I-2.2.2

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Indice   I parte   II parte   III parte   Digressioni   Tabelle   Piante   Elenchi   Bibliografia

I-2.2.2.  ELEMENTO OMOLOGO NR/DC 3

La persona del discepolo

A.  OGGETTO DELL’ANALISI
I due Discepoli delle strutture d’origine. Conosciamo già le loro identità: sono Adso (Discepolo NR) e Dante (Discepolo DC).

B.  ANALISI COMPARATIVA
Un incontro con una giovane donna (B1) – Il desiderio dei Discepoli di apprendere bene il volgare italiano (B2) – La caduta come un corpo morto (B3) – Un secondo caso del gioco dell’anagramma imperfetto (B4) – Definizione dell’elemento omologo NR/DC 9 (C).

B1.  UN INCONTRO CON UNA GIOVANE DONNA
Definizione degli incontri (B1.1) – L’ambiente illuminato (B1.2) – L’età dei Discepoli al tempo degli incontri (B1.3) – Ora degli incontri (B1.4) – La "consumazione dell’amore" (B1.5) – I nomi delle giovani (B1.6) – Le giovani come i primi amori terreni dei Discepoli (B1.7) – Comportamento di un rappresentante dell’amore (B1.8) – L’involto con la tela sanguigna (B1.9).

Per questa parte dell’analisi che occuperà maggior spazio, partiremo da due incontri importantissimi che i rispettivi Discepoli hanno avuto con una giovane donna. Bisogna però subito dire che l’incontro di Dante, contrariamente a quanto accade per Adso, avviene su un altro piano della realtà: avviene su un piano che potremmo chiamare visionario. Ma ciò non toglie nulla all’esito dell’analisi che stiamo per intraprendere perché quello di Dante è sempre un incontro, sia pure di un altro grado reale.
   Un altro fatto che potrebbe disturbare è che lo stesso incontro DC avviene in un tempo che precede di parecchi anni i Sette giorni della Divina Commedia; ma considerando il fatto che anche le cose accadute a una persona all’età di diciott’anni appartengono alla totalità della stessa persona osservata da noi anche molti anni più tardi, non deve certo disturbare l’analisi se usciamo dai Sette giorni della Commedia per definire attraverso un’altra fonte, la Vita nuova, un fatto che costituisce una parte irrevocabile del curriculum di Dante. Ricordiamo anche quanto abbiamo detto sulla totalità organica di una struttura (I-1.4, sez. 1).

B1.1.  DEFINIZIONE DEGLI INCONTRI
Nel cap. "Terzo giorno, dopo compieta" si racconta come Adso, nella cucina dell’Edificio, incontra una giovane donna, come questa giovane gli accende nel cuore un forte ed impetuoso amore e come quest’amore, sul pavimento della stessa cucina, viene da lei portato a compimento (cioè la giovane fa sì che l’amore di Adso venga completamente soddisfatto). Si tratta cioè dell’incontro amoroso con la giovane "bella e terribile come un esercito schierato a battaglia" (Nome, p. 248), ed è proprio quest’incontro che ci interessa qui.
   L’incontro corrispondente di Dante è esposto nel cap. III della Vita nuova(1). Lì Dante rende conto come l’amata Beatrice, esattamente nove anni dopo il loro primo incontro, gli abbia dato un suo gentilissimo saluto. Racconta poi il suo turbamento mentale per quel dolce saluto (più che amichevole?) e come si rechi subito a casa immerso in pensieri amorosi. La notte che segue, egli continua, ha una visione in cui ha quell’incontro con la sua Donna che analizzeremo in seguito: si tratta cioè del noto sogno di Dante che comincia così: "E pensando di lei, mi sopragiunse uno soave sonno, nello quale m’apparve una maravigliosa visione: che me parea vedere ne la mia camera una nebula di colore di fuoco, dentro a la quale io discernea una figura d’uno segnore di pauroso aspetto a chi la guardasse". Ed è pure in quel sogno che vedremo esposto, fra l’altro, come quella "figura d’uno segnore", che rappresenta Amore, nelle sue braccia porta Beatrice che giace dormendo, avvolta in un drappo sanguigno, come Amore in una mano tiene il cuore ardente di Dante, e come poi il Dio desti Beatrice, esortandola a mangiare il cuore di Dante, cosa che lei fa con un po’ d’esitazione: "pareami che [Amor] disvegliasse questa che dormia; e tanto si sforzava per suo ingegno, che le facea mangiare questa cosa [il cuore di Dante] che in mano li ardea, la quale ella mangiava dubitosamente" (ibid.).

B1.2.  L’AMBIENTE ILLUMINATO
Se guardiamo all’ambiente in cui si verifica l’incontro NR, il testo ci dà una ben chiara indicazione che si tratta di un ambiente illuminato, illuminato dalla luna, per essere più precisi. Adso descrive i momenti che precedono l’incontro: egli ha sceso la scala che porta al refettorio vicino alla cucina, e si ferma un po’:

Quivi ristetti, ansimante. Dalle vetrate penetrava la luce della luna, in quella notte luminosissima, e quasi non avevo più bisogno del lume ... Tuttavia lo mantenni acceso, quasi a cercar conforto. ... Poiché la cucina era vicina, attraversai il refettorio e aprii lentamente una delle porte che dava nella seconda metà del piano terra dell’Edificio.
   E a questo punto il mio terrore ... aumentò. Perché mi avvidi subito che qualcuno stava nella cucina ... o almeno mi avvidi che in quell’angolo brillava un lume, e pieno di spavento spensi il mio. Spaventato com’ero, incutei spavento, e infatti l’altro (o gli altri) spensero rapidamente il loro. Ma invano, perché la luce della notte illuminava abbastanza la cucina per disegnare ... una o più ombre confuse. (Nome, p. 245)
Un tratto caratteristico che riguarda l’ambiente dell’incontro DC è che la scena avviene in una gran luce. Tutta la visione è infatti ambientata in una nuvola che brilla come il fuoco; ritorniamo alla definizione della scena: "... che me parea vedere ne la mia camera una nebula di colore di fuoco" (Vita nuova, cap. III). Si tratta insomma di un ambiente illuminato.

·  Gli incontri avvengono in un ambiente illuminato.

Potremmo quasi dire che in entrambi i casi si tratta di un incontro ardente: l’incontro di Adso per il fatto che è un incontro amoroso; quello di Dante a causa del fuoco che funge da sfondo di tutta la scena e il cui ardore, attraverso un’ipallage, può essere trasferito a tutta la scena, cioè all’incontro visionario di Dante con l’amata: lo sfondo ardente dell’incontro fa quindi sì che tutto l’incontro divenga proprio ardente.

B1.3.  L’ETÀ DEI DISCEPOLI AL TEMPO DEGLI INCONTRI
Per sapere l’età precisa di Adso quando incontra la ragazza, ci fa comodo ricorrere a ciò che dice Eco stesso. Nelle Postille si esprime così sulla persona di Adso e su quello che lui racconta da vecchio: "Adso racconta a ottant’anni quello che ha visto a diciotto" (p. 517).
   Per determinare l’età di Dante al tempo del suo incontro nella visione con Beatrice si deve fare un breve calcolo.
   Dante vide Beatrice per la prima volta quando lui aveva quasi nove anni compiuti; cfr. il cap. II della Vita nuova dove Dante descrive il suo primo incontro con la fanciulla: "Nove fiate già appresso lo mio nascimento era tornato lo cielo de la luce quasi a uno medesimo punto ... quando a li miei occhi apparve prima la gloriosa donna de la mia mente [Beatrice] ... ed io la vidi quasi da la fine del mio nono." Come abbiamo visto prima, Dante riceve da Beatrice il gentil saluto precisamente nove anni dopo averla vista per la prima volta. Citiamo dal cap. III:

Poi che furono passati tanti die, che appunto erano compiuti li nove anni appresso l’apparimento soprascritto di questa gentilissima, ne l’ultimo di questi die avvenne che questa mirabile donna apparve a me vestita di colore bianchissimo.
Da queste indicazioni di tempi e di età concludiamo che Dante, al tempo della visione, aveva quasi 18 anni.

·  Al tempo degli incontri i Discepoli sono giovani di circa diciott’anni.

B1.4.  ORA DEGLI INCONTRI
L’incontro di Adso con la giovane avviene di notte qualche ora dopo compieta. È difficile stabilire l’ora esatta. Si può tuttavia fare un’approssimazione che definisce l’ora fra le 20.00 e le 21.00, probabilmente non molto prima e non molto dopo. Il calcolo parte dal momento in cui Adso lascia Guglielmo per andare, come fa intendere, alla sua cella per la notte, dopo aver mangiato insieme al maestro nella cella di quest’ultimo ("portai il cibo a Guglielmo. Mangiammo, e io mi ritirai nella mia cella. O almeno, finsi" (Nome, p. 223)). Secondo la regola i monaci vanno a coricarsi entro le 7 di sera. L’ora della partenza deve pertanto essere intorno alle 19. Dopo questo momento passa non poco tempo fino all’incontro con la giovane. Per essere in grado di valutare tale arco di tempo, almeno in modo approssimativo, sarà utile prima fare un breve riassunto di quello che Adso fece dopo il citato punto di partenza.
   Fa finta di recarsi alla sua cella, mentre invece va alla chiesa per parlare con Ubertino. Con lui discute a lungo sulla vita di fra Dolcino e sull’amore. Dopo, Adso entra per la solita via sotterranea nell’Edificio. Dapprima sosta nello scriptorium dove legge da un codice la (lunga) storia di fra Dolcino. Poi, salendo le scale che portano alla biblioteca proibita, ha una visione della morte sul rogo di frate Michele, che aveva visto a Firenze alcuni mesi prima. Entra nella biblioteca dove legge qua e là da qualche volume. Infine decide di uscirne. Scende. Vuole bere dell’acqua ed entra così nella cucina dove incontrerà la giovane.
   Volendo valutare con cauzione il tempo impiegato per eseguire tutte queste cose, si arriva a 1-2 ore all’incirca. Cioè, l’ora dell’incontro con la fanciulla potrà definirsi approssimativamente fra le 20 e le 21 (ore 19 + 1-2 ore).(2) Traducendo infine questo spazio di tempo in termini di ore tradizionali si può concludere che l’incontro con la giovane avvenne, con ogni probabilità, entro la terza e la quarta ora di notte (cfr. tabella V).
   Secondo Dante stesso la visione in cui si verifica l’incontro con Beatrice, avviene nella quarta ora della notte: "trovai che l’ora ne la quale m’era questa visione apparita, era la quarta de la notte stata" (Vita nuova, cap. III). È inutile ricordare che in questo caso si tratta di ore notturne tradizionali.

·  Gli incontri sono da collocare in un arco temporale che comprende le ore 3-4 tradizionali della notte.

Dobbiamo naturalmente concedere che sarebbe stato più soddisfacente se avessimo potuto arrivare, per i tempi degli incontri, alla stessa ora, cioè alla quarta ora di notte (ore tradizionali). Ciò sarebbe stato infatti possibile se per l’incontro di Adso avessimo usato un calcolo meno cauto, affermando che per fare tutte le cose che precedettero l’incontro stesso (elencate nel testo), ci sarebbero voluti come minimo 90 minuti, anziché i 60 che abbiamo indicato. Così si sarebbe arrivati ad un limite inferiore dell’incontro di Adso collocabile intorno alle 20.30 invece delle 20.00 precise. E le ore 20.30 rientrano perfettamente nella quarta ora (tradizionale) della notte (cfr. sempre tabella V).

B1.5.  LA "CONSUMAZIONE DELL’AMORE"
L’incontro di Adso con la giovane culmina, come sappiamo, nel compimento dell’atto amoroso. Ora, in italiano "compiere l’atto amoroso (sessuale)" equivale, linguisticamente parlando, a "consumare l’amore" (si veda per es. Battaglia, Grande dizionario della Lingua italiana, Torino 1961-1992). Per l’incontro ardente di Adso si può quindi dire che nell’atto stesso in cui lui si congiunge carnalmente con la giovane (con il culmine di estasi), il suo amore viene consumato da lei.
   Al momento della consumazione dell’amore (il culmine dell’unione) Adso vede una luce brillante. Ecco le sue stesse parole del momento di zenith: "mi rimase solo la forza di mormorare le parole del salmo ... e subito vidi una fulgidissima luce" (Nome, p. 250).
   Possiamo aggiungere che l’unione fra Adso e la ragazza è carica di simbolismo. Vedi digressione V.
   Anche nel caso di Dante si verifica una consumazione dell’amore da parte dell’amata. Però, se la consumazione dell’amore di Adso era di tipo "normale", quella di Dante è di un tipo che diremmo simbolico.
   Nell’incontro della visione accade, come abbiamo già visto nella definizione dell’incontro, fra l’altro questo: Dante vede Beatrice che dorme nelle braccia di Amore, il quale in una mano porta il cuore (ardente) di Dante; a un certo punto Amore desta Beatrice esortandola a mangiare questo cuore; il che lei fa ma "dubitosamente". Ripetiamo le parole di Dante: "pareami che [Amore] disvegliasse questa che dormia; e tanto si sforzava per suo ingegno, che le facea mangiare questa cosa [il cuore di Dante] che in mano li ardea, la quale ella mangiava dubitosamente" (Vita nuova, cap. III). Il punto centrale di quest’atto è questo: Beatrice mangia il cuore di Dante. Esaminando più da vicino quest’espressione abbiamo: dal punto di vista lingustico "mangiare qualcosa" vale lo stesso di "consumare qualcosa" (per quest’interpretazione della voce "consumare" è inutile ricorrere al vocabolario). Dal punto di vista simbolico il cuore di qualcuno equivale al suo amore (per qualcun’altro/altra).(3)
   Per questo, se uno/una mangia il cuore di una persona, tale atto equivale, linguisticamente e simbolicamente parlando, all’atto di consumare l’amore della stessa persona. Si tratta insomma di un’allegoria per esprimere il concetto della (reale) consumazione dell’amore. Ritornando al caso di Dante, dove il suo cuore, quello che Beatrice mangia/consuma, è un ovvio simbolo del suo amore per lei, si ha quindi: quando Beatrice mangia il cuore di Dante, ciò significa attraverso un’allegoria che lei consuma l’amore di lui. Tutto sommato, nell’incontro "ardente" di Dante con Beatrice si verifica una consumazione del suo amore da parte di lei.(4)
   Nell’atto della consumazione del suo cuore (amore), Dante vede, al pari di Adso, una luce brillante. In effetti, l’ardente cuore di Dante (consumato/mangiato da Beatrice) deve, per il fatto stesso di "ardere tutto", emettere una non trascurabile quantità di luce brillante; deve anzi costituire un punto ben luminoso e preciso per chi, per così dire, sta fuori la scena a guardare quello che vi succede, come Dante fa nel sogno; e guardando "dal di fuori" questo strano atto di consumazione, egli doveva naturalmente aver gli occhi fissi proprio su quella cosa che veniva consumata, cioè sul suo cuore ardente. Per l’ardente cuore di Dante, ecco le relative parole: "E ne l’una de le mani mi parea che questi [Amore] tenesse una cosa la quale ardesse tutta, e pareami che mi dicesse queste parole: ’Vide cor tuum’" (ibid.). E come abbiamo visto già prima, il cuore di Dante arde durante tutto l’atto della sua consumazione ("[Amore] le facea mangiare questa cosa [il cuore] che in mano li ardea, la quale ella mangiava dubitosamente" (ibid.).)

·  Negli incontri avviene una consumazione dell’amore dei Discepoli da parte delle rispettive giovani. All’atto stesso della consumazione dell’amore i Discepoli vedono una luce brillante.

Per arrivare alla prima parte di questa conclusione abbiamo usato due diversi significati della parola "consumare". È lecito perciò domandarsi come mai il verbo "consumare" possa avere questi due significati così differenti. La risposta è semplice: sono due verbi latini, "consumere" e "consummare", che sono alla base del verbo italiano "consumare" (vedi per es. Il Nuovo Zingarelli). Per il resto è da aggiungere che, a quanto pare, Eco farà uso un’altra volta (almeno) della possibilità d’interpretare variamente la parola "consumare". Lo farà quando ci presenterà Jorge come un consummator comoediae. (Rimandiamo alla digressione XIV, punto b.)
   Un altro commento: nella scena NR Adso vede la luce brillante solo al culmine dell’unione con la giovane ("e subito vidi una fulgidissima luce"); nel sogno di Dante la luce del cuore ardente c’è stata anche prima della consumazione del cuore, seppur percepita con minor intensità da Dante. Ma questa differenza non toglie niente alla conclusione come l’abbiamo formulata qui.


B1.6.  I NOMI DELLE GIOVANI
Per quanto riguarda il nome della giovane di Adso possiamo semplicemente dire che non lo sappiamo; cfr. queste parole del vecchio Adso a commento dell’episodio (cap. "Quinto giorno, compieta") in cui lui, dopo aver appreso da Guglielmo che la giovane sarebbe stata bruciata come strega, tutto disperato e solo nella sua cella, vuole invocarne il nome: "Dell’unico amore terreno della mia vita non sapevo, e non seppi mai, il nome" (Nome, p. 409). Ora, una persona di cui si tace il nome, per ignoranza o con intenzione, viene definita come una persona innominata. Dunque, la giovane di Adso era un’innominata, un’innominata per ignoranza, per essere più precisi.
   Nella presentazione della "gloriosa donna" (cap. II della Vita nuova) Dante fa questo commento sul suo nome: "... la quale fu chiamata da molti Beatrice li quali non sapeano che si chiamare [quale nome usare]" (cap. II). E, come si sa, la chiamerà "Beatrice" anche in seguito: "da la gentilissima Beatrice" (cap. V); "Quella nostra Beatrice" (cap. XII); "monna Bice [forma accorciata]" (cap. XXIV, sonetto); ecc. ecc. In nessun caso ci rivela il suo vero e proprio nome, cioè quello di battesimo; usa sempre per lei la denominazione di "quelli che non sapevano che si chiamare". Dunque, l’amata della visione di Dante viene presentata senza indicazione del suo nome vero e proprio: è cioè innominata.(5)

·  Le giovani degli incontri sono da definire come innominate.

B1.7.  LE GIOVANI COME I PRIMI AMORI TERRENI DEI DISCEPOLI
Volendo definire ciò che la giovane rappresenta per Adso da un punto di vista amoroso, possiamo senz’altro dire che è il solo amore terreno della sua vita; cfr. il già riportato commento di Adso (punto B1.6): "Dell’unico amore terreno della mia vita non sapevo, e non seppi mai, il nome" (Nome, p. 409). Per quest’amore si può anche dire che, essendo unico, costituisce per Adso il suo primo amore.
   Anche nel caso di Beatrice si può dire che essa rappresenta il primo amore terreno per Dante. Sul fatto che "questa gentilissima" sia davvero il primo amore (terreno) di Dante, non è forse necessario prolungarsi. Possiamo tuttavia ricordare qualche passo illustrativo: "Quel sol [Beatrice] che pria d’amor mi scaldò ’l petto" (Par., III, 1); "E così ... dico e affermo che la donna di cu’ io innamorai appresso lo primo amore [Beatrice] fu la bellissima e onestissima figlia de lo Imperadore de lo universo a la quale Pittagora pose nome Filosofia" (Convivio, II:15(6)). (A questo punto bisogna forse rammentare che Beatrice non fu per Dante l’unico amore terreno; lo dimostra per es. nella seconda canzone del Convivio, "Amor che ne la mente mi ragiona". Beatrice sarà tuttavia per sempre il suo Grande amore.)

·  Le giovani rappresentano il primo amore terreno per i Discepoli.

B1.8.  COMPORTAMENTO DI UN RAPPRESENTANTE DELL’AMORE
Come abbiamo visto nel punto precedente, la giovane rappresenta il primo amore terreno di Adso; riveste cioè il ruolo di un buon rappresentante dell’amore. Nel punto B1.5 abbiamo descritto una delle cose veramente importanti che quest’amore fa nel corso dell’incontro NR, cioè la consummatio amoris. Ma ci sono anche altre cose da mettere sull’elenco. Eccone alcune:

–  essa piange. Cfr. come Adso la descrive proprio all’inizio dell’incontro: "Era dunque una donna. ... e mi parve in ogni caso valde bona. Forse perché tremava come un uccellino d’inverno, e piangeva, e aveva paura di me" (Nome, pp. 246-247). Si può aggiungere che il pianto non era di quelli rumorosi; era tuttavia ben percepibile. Infatti, prima di entrare nella cucina Adso si ferma sul limine tra refettorio e cucina e vede presso il forno un’ombra da cui proviene un suono che lui descrive così: "Proveniva infatti dall’ombra un gemito, quasi un pianto sommesso, un singhiozzo ritmico, di paura" (p. 245);

–  dimostra un aspetto pauroso. Cfr. l’ultima parte della citazione "Nome, pp. 246-247" di sopra ("e aveva paura di me"). Ma per questa paura della giovane si deve ammettere che la sua dimostrazione propriamente visuale non era forse molto evidente o marcata: si trattava sempre, bisogna ricordarlo, di un’ombra di persona viva. Non possiamo quindi affermare con certezza sufficiente che Adso proprio vedesse l’aspetto pauroso di lei. Tuttavia, qualche momento dopo, cioè dopo che Adso le ha rivolto le sue prime parole, ella prende paura davvero, e allora deve trattarsi di una ben visibile paura: "Avvertii che non capiva il mio latino e d’istinto mi rivolsi a lei nel mio volgare tedesco, e questo la spaventò moltissimo" (p. 247);

–  pronuncia parole di cui Adso (l’amante) non capisce che una piccola parte. Cfr. un po’ più giù nel testo del Nome della rosa: "Conoscevo pochissimo il suo volgare, e in ogni caso era diverso da quello che avevo in parte appreso a Pisa, tuttavia mi avvidi che dal tono che essa mi diceva parole dolci, e mi parve dicesse qualcosa come: ’Tu sei giovane, tu sei bello...’" (ibid.).

Nell’incontro DC, a rigor di logica, ci sono due persone che possono competere per il titolo di "rappresentante dell’amore": Beatrice che dorme (l’amore di Dante) e il dio Amore stesso. Però, in questo caso sarà più fruttuoso dare il titolo ad Amore, scelta che anche deve considerarsi più naturale dato che nella scena Beatrice è "solo" una donna in carne ed ossa (seppur angelica), mentre Amore è un dio. In base a tale scelta vediamo ora come questo rappresentante dell’amore si comporti nel corso dell’incontro, in tutta corrispondenza con quello che fa l’amata di Adso (rappresentante dell’amore dell’incontro NR):

–  Amore piange. Leggiamo cosa accade dopo che Beatrice ha mangiato il cuore di Dante: "Appresso ciò poco dimorava che la sua letizia [quella di Amore] si convertia in amarissimo pianto; e così piangendo, si ricogliea questa donna ne le sue braccia" (Vita nuova, cap. III);

–  egli dimostra un aspetto pauroso. Dante racconta come all’inizio del sogno "me parea vedere ... una nebula di colore di fuoco, dentro a la quale io discernea una figura d’uno segnore di pauroso aspetto a chi la guardasse" (ibid.). Ma davanti a quel "pauroso aspetto" di Amore ci domandiamo un po’ incuriositi: il dio Amore aveva veramente paura? Certo che no. Perché in questo caso l’aggettivo va preso in un suo significato meno comune, cioè nel senso di "che incute paura" (Il Nuovo Zingarelli, Bologna 1987 (ristampa));

–  pronuncia parole di cui Dante (l’amante) non capisce che una piccola parte. Siamo sempre all’inizio del sogno di Dante: Amore prende forma, dimostra una gran letizia e parla a Dante il quale, tuttavia, non capisce molto di quello che dice: "e ne le sue parole dicea molte cose, le quali io non intendea se non poche" (Vita nuova, cap. III).

·  In ognuno degli incontri c’è una persona che rappresenta l’amore e a cui, nel corso degli incontri stessi, capita di piangere, di presentare un aspetto pauroso e di pronunciare parole di cui l’amante non capisce che una piccola parte.

Si osservi che con l’elencare queste azioni non intendiamo che debbano avvenire proprio nell’ordine in cui sono presentate. Nell’incontro NR l’ordine temporale delle azioni è questo: pianto e insieme aspetto pauroso (più o meno visibile, vera paura) – aspetto pauroso (tutto visibile, vera paura) – parole oscure. Nell’incontro DC l’ordine corrispondente è invece il seguente: aspetto pauroso (che incute paura) – parole oscure – pianto.

Un commento a parte:  Anche se il legame tra la giovane di Adso e Beatrice fin qui pare più che evidente, si può nondimeno definire un altro punto di contatto, il quale però si riferisce solo "per la metà" agli incontri definiti. Vedi digressione VI.


B1.9.  L’INVOLTO CON LA TELA SANGUIGNA
All’inizio della scena Adso si accorge che la ragazza porta un involto stretto al petto: "Così mi feci dappresso all’ombra, sino a che, alla luce della notte ... mi avvidi che era una donna, tremante, che serrava al petto con una mano un involto, e che si ritraeva piangendo verso la bocca del forno" (p. 246). Adso le si avvicina e dopo un po’ si appressa anche la fanciulla, fino ad essergli proprio vicino. Gettato l’involto in un angolo gli accarezza il volto. Poi avvengono le cose una dopo l’altra. Dopo l’atto amoroso giacciono insieme sul pavimento della cucina, fino a che il giovane si addormenta in uno stato gaudioso (pp. 248-253). Adso, destandosi qualche oretta dopo, si accorge che la ragazza lo aveva lasciato solo; invece trova l’involto:

Mi alzai ... Mi rivestii ... Scorsi ... in un canto l’involto che la ragazza aveva abbandonato nel fuggire. Mi chinai a esaminare l’oggetto: era una sorta di pacco fatto di tela arrotolata, che sembrava venire dalle cucine. Lo svolsi, e sul momento non capii cosa vi fosse dentro ... Poi compresi: tra grumi di sangue e brandelli di carne più flaccida e biancastra, stava davanti ai miei occhi, morto ma ancora palpitante ... solcato da nervature livide, un cuore, di grandi dimensioni.
A questo punto Adso si riempie di orrore, emette un grido e cade "come un corpo morto". Sul conto dell’involto, che evidentemente è stato presente già dall’inizio della scena, constatiamo che l’involucro è un pezzo di tela ("tela arrotolata"), la quale dev’essere inbrattata di sangue per i "grumi di sangue": si trattava insomma di una tela insanguinata, ossia sanguigno. In una parola, l’involto della ragazza aveva un involucro di tela sanguigna e dentro vi era qualcosa di carne e sangue (il cuore).
   Per il confronto con la scena della Vita nuova cominciamo con la tela sanguigna dell’involto, la quale fa eco con il "drappo" in cui è involta Beatrice all’inizio del sogno di Dante:
... e ne le sue parole [Amore] dicea molte cose, le quali [io] non intendea se non poche ... Ne le sue braccia mi parea vedere una persona dormire nuda, salvo che involta mi parea in uno drappo sanguigno leggeramente, la quale io riguardando molto intentivamente, conobbi ch’era la donna de la salute [Beatrice] (Vita nuova, cap. III).
Il drappo di Beatrice non era naturalmente imbrattato di sangue, ma il suo colore era roseo ("sanguigno leggeramente"). Per tale colore vedi per es. la relativa nota a p. 11 della Vita Nuova nell’edizione B.U.R., con note a cura di Lodovico Magugliani, Milano, Rizzoli, 1952: "lievemente tinto di rosso, cioè roseo". (L’aggettivo "sanguigno" ha quindi due significati.) Per drappo come tela pregiata non occorrono spiegazioni. E dentro al drappo giaceva Beatrice (nuda) la quale anch’essa può essere definita – un po’ irrispettosamente – come qualcosa di carne e sangue.

·  All’inizio di tutte e due le scene c’è la presenza di qualcosa di carne e sangue inviluppato in una tela sanguigna.

B2.  IL DESIDERIO DEI DISCEPOLI DI APPRENDERE BENE IL VOLGARE ITALIANO
Poco prima d’incontrarsi con Guglielmo a Pisa, Adso s’era aggirato per qualche settimana in Toscana, visitando tra l’altro la città di Firenze. Nel manoscritto egli precisa che questo suo aggirarsi in quella regione d’Italia era dovuto soprattutto al suo desiderio di "apprendere meglio" il volgare. Ecco le sue parole: "Mi ero aggirato per la Toscana, per apprendere meglio il volgare italiano" (Nome, p. 236).
   Per Dante si possono quasi dire le stesse cose: sappiamo infatti che in De vulgari eloquentia egli va in caccia della "pantera odorosa", animale che per lui rappresenta proprio il volgare illustre italiano. Sappiamo pure che anche dopo un lungo giro per molte parti d’Italia non riesce a pigliarla; egli scrive infatti: "Postquam venati saltus et pascua sumus Ytalie, nec pantheram quam sequimur adinvenimus, ut ipsam reperire possimus ..." (I, xvi(7)).
   Guardando al territorio dove si effettua la caccia, quale essa è esposta in De vulgari eloquentia, possiamo constatare che Dante si aggira per un ristretto numero di regioni tra cui figura anche quella di Toscana: "Post hec veniamus ad Tuscos" (I, xiii).
   Della caccia di Dante si può quindi dire che, andando in caccia del volgare italiano, Dante manifesta chiaro il suo desiderio di prendere, ossia afferrare, questo volgare; usando poi "apprendere" per il concetto di "prendere" o "afferrare", Dante vuole insomma apprendere quel volgare e tenerlo bene. (Per "apprendere" nel senso un po’ antiquato di "prendere tenacemente", vedi per es. Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, IX ed., Bologna 1967; si rammenti anche il significato del verbo latino "apprehendere".)
   Concludiamo sulla caccia dantesca: quando Dante s’aggira per la Toscana e altre parti d’Italia per pigliare la pantera odorosa, ciò significa che il cammino lo fa allo scopo di apprendere bene il volgare italiano.

·  I Discepoli si sono aggirati per qualche contrada d’Italia inclusa la Toscana, allo scopo di apprendere bene il volgare italiano.

Per questa conclusione facciamo due commenti:

–   Nel caso di Adso il territorio definito come "qualche parte d’Italia" s’identifica con la sola Toscana; per Dante il corrispondente territorio comprendeva anche altre regioni.

–   È chiaro naturalmente che nel Nome della rosa Adso fa il giro prima dell’incontro con la giovane, e che il tempo del giro di Dante è da collocarsi dopo l’incontro esposto nel punto B1. Ma ciò non deve disturbare l’analisi e la definizione del Discepolo: infatti, il cammino di Dante è sempre da annoverarsi fra le cose fatte da lui in qualità di persona totale. (Cfr. anche quanto diciamo alla fine di questo capitolo.)

B3.  LA CADUTA COME UN CORPO MORTO
Dopo l’incontro con la ragazza (punto B1) Adso si addormenta: "Fu[i] immesso in tali sensazioni di inenarrabile gaudio interiore, che mi assopii" (Nome, p. 253). Ma si destò poco dopo, e quando allungò il braccio non sentì più il corpo della fanciulla, che era sparita mentre lui dormiva. Invece c’era in un canto un involto lasciato da lei. Svolse l’involto e vi trovò un cuore di bue "morto ma ancora palpitante" e "di grandi dimensioni" (ibid.). Adso sviene e con un urlo cade per terra. Egli scrive: "Un velo oscuro mi scese sugli occhi, una saliva acidula mi salì alla bocca. Lanciai un urlo e caddi come cade un corpo morto" (ibid.). Si aggiunge che evidentemente il suo svenimento era stato provocato da una forte reazione emozionale.
   Quanto all’ora dello svenimento la possiamo collocare non molto prima delle 21 (ora approssimativa del tramonto della luna: vedi nota 2), perché dopo aver dormito un po’ Adso si risveglia e vede che la luce della luna sta sparendo: "Riaprii gli occhi alquanto dopo [l’amplesso con la ragazza] e la luce della notte, forse a causa di una nube, si era affievolita" (ibid.). In questo caso basta però constatare che lo svenimento accadde la notte prima delle 24.00.
   Nessuno dimentica mai gli ultimi versi del quinto canto dell’Inferno, ossia le parole con cui Dante rende conto della sua reazione dopo il racconto tragico di Francesca da Rimini: "Mentre l’uno spirito questo disse, / l’altro piangea, sì che di pietade / io venni men così com’io morisse; / e caddi come corpo morto cade" (Inf., V, 139-142). Anche in questo caso si ha quindi a che fare con una reazione emozionale che provoca uno svenimento e una caduta "come un corpo morto".
   Mentre l’episodio di Adso accade il Terzo giorno, quello di Dante si verifica già il Primo giorno. Quanto all’ora, non possiamo fissarla esattamente, ma essa deve almeno essere tra le ore notturne, perché già nel canto VII, verso 96, è mezzanotte (vedi tabella III).

·  In una delle prime tre notti dei Sette giorni accade ai Discepoli di avere una forte reazione emozionale che li fa svenire e cadere come un corpo morto.

Sarebbe naturalmente stato più soddisfacente se avessimo potuto stabilire che Adso e Dante avessero scritto praticamente le stesse parole. Ma non è purtroppo così semplice perché nel manoscritto di Adso le parole corrispondenti dovevano essere in latino.
   Si deve inoltre ammettere che sarebbe stato meglio se avessimo potuto collocare l’episodio dello svenimento di Adso (accaduto nella notte del Terzo giorno) nel Primo giorno in cui avviene il corrispondente svenimento di Dante. Ma ciò sarebbe stato impossibile perché, tra l’altro, il Primo giorno Adso non sapeva come arrivare nottetempo, tutto solo, all’edificio; né sarebbe stata una buona idea riempire il primo giorno di troppe cose, almeno da un punto di vista narrativo: avrebbe disturbato il ritmo del romanzo.


B4.  UN SECONDO CASO DEL GIOCO DELL’ANAGRAMMA IMPERFETTO
Il nome di Adso suona in latino, al caso genitivo: ADSONIS(8). Questa forma genitiva è anche riconoscibile nella seguente forma imperfetta: ADS–NI–(9). La qual forma contiene 5 lettere: D,N,S,A,I. Possiamo quindi dire che il nome di Adso, nella sua forma genitiva latina, è riconoscibile in una configurazione particolare delle sole lettere D,N,S,A,I. (Quanto alla scelta del caso genitivo, vedi più sotto.)
   In latino, caso genitivo, il nome di Dante ha questa forma: DANTIS (si pensi per es. alle "lecturae Dantis" di scuola). Se in questa forma si sopprime la lettera T, si arriva ad una nuova forma del nome, una forma imperfetta: DAN–IS. In tale forma il nome completo (DANTIS) è sempre riconoscibile. La forma imperfetta contiene 5 lettere: D,N,S,A,I, cioè le stesse lettere usate per riconoscere la forma genitiva latina del nome di Adso (ADSONIS).
   Prima di proseguire alla conclusione del punto bisogna spiegare perché abbiamo scelto di usare la forma genitiva dei nomi latini anziché quella nominativa, "normale", come abbiamo fatto per i nomi di Guglielmo e di Virgilio (I-2.2.1, punto B6). La forma genitiva è stata scelta per evitare che per il nome di Dante si arrivi a due nomi. Partendo dalle lettere DAN–IS si può infatti arrivare solo a DANTIS (caso genitivo) e difficilmente, se mai, ad altro nome. Se invece si parte da forme nominative dei nomi dei Discepoli (DANTES e ADSON), si possono identificare soltanto quattro lettere in comune: D, N, S, A. Per Adso non ci sarebbero poi dei problemi perché potremmo sempre riconoscere ADSON nella combinazione ADS–N; ma per il nome di Dante il riconoscimento sarebbe problematico perché dalla combinazione DAN– –S non si arriva soltanto a DANTES ma anche a DANAUS, nome che certo non era meno comune nella tradizione latina. (La forma genitiva di Danaus è DANAI, a cui manca la S.)

·  I nomi dei Discepoli, nelle loro forme latine, caso genitivo, sono riconoscibili in una configurazione delle lettere D,N,S,A,I (A,D,S,N,I oppure D,A,N,I,S).

Ecco un prospetto delle forme latine e delle relative lettere:

A,D,S,N,I

ADS–NI–

ADSONIS    (caso genitivo)

D,A,N,I,S
DAN–IS
DANTIS    (caso genitivo)

C.  DEFINIZIONE DELL’ELEMENTO OMOLOGO NR/DC 3
Il Discepolo è una persona a cui accade, all’età di circa 18 anni, di avere un incontro con una giovane donna in un ambiente illuminato. L’incontro avviene in uno spazio di tempo che comprende le ore 3-4 tradizionali dopo il tramonto. Nell’incontro si verifica una consumazione dell’amore da parte della giovane; nell’atto stesso della consumazione lui vede una luce brillante. La giovane rappresenta il primo amore terreno per lui ed è innominata. Nel corso dell’incontro, capita a una persona che ivi rappresenta l’amore, di piangere, di presentare un aspetto pauroso e di pronunciare parole di cui l’amante non capisce che una piccola parte. All’inizio della scena c’è la presenza di qualcosa di carne e sangue inviluppato in una tela sanguigna.
   Il Discepolo si è aggirato per qualche contrada d’Italia inclusa la Toscana, allo scopo di apprendere bene il volgare italiano.
   In una delle prime tre notti dei Sette giorni accade al Discepolo di avere una forte reazione emozionale che lo fa svenire e cadere come un corpo morto.
   Nella forma latina, caso genitivo, il nome del Discepolo è riconoscibile in una configurazione delle lettere D,N,S,A,I.
*
Spunta un problema finale (che abbiamo già sfiorato nel punto B1): come sarà possibile mettere nella stessa "gabbia" il diciottenne Adso, Dante giovane (della Vita nuova) e Dante viator (della Commedia)? Non sarebbe meglio scegliere un solo Dante? Qui si tratta evidentemente di un gioco simile a quello che Eco stesso definisce "gioco enunciativo". Infatti, discutendo nelle Postille sulla doppia persona di Adso, l’Adso diciottenne (quello che conosciamo dal romanzo) e l’Adso ottantenne (quello che racconta la storia), egli dice:
Adso racconta a ottant’anni quello che ha visto a diciotto. Chi parla, l’Adso diciottenne o l’Adso ottantenne? Tutti e due, è ovvio, ed è voluto. Il gioco stava nel mettere in scena di continuo Adso vecchio che ragiona su ciò che ricorda di aver visto e sentito come Adso giovane. Il modello ... era il Serenus Zeitblom del Doctor Faustus [di Thomas Mann]. Questo doppio gioco enunciativo mi ha affascinato e appassionato moltissimo. (pp. 517-518)
Da questo passo è quindi chiaro che per Eco un personaggio non è soltanto una persona, ma piuttosto un’unità organica composta da molte persone, definite anche da vari punti di vista temporali. Come è Adso, e come è pure Dante. È insomma sullo sfondo di questo tipo di gioco che si possono mettere nella "gabbia" le varie persone menzionate qui. Per il concetto della molteplicità delle nostre identità, cfr. del resto anche il pensiero di Pirandello sulle nostre maschere, pensiero che lui esprime fra l’altro in Sei personaggi in cerca d’autore, Uno, nessuno e centomila, Vestire gli ignudi. Si rammenti pure che questi giochi sulle varie facce della realtà è un tipico ingrediente di una concezione ermetica del mondo (vedi in proposito I-1.4, sez. 3).
   In questo contesto possiamo anche ricordare, ancora una volta, l’affermazione di Eco: "il concetto completo di una sostanza individuale implica tutti i suoi predicati passati e futuri" (Il segno dei tre, p. 259).

Note

(1)  Per il testo della Vita nuova abbiamo usato Alighieri, Tutte le opere, pp. 51-76.

(2)  Per il limite superiore di questo tempo (ore 21) si può aggiungere che deve considerarsi piuttosto non superabile, e ciò per la combinazione di due circostanze: 1) quando Adso entra nella cucina, dove quasi subito s’imbatte nella giovane, c’è la luna: "Quivi ristetti, ansimante. Dalle vetrate penetrava la luce della luna, in quella notte luminosissima" (Nome, p. 245); 2) della luna dell’ultima settimana di novembre del 1327 sappiamo che nell’Italia settentrionale, intorno alle coordinate 9º est – 45º nord (approssimazione del luogo dell’abbazia), il suo tramonto avvenne non oltre le 20-21. L’incontro NR va quindi collocato entro le ore 21. (L’informazione sul tramonto della luna ci è stata gentilmente data dall’Istituto di Astronomia presso l’Università di Lund.)

(3)  Per chi non accettasse il cuore come simbolo dell’amore, citiamo un passo, fra tanti altri, della Vita nuova (cap. XIII) in cui tale simbolismo è ovvio. Dante, facendo un confronto tra la sua Beatrice e altre donne, dice a sé stesso: "la donna per cui Amore ti stringe così, non è come l’altre donne, che leggeramente si muova del suo cuore."

(4)  Non possiamo non fare, ma umilmente, un commento particolare al sogno di Dante: con questo sogno e il suo simbolismo potenziale, Dante ci avrà certo dato materia più che sufficiente per un’analisi di tipo freudiano, quasi da manuale: si tratta insomma del "sogno dell’incontro ’ardente’ in cui l’amata mangia il cuore dell’amante". Però, non sarà qui la sede per approfondire tale argomento.

(5)  Si può certo discutere a lungo perché Dante abbia scelto di tacere il nome di Beatrice (quella che secondo lui "non parea figliuola d’uomo mortale, ma di deo"), perché insomma preferisse usare la denominazione (nomen appellativum) di "Beatrice", anziché il suo vero nome (nomen proprium), nome che del resto suonava come la stessa denominazione. Per quest’ultimo fatto cfr. N. Zingarelli, La vita, i tempi, e le opere di Dante, III ed., Milano 1948, p. 284: "chiamandola Beatrice la voce del popolo si accordava con la voce di Dio che aveva ispirato chi al sacro fonte le aveva posto quel nome"; un esempio cioè, dice Zingarelli, della massima "Nomina sunt consequentia rerum", riportata nel cap. XIII della Vita nuova. (Per la massima latina citata da Dante, cfr. in proposito anche I-2.2.4, punto B4.2.) Comunque, nella Vita nuova il vero nome di Beatrice veniva soppresso da Dante, e ciò avveniva, a quanto pare, intenzionalmente.

(6)  Il testo del Convivio secondo Alighieri, Tutte le opere, pp. 109-199.

(7)  Il testo di De vulgari eloquentia in Alighieri, Tutte le opere, pp. 201-245.

(8)  Per la forma genitiva latina ADSONIS, cfr. per es. Index Scriptorum novus mediae latinitatis ab anno DCCC usque ad annum MCC, København 1973, dove il libro sull’Anticristo dell’abate Adso Dervensis, l’omonimo del nostro Adso, è registrato in questo modo (voce "Adso Dervensis abbas"): "Epistola Adsonis ad Gerbergam reginam de ortu et tempore Antichristi". Il nome di Adso è quindi del tipo "Iaso(n)–Iasonis": "Adso(n)–Adsonis".

(9)  Ci si potrebbe domandare se questa sia una verità o meno. Cioè: è vero che ADSONIS sia effettivamente riconoscibile in ADS–NI–? In un ambiente latino medievale non dovrebbe essere difficile "vedere" proprio ADSONIS sotto la forma mutilata ADS–NI–, se tale forma prima fosse stata presentata come "forma di un nome proprio, ambiente nostro (medievale), caso genitivo singolare". La lettera finale dovrebbe infatti essere quasi per forza una S (a causa della forma genitiva), e da ADS–NIS non sarebbe certo difficile arrivare a ADSONIS.

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