOPO I SETTE GIORNI

In questo capitolo definiremo un solo elemento omologo, elemento che costituirà l’ultima parte della struttura omologa NR/DC.

ELEMENTO OMOLOGO NR/DC 19

Davanti a Dio

A.  OGGETTO DELL’ANALISI
Due importantissimi momenti delle rispettive strutture d’origine in quanto ne costituiscono entrambi la fine. Definiamoli qui:
   Come già sappiamo dalle parole stesse di Umberto Eco (I-1.4, nota 1) Il nome della rosa non è soltanto un resoconto poliziesco di una certa sequenza di eventi accaduti in un’abbazia benedettina dell’Italia settentrionale durante una settimana di fine novembre dell’anno 1327; visto nella sua totalità è invece da definirsi come la storia di una sola persona: la storia di Adso da Melk. E come tutte le storie umane finisce, in ultimo, con la morte. Ed è proprio la morte di Adso che abbiamo posto come l’elemento terminale della struttura NR, ed è pure questa sua morte a costituire l’oggetto dell’analisi del presente capitolo. Si aggiunge che la morte di Adso rappresenta nella struttura NR l’ultima e settima tromba apocalittica (digressione XVI).
   Il corrispondente momento della Divina Commedia, l’elemento terminale della struttura DC, è quello in cui Dante, negli ultimi versi del suo magnum opus, arriva finalmente al cospetto di Dio, che riesce a vedere, in una sintesi di tutte le sue mistiche configurazioni (il mistero della trinitas), in una fulminea illuminazione divina. Citiamo le ultime terzine della Commedia:

Qual è ’l geomètra che tutto s’affige / per misurar lo cerchio, e non ritrova, / pensando, quel principio ond’elli indige, / tal era io a quella vista nova: / veder volea come si convenne / l’imago [dell’uomo] al cerchio [che rappresenta il Figlio della Trinità divina] e come vi s’indova; / ma non eran da ciò le proprie penne: / se non che la mia mente fu percossa / da un fulgore in che sua voglia venne. / All’alta fantasia qui mancò possa; / ma già volgeva il mio disio e ’l velle, / sì come rota ch’igualmente è mossa, / l’amor che move il sole e l’altre stelle. (Par., XXXIII, 133-145)
Quanto all’interpretazione di queste terzine finali ricordiamo che qui si tratta della visione di Dio, avvenuta con il dono della divina grazia illuminatrice (il "fulgore"); Dino Provenzal commenta così il passo citato: "... ma la mia mente non arrivava a penetrar un così profondo mistero ... se non che, la mia mente fu colpita da un fulgore (la grazia divina irrompe a illuminar la mente di D.) ... Era cessata ogni volontà, spento ogni desiderio, per l’uomo che tutto aveva veduto" (Provenzal-Comm., pp. 926-927).(1)

B.  ANALISI COMPARATIVA
Tempo dei momenti (B1) – Ciò che accade ai Discepoli nei momenti definiti (B2) – Definizione dell’elemento omologo NR/DC 19 (C).

B1.  TEMPO DEI MOMENTI
Non sappiamo la data esatta della morte di Adso. Per la nostra analisi basta però averla collocata negli spazi temporali di prima, durante o dopo i Sette giorni, e in questo caso si tratta naturalmente di una data dopo i Sette giorni, anzi molto dopo: "Calcolando che [Adso] si dice novizio nel ’27 e ormai vicino alla morte quando stende le sue memorie, possiamo congetturare che il manoscritto sia stilato negli ultimi dieci o vent’anni del XIV secolo" (Nome, p. 13).
   Il viaggio di Dante termina nel pomeriggio dell’ottavo giorno (giovedì, 14 aprile 1300); termina cioè dopo il periodo chiuso dei Sette giorni.

·  Tutti e due i momenti hanno luogo dopo i Sette giorni.

B2.  CIÒ CHE ACCADE AI DISCEPOLI NEI MOMENTI DEFINITI
Per rendere conto di quanto d’essenziale Adso raggiunge alla sua morte disponiamo la materia in questo modo:

1)  Alla morte si unisce a Dio. Ciò che si capisce da queste due citazioni del cap. "Ultimo folio" nelle quali parla della sua morte imminente: "Non mi rimane che tacere. O quam salubre, quam iucundum et suave est sedere in solitudine et tacere et loqui cum Deo! Tra poco mi ricongiungerò col mio principio" (Nome, p. 503); "Mi inoltrerò presto in questo deserto amplissimo, perfettamente piano e incommensurabile, in cui il cuore veramente pio soccombe beato. Sprofonderò nella tenebra divina, in un silentio muto e in una unione ineffabile" (ibid.).

2)  Unendosi a Dio perviene alla perfetta beatitudine. Citiamo San Tommaso: "Ad perfectam igitur beatitudinem requirit quod intellectus pertingat ad ipsam essentiam primae causae. Et sic perfectionem suam habebit per unionem ad Deum sicut ad obiectum, in quo solo beatitudo hominis consistit" (Summa I-II, q. 3, a. 8, resp.).

3)  Dal fatto che Adso abbia raggiunto la perfetta beatitudine consegue che è anche arrivato a vedere la divina essenza. Ancora San Tommaso: "Respondeo dicendum quod ultima et perfecta beatitudo non potest esse nisi in visione divinae essentiae" (ibid.).

4)  Il fatto che lui abbia potuto vedere la divina essenza significa che ha ricevuto il dono della divina grazia illuminatrice; cfr. Summa I, q. 12, a. 5, resp.:

Cum igitur virtus naturalis intellectus creati non sufficiat ad Dei essentiam videndam ... oportet quod ex divina gratia superaccrescat ei virtus intelligendi. Et hoc augmentum virtutis intellectivae illuminationem intellectus vocamus ... Et istud est lumen de quo dicitur Apoc. 21,23, quod claritas Dei illuminabit eam, scilicet societatem beatorum Deum videntium.
5)  Con la visione di Dio, insieme con quanto altro connesso ad essa, Adso ha pure raggiunto l’ultimo fine della sua vita umana. A giustificazione di ciò basterebbero sicuramente le parole di Boezio sul fine dell’uomo, citate fra l’altro da Dante nella lettera a Cangrande della Scala: "vera illa beatitudo in sentiendo veritatis principium consistit; ut patet per Iohannem ibi: ’Hec est vita eterna, ut cognoscant te Deum verum etc.’; et per Boetium in tertio De Consolatione ibi: ’Te [Deum] cernere finis’" (Epistola XIII, par. 33).(2) Ma in questo caso, dato che si tratta di materia tanto cruciale, pensiamo che non sia superfluo ricorrere anche a San Tommaso. Partendo dallo stesso verso evangelico (San Giovanni 17:3) che figura nella citazione di Dante, egli dice così sull’ultimo fine: "... est quod Dominus dicit, Io 17,3: Haec est vita aeterna, ut cognoscant te, Deum verum unum. Vita autem aeterna est ultimus finis, ut dictum est" (Summa I-II, q. 3, a. 4, contra). Insomma: cognitio (visio) Dei è la vita eterna, l’ultimo fine.

Vediamo ora quello che accade a Dante. Possiamo constatare che anche lui attraversa le stesse esperienze di Adso, ma lo fa in ordine diverso, se è lecito usare tale espressione in questo campo.

1)  Nella definizione del momento abbiamo già detto che lui vede Dio; vede cioè quello che si chiama la divina essenza. Che si tratti realmente della visio divinae essentiae, si ricava dal fatto che in quel momento la sua mente viene illuminata dalla claritas Dei, cosa che avviene proprio a colui a cui mancano ancora le "proprie penne" per vedere l’essenza della divinità (cfr. la citazione nel punto 4 di Adso: "Cum igitur virtus naturalis ecc.").

2)  Dal fatto che Dante sia arrivato a vedere la divina essenza deriva che ha anche raggiunto la perfetta beatitudine (vedi la citazione nel punto 3 di Adso: "Respondeo dicendum quod ecc.").(3)

3)  L’esser Dante pervenuto alla perfetta beatitudine ci induce a concludere che si è pure unito a Dio (rimandiamo alla citazione nel punto 2 di Adso: "Ad perfectam igitur beatitudinem ecc.").

4)  Concludiamo infine che Dante, al pari di Adso, è giunto all’ultimo fine della sua vita. Per giustificarlo non occorre che rimandare al ragionamento del punto 5 di Adso; però, considerato il carattere definitivo di questa conclusione, non pensiamo sia fuori luogo citare quanto Dante stesso dice sulla fine del suo iter visionario: "Et quia, invento principio seu primo, videlicet Deo, nichil est quod ulterius queratur ... in ipso Deo terminatur tractatus" (Epistola XIII, par. 33).
   Per evitare eventuali malintesi bisogna forse a questo punto precisare che Dante viator che qui raggiunge Dio è il Dante della grande visione descritta dal vero Dante, il quale è entrato nella stessa visione nel "mezzo del cammin" della sua vita.

·  In tutte e due le strutture accade ai Discepoli questo complesso di fatti: pervaso dalla grazia divina illuminatrice si unisce a Dio, vede la divina essenza e raggiunge così la perfetta beatitudine, l’ultimo fine della vita.

Dobbiamo adesso soffermarci un po’. Da un punto di vista religioso le descritte cose (se questo è un termine appropriato) rappresentano in effetti il nucleo, l’ultimo fine, della vita di un cristiano quale la concepisce San Tommaso. Costituiscono un tema centrale per un’intera religione.
   Ma possiamo anche continuare, usando la nostra ratio, domandandoci in che ordine queste cinque cose avvenissero per Adso e per Dante, e avvengano generalmente. Se a questo punto ci fosse permesso di esprimere un’opinione di umile dilettante, diremmo che esse sembrano, generalmente parlando, aver luogo in uno stesso momento, legati strettamente l’una all’altra; in teoria potremmo quindi dire che, se per qualcuno si potrà constatare che si è verificata una delle cinque cose, ne consegue che è anche pervenuto a tutte le altre.


C.  DEFINIZIONE DELL’ELEMENTO OMOLOGO NR/DC 19
Al termine della struttura omologa NR/DC, dopo il periodo dei Sette giorni, accade che il Discepolo, pervaso dalla grazia divina illuminatrice, si unisce a Dio; al momento dell’unione, egli vede la divina essenza e raggiunge la perfetta beatitudine, ultimo fine della sua vita.

Note

(1)  Sebbene Dino Provenzal in questa citazione ci aiuti a capire meglio il senso dei versi danteschi, restano tuttavia due cose da chiarire: 1) ciò che il Provenzal intende per "profondo mistero"; 2) la funzione della "grazia divina". Si rimanda alla digressione XV per qualche riflessione in merito.

(2)  Per questo "cernere" (videre) si può dire che non è un semplice atto visivo (per la creazione di una sola immagine visiva), bensì un atto intellettivo dove la facoltà intellettuale, cognitiva, assume la prima parte; si tratta insomma di un "cernere" che comporta comprensione, cognizione ed intuizione; cfr. in argomento quest’affermazione di San Tommaso dove si pone "videre" (cernere) allo stesso livello semantico di "cognoscere": "Unde et videntes Deum dicuntur habere vitam aeternam, secundum illud Io. 17,3: Haec est vita aeterna, ut cognoscant, etc." (Summa I, q. 10, a. 3, resp.). Raccomandiamo anche di consultare per es. quanto Sant’Agostino dice in De videndo Deo (Bonn 1930) sul verbo "videre" (paragrafi 4, 7, 9, ecc.). Pico della Mirandola dice così: "e questo [il viso] è quello che e’ nostri teologi chiamano la cognizione intellettuale, cognizione intuitiva" (Commento ... sopra una canzone de amore ... in De hominis dignitate ecc., p. 498). Dobbiamo pure aggiungere che quest’equivalenza tra "videre" (cernere) e "cognoscere" vale in via di principio per ogni caso in cui si tratti dell’atto di "videre Deum", almeno fin quando ci occupiamo delle cose trascendentali appartenenti alla tradizione religiosa e filosofica del Medioevo cristiano la quale prende le mosse dalla Bibbia e dai Padri della Chiesa.

(3)  Se si obiettasse qui che teoreticamente è immaginabile il caso in cui ci sia pure la visione della divina essenza, ma nello stesso tempo manchi la perfetta beatitudine, rispondiamo citando un altro passo di Tommaso: "... secundum quod talis appetitus non debito modo ordinatur ad cognitionem summae veritatis, in quo consistit summa felicitas" (Summa II-II, q. 167, a. 1, resp.). Per "summa veritas" come locuzione usata per designare Dio, cfr. per. es. "Unde sequitur quod non solum in ipso [Deo] sit veritas, sed quod ipse sit ipsa summa et prima veritas" (Summa I, q. 16, a. 5, resp.); per "cognitio Dei (summae veritatis)" come un’espressione equivalente a "visio Dei" ossia "visio divinae essentiae", si rimanda alla nota precedente.

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