I-2.2.5.4

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I-2.2.5.4.  ELEMENTO OMOLOGO NR/DC 9

La rissa fra due persone volgari(1)

A.  OGGETTO DELL’ANALISI
Due scene in cui il Discepolo e il Maestro assistono a una rissa con insolenze e parole turpi fra due persone volgari. Definizione delle scene:
   La mattina del Secondo giorno, prima di salire allo scriptorium, Guglielmo e Adso entrano in cucina per mangiare qualcosa. Lì ci sono già alcune persone, fra l’altro il capo cuciniere, Salvatore e due caprai. Salvatore cerca di dare di nascosto ai caprai qualche pezzo di pollo ma il cuciniere lo vede:

Ma il capo cuciniere se ne accorse e rimproverò Salvatore: "Cellario, cellario," disse, "tu devi amministrare i beni dell’abbazia, non dissiparli!"
   "Filii Dei, sono," disse Salvatore, "Gesù ha detto che facite per lui quello che facite a uno di questi pueri!" (Nome, p. 128).
Ma dopo queste parole, ecco che comincia una rissa breve ma focosa:
"Fraticello delle mie brache, scoreggione di un minorita!" gli gridò allora il cuciniere. "Non sei più tra i tuoi pitocchi di frati! A dare ai figli di Dio ci penserà la misericordia dell’Abate!"
   Salvatore si oscurò in viso e si voltò adiratissimo: "Non sono un fraticello minorita! Sono un monaco Sancti Benedicti! Merdre à toy, bogomilo di merda!"
   "Bogomila la baldracca che t’inculi la notte, con la tua verga eretica, maiale!" gridò il cuciniere. (ibid.)
Con le parole ingiuriose del cuciniere ha termine la rissa, Salvatore fa uscire i caprai e il capo cuciniere spinge fuori Salvatore.
   La scena corrispondente della Divina Commedia non è meno piena di volgarità: si tratta della nota rissa fra maestro Adamo, in vita abile falsificatore di fiorini e idropico miserabile nell’Inferno (bolgia decima del cerchio ottavo), e il falso greco Sinone che indusse i troiani a far entrare in città il cavallo di legno. La rissa comincia quando Dante chiede ad Adamo quali sono i due compagni che gli stanno più vicino. Adamo dice che una è la moglie di Putifarre che cercò di sedurre Giuseppe, e l’altro "il falso greco Sinon da Troia" (Inf., XXX, 98); e aggiunge sul loro conto che "per febbre aguta gittan tanto leppo" (v. 99). Queste parole provocano l’ira di Sinone che reagisce, e così prende inizio una rissa impetuosa:
E l’un di lor ... col pugno li [ad Adamo] percosse l’epa croia. / Quella sonò come fosse un tamburo; / e mastro Adamo li percosse il volto / col braccio suo, che non parve men duro, / dicendo a lui: "Ancor che mi sia tolto / lo muover per le membra che son gravi, / ho io il braccio a tal mestiere sciolto". / Ond ei rispuose: "Quando tu andavi / al fuoco, non l’avei così presto: / ma sì e più l’avei quando coniavi". / E l’idropico: "Tu di’ ver di questo: ma tu non fosti sì ver testimonio / là ’ve del ver fosti a Troia richiesto". ecc. (Inf., XXX, 100-114)
I rissanti finiscono in questo modo:
"e sieti reo che tutto il mondo sallo!" / "E te sia rea la sete onde ti crepa" / disse ’l greco "la lingua, e l’acqua marcia / che ’l ventre innanzi li occhi sì t’assiepa!" / Allora il monetier: "Così si squarcia / la bocca tua per tuo mal come sòle; / ché s’i’ ho sete ed umor mi rinfarcia, / tu hai l’arsura e ’l capo che ti dole; / e per leccar lo specchio di Narcisso, / non vorresti a ’nvitar molte parole". (vv. 120-129)
Commentando la scena Dino Provenzal scrive: "Nota la trivialità di tutto questo battibecco: persone volgari, s’ingiurano volgarmente" (Provenzal-Comm., p. 258); e continua: "Pugni e insolenze, parole turpi e beffe volgari. Non c’è esempio in tutto il poema di un dialogo così triviale" (ibid., p. 259).

B.  ANALISI COMPARATIVA
Giorno e ora delle scene (B1) – L’esordio delle liti (B2) – Le allusioni a un passato oscuro dell’altro (B3) – Descrizione dei rissanti dal cattivo odore (B4) – Definizione dell’elemento omologo NR/DC 9 (C).

B1.  GIORNO E ORA DELLE SCENE
La scena NR è descritta nel cap. "Secondo giorno, terza": sono cioè verso le 9 del Secondo giorno.
   La rissa fra Adamo e Sinone occupa gran parte del canto XXX dell’Inferno, il che significa che è il Secondo giorno. Per quanto riguarda l’ora sappiamo che: 1) deve essere dopo l’una, perché nel verso 10 del canto XXIX Dante dice che "già la luna è sotto i nostri piedi", verso che Tommaso Casini commenta così: "vale a dire è passata un’ora dopo il mezzodì" (Casini-Comm., p. 220); 2) doveva essere prima delle sei; vedi I-2.2.5.5, punto B1. È naturalmente difficile collocare con esattezza la rissa su tale grande arco di tempo, ma in questo caso ci pare sia cauto seguire l’indicazione di Casini che pone tutto il canto "tra le due e le tre ore pomeridiane" (ibid., p. 228). (Notiamo che Vernon sembra qui un po’ vago in quanto colloca tutto il canto della rissa fra "1 P.M." del canto XXIX e "9th April, Easter Eve, 1 P.M." del canto XXXI (Vernon-Inf., I, p. lvi).)

·  Le scene hanno luogo fra le 9 circa e le 15 del Secondo giorno.

B2.  L’ESORDIO DELLE LITI
La rissa focosa del Nome della rosa inizia quando il capo cuciniere, dopo la risposta fin troppo ingenua ed innocente di Salvatore ("Filii Dei ecc."), gli grida l’ingiuria dello "scoreggione" ("Fraticello delle mie brache ecc.").
   La rissa della scena DC comincia in modo simile, cioè con parole dell’uno sul puzzo dell’altro: maestro Adamo dice a Dante che Sinone, il falso che gli sta vicino, manda quel leppo ("per febbre aguta gittan tanto leppo"). Come si sa, "leppo" è una parola antica dal significato "vapore puzzolento".

·  Le risse prendono l’avvio dopo che uno dei rissanti ha fatto intendere che l’altro manda cattivo odore.

NB.  I rissanti che sono oggetto dell’ingiuria del cattivo odore, saranno in seguito chiamati "rissanti dal cattivo odore". Sono rispettivamente Salvatore e Sinone.

B3.  LE ALLUSIONI A UN PASSATO OSCURO DELL’ALTRO
Un tratto caratteristico della rissa nella cucina dell’Edificio è anche uno scambio di allusioni a un passato oscuro dell’altro. Ecco ancora le loro parole (Nome, p.128):

Capo cuciniere: "Fraticello delle mie brache, scoreggione di un minorita! Non sei più tra i tuoi pitocchi di frati! A dare ai figli di Dio ci penserà la misericordia dell’Abate!"

Salvatore: "Non sono un fraticello minorita! Sono un monaco Sancti Benedicti! Merdre à toy, bogomilo di merda!"

Per l’allusione del "fraticello" e dei "tuoi pitocchi di frati" ricordiamo che Salvatore era stato minorita, cosa di cui preferiva tacere perché si trattava di una parte biasimevole della sua vita. Nel cap. "Terzo giorno, sesta" Salvatore racconta ad Adso gran parte della propria storia, che era davvero tanto eccezionale quanto sconcertante. Da quello che ha capito dal lungo racconto, Adso riferisce tra l’altro che
una trentina di anni innanzi, egli si era aggregato a un convento di minoriti in Toscana e ivi aveva indossato il saio di san Francesco, senza prendere gli ordini. ... ma a quanto pare anche i minori presso cui stava avevano idee confuse perché, in ira verso il canonico della chiesa vicina, accusato di rapine e altre nefandezze, gli invasero un giorno la casa e lo fecero rotolar dalle scale, sì che il peccatore ne morì, poi saccheggiarono la chiesa. Per il che il vescovo inviò degli armati, i frati si dispersero e Salvatore vagò a lungo nell’alta Italia con una banda di fraticelli, ovvero di minoriti questuanti senza più legge e disciplina. (Nome, p. 194)
È quindi naturale che Salvatore non voglia sentire parlare di questa parte della sua vita. Uscendo dalla cucina sussura anzi ad Adso "Ille menteur, puah" e sputa per terra (p. 128).
   L’allusione di "bogomilo di merda" che Salvatore a sua volta lancia al capo cuciniere, dev’essere altrettanto imbarazzante, perché i bogomili rappresentavano una delle note eresie del tardo Medioevo; avevano seguaci anche nell’Italia settentrionale(2) ed erano combattute strenuamente dalla Chiesa. Non sappiamo però dal manoscritto di Adso se il cuciniere avesse davvero avuto delle simpatie per il bogomilismo, ma l’allusione, vera o no che fosse, doveva in ogni modo essere imbarazzante perché era un’insinuazione di un passato che per ogni monaco doveva essere vergognoso. (E che il cuciniere fosse uno dei religiosi dell’abbazia, e non soltanto un fratello laico, lo si capisce da queste parole rivoltegli da Guglielmo dopo la rissa: "Ma ora [Salvatore] è monaco come te e gli devi rispetto fraterno" (ibid., p. 129).) Si può del resto supporre che Salvatore non dicesse "bogomila di merda" senza ragione, anche se non si trattava del vero bogomilismo ma più di una vita biasimevole in generale. Ricordiamo che perfino l’Abate ammette che tra i suoi monaci ci possono essere anche quelli con un passato oscuro (p. 154). E circa questo fatto Aymaro da Alessandria rivela a Guglielmo che, secondo lui, l’Abate "[p]er far dispetto al papa lascia che l’abbazia sia invasa di fraticelli... dico quelli eretici, frate, i transfughi del vostro ordine santissimo... " (p. 131).
   Vediamo ora le allusioni scambiate fra maestro Adamo e Sinone (Inf., XXX):
Sinone: "Quando tu andavi / al fuoco, non l’avei così presto: / ma sì e più l’avei quando coniavi." (vv. 109-111)

Adamo: "Tu di’ ver di questo: / ma tu non fosti sì ver testimonio / là ’ve del ver fosti a Troia richiesto." (vv. 112-114)

Le parole "sì e più l’avei quando coniavi" è una chiara allusione al passato meno degno dell’altro, a cui abbiamo già accennato nella definizione della scena: in vita maestro Adamo si occupava di falsificare fiorini, era cioè "monetier", come Dante lo chiama (v. 124); e per questo fu condannato "al fuoco": morì insomma come un criminale.
   Per quanto riguarda le parole indirizzate a Sinone "ma tu non fosti sì ver testimonio / là ’ve del ver fosti a Troia richiesto" alludono alla falsità del greco quando disse la ben nota menzogna per entrare a Troia. E quelli che fanno delle menzogne monumentali con conseguenze disastrose, non solo devono essere puniti adeguatamente, ma anche vergognarsi in eterno.

·  Durante le risse si scambiano allusioni a un passato oscuro dell’altro.

B4.  DESCRIZIONE DEI RISSANTI DAL CATTIVO ODORE
L’aspetto della bocca (B4.1) – La lingua (B4.2) – Modo in cui si sono inseriti nel luogo dove abitano coloro che li hanno accolti (B4.3) – La compagnia di una donna seducente senza congiungersi con lei (B4.4).

B4.1.  L’ASPETTO DELLA BOCCA
Salvatore aveva avuto in sorte di avere un brutto aspetto, la sua apparenza fisica era addirittura sconcertante. Adso descrive in questo modo il suo aspetto generale la prima volta che lo vede: "Non mi è mai accaduto in vita ... di essere visitato dal diavolo, ma credo che se esso dovesse apparirmi un giorno ... esso non avrebbe altre fattezze di quelle che mi presentava in quell’istante il nostro interlocutore [Salvatore]" (Nome, p. 53). Poi segue una descrizione particolareggiata delle sue fattezze, e quando viene alla bocca dello sciagurato, Adso scrive: "La bocca, unita alle narici da una cicatrice, era ampia e sgraziata, più estesa a destra che a sinistra, e tra il labbro superiore, inesistente, e l’inferiore, prominente e carnoso, emergevano con ritmo irregolare denti neri e aguzzi come quelli di un cane" (p. 54). E quando apre questa bocca per parlare nella sua falsa lingua (vedi più sotto), si presenta un’immagine sconcia: "Allora Salvatore mi pregò ardentemente di tacere, aprì il fagotto e mi mostrò un gatto di pelo nero. Mi tirò vicino a sé e mi disse con un sorriso osceno che non voleva più che il cellario o io ... potessimo avere l’amore delle ragazze del villaggio" (p. 311). Cfr. anche questa breve immagine vista da Adso: "Vidi tra i cucinieri Salvatore, che mi sorrise con la sua bocca di lupo" (p. 128).
   Delle fattezze generali di Sinone non siamo informati. Ma nell’Inferno viene descritto almeno come appare in viso quando parla. È maestro Adamo che ci dà l’informazione in una battuta della rissa: "Così si squarcia / la bocca tua per tuo mal(3) come sòle" (Inf., XXX, 125-126). Anche se Adamo, irato com’era, forse ha esagerato un po’, la sua descrizione della bocca del greco deve certo corrispondere almeno in parte alla realtà, tanto più che Sinone era sempre colui che aveva peccato proferendo delle bugie veramente fatali per l’esito della guerra troiana. In ogni modo, l’espressione usata da Adamo è stata commentata fra gli altri da Provenzal, che traduce così le parole sulla squarciatura della bocca di Sinone: "la tua bocca si apre sconciamente" (Provenzal-Comm., p. 257).

·  I rissanti dal cattivo odore parlano con una bocca sconcia.

B4.2.  LA LINGUA
Se la bocca di Salvatore era sconcia, le cose che ne uscivano non erano meno distorte. Come ben ricordiamo, tutte le sue frasi erano un miscuglio strano di parole di lingue disparate; Adso descrive il suo modo di connettere le voci: "E tuttavia, bene o male, io capiva cosa Salvatore volesse intendere, e così gli altri. Segno che egli parlava non una, ma tutte le lingue, nessuna nel modo giusto, prendendo le sue parole ora dall’una ora dall’altra" (Nome, p. 55). Ed ecco un saggio della non-lingua di Salvatore (si tratta della prima volta che Adso l’incontra, nel portale della chiesa): "Penitenziagite! Vide quando draco venturus est a rodegarla l’anima tua! La mortz est super nos! Prega che vene lo papa santo a liberar nos a malo de todas le peccata! Ah ah, ve piase ista negromanzia de Domini Nostri Iesu Christi! Et anco jois m’es dols e plazer m’es dolors... Cave el diabolo! ecc." (p. 54).
   Insomma, Salvatore aveva falsificato tutte le lingue che capiva, formandone un modo di esprimersi che non era una lingua vera e propria ma piuttosto una miscela linguistica retta da regole arbitrarie. La sua era quindi una lingua falsa.
   Anche Sinone aveva la lingua falsa, posto com’era tra i falsatori di parole. Precisiamo tuttavia che mentre la lingua falsa di Salvatore era il suo idioma corrotto, quella del greco allude alle sue menzogne di cui abbiamo già parlato (definizione della scena) e parleremo ancora nel punto che segue.

·  Hanno ambedue una lingua falsa.

B4.3.  MODO IN CUI SI SONO INSERITI NEL LUOGO DOVE ABITANO COLORO CHE LI HANNO ACCOLTI
Salvatore aveva un passato turbido: cfr. in primo luogo il lungo racconto del cap. "Terzo giorno, sesta", a cui abbiamo già accennato più sopra. E non era nemmeno un vero monaco, fatto di cui Adso si rende conto nell’ascoltare la sua storia: "A quanto capii, una trentina di anni innanzi, egli si era aggregato a un convento di minoriti in Toscana e ivi aveva indossato il saio di san Francesco, senza prenderne gli ordini" (Nome, p. 194). Era cioè entrato nell’ordine francescano su false premesse. E la falsità originaria non cambiò quando lasciò i francescani per diventare benedettino. Adso riferisce:

Passò nel novarese, mi disse, ma su quanto avvenne a questo punto fu molto vago. E infine arrivò a Casale, dove si fece accogliere nel convento dei minoriti ... proprio ai tempi in cui molti di essi, perseguitati dal papa, cambiavano di saio e cercavano rifugio presso monasteri d’altro ordine, per non finir bruciati. (p. 197)
Venne così all’abbazia di Abbone, dove "A causa delle sue lunghe esperienze in molti lavori manuali ... Salvatore fu subito preso dal cellario come proprio aiutante" (ibid.). E la sua mancanza di interesse genuino per le cose divine era sempre una parte costante del suo carattere: "Ed ecco perché da molti anni stava colaggiù, poco interessato ai fasti dell’ordine, molto all’amministrazione della cantina e della dispensa" (ibid.). Se dunque Salvatore era un falso francescano (minorita) era pure un falso benedettino. Il non aver mai preso regolarmente gli ordini pregiudicava per sempre la sua qualità di vero monaco. E il capo cuciniere ne è molto conscio; infatti, dopo le battute della rissa dice a Guglielmo che le sue parole ingiuriose verso i fraticelli ("Fraticello delle mie brache ecc.") non erano dirette all’ordine francescano in generale ma "a quel falso minorita e falso benedettino che non è né carne né pesce" (p. 129). Concludiamo che il "monaco" Salvatore era entrato nell’abbazia su false premesse. Forse si deve ricordare a questo punto che all’abbazia Salvatore passava proprio per un vero monaco e non solo per frate laico; cfr. per es. le sue stesse parole pronunciate nella rissa: "Sono un monaco Sancti Benedicti!"
   Attraverso il secondo libro dell’Eneide tutto il mondo sa la falsità di Sinone, non solo la gran menzogna del cavallo di legno ma anche come lui finse di essere scappato dal campo greco per lasciarsi prendere dai troiani e poi insinuare nella città insieme col cavallo fatale. Sinone comincia tutta la serie di menzogne nel verso 69 del libro citato: "’Heu, quae nunc tellus,’ inquit, ’quae me aequora possunt / accipere?’" (Aeneidos, II, 69-72). Racconta poi le sue bugie, Priamo gli crede e Sinone entra col cavallo nella città. La notte "pinea furtim / laxat claustra Sinon" (vv. 258-259) e i greci invadono la città "sepolta nel sonno e nel vino". Quella di Sinone è quindi la storia di un mentitore che si è insinuato su premesse false nel luogo dove abitano coloro che l’hanno accolto.

·  Si sono insinuati ambedue su false premesse nel luogo dove abitano coloro che li hanno accolti.

B4.4.  LA COMPAGNIA DI UNA DONNA SEDUCENTE SENZA CONGIUNGERSI CON LEI
Salvatore era volgare, superstizioso e preso dalla lussuria. Pensava molto alla sua carne. Ma siccome era così brutto e povero, gli era difficile conquistare anche le femmine venali del villaggio sottostante. Lo confessa ad Adso dopo compieta del Quarto giorno, disdicendo così l’allusione indecente sulla sua attività notturna ("Bogomila ecc."), lanciatagli addosso nella rissa. Ciò nonostante, era uso ad avere contatti con le donne lascive, ma non in quel modo che voleva lui stesso, bensì come mezzano, in favore di Remigio, il vero cellario. Adso scrive:

Cominciò a raccontare una strana storia, dalla quale faticosamente apprendemmo che lui, per compiacere il cellario, gli procacciava ragazze al villaggio, facendole entrare nottetempo nella cinta per vie che non ci volle dire. Ma spergiurò che agiva per puro buon cuore, lasciando trasparire un comico rammarico per il fatto che non trovava modo di trarne anche il suo piacere (Nome, p. 271)
A quanto pare era anche solito procacciare la ragazza senza nome, perché era lui che l’aveva fatta entrare la notte del Terzo giorno (cfr. il dialogo fra Remigio e Guglielmo nel cap. "Quarto giorno, prima"). E Salvatore doveva addirittura avere qualche dimestichezza con la ragazza, altrimenti non avrebbe cercato proprio lei per il rito del gatto nero (con il quale sperava di procurarsi l’amore di lei). Ma come sappiamo, il rito fu interrotto perché Salvatore e la ragazza furono presi dagli arcieri di Bernardo Gui. Adso racconta: "Nel girare circospetti e al buio tra la nebbia, gli arcieri avevano finalmente sorpreso Salvatore, in compagnia della donna, mentre armeggiava davanti alla porta della cucina" (p. 331).
   Prima di concludere intorno alla lussuria (fallita) di Salvatore, ricordiamo che la ragazza non era solo una povera femminella, era anche una donna seducente, qualità che dimostrò con eloquenza la notte del Terzo giorno. Anche Bernardo Gui intuisce evidentemente questa sua qualità; dice infatti dopo la cattura di lei e Salvatore: "Va bene ... Ormai il fatto mi pare chiaro. Un monaco sedotto, una strega, e qualche rito che per fortuna non ha avuto luogo" (p. 333).
   Concludiamo così: Salvatore era uso ad essere in compagnia di una donna seducente, senza però congiungersi con lei.
   Indaghiamo adesso sulla compagnia femminile di Sinone, il che sarà compito facile. Dante domanda infatti a maestro Adamo chi sono i suoi compagni più vicini: "Chi son li due tapini / che fumman come man bagnate ’l verno, / giacendo stretti a’ tuoi confini?" (Inf., XXX, 91-93). Adamo risponde che dei due "L’una è la falsa ch’accusò Giuseppo; / l’altr’è il falso Sinon greco da Troia" (vv. 97-98). La falsa che giace così stretta a Sinone è quindi la moglie di Putifarre, la quale sarà sempre ricordata dalla Storia come quella che cercò di sedurre Giuseppe ("Giuseppo"), ma senza riuscirci.(4) Per quanto riguarda un’eventuale intimità fra Sinone e la falsa, dobbiamo naturalmente escluderla, tanto più che Adamo afferma di non averli mai visti muovere: "’Qui li trovai – e poi volta non dierno –’ / rispuose, ’quando piovvi in questo greppo, / e non credo che dieno in sempiterno" (vv. 94-96). Casini interpreta questi versi: "Quando fui precipitato in questa bolgia, li trovai qui e sono passati quasi vent’anni senza ch’essi si siano mossi, e credo che non si moveranno mai" (Casini-Comm., p. 233). Anche per Sinone possiamo quindi concludere che lui era uso di essere in compagnia di una donna seducente, ma senza che si congiungessero.

·  Tutti e due sono usi ad essere in compagnia di una donna seducente, senza però congiungersi con lei.

C.  DEFINIZIONE DELL’ELEMENTO OMOLOGO NR/DC 10
Il Secondo giorno, fra le 9 circa e le 15, il Discepolo e il Maestro assistono a una rissa con insolenze e parole turpi fra due persone volgari. La rissa prende l’avvio dopo che uno dei rissanti ha fatto intendere che l’altro manda cattivo odore (il "rissante dal cattivo odore"). Durante la rissa si scambiano allusioni a un passato oscuro dell’altro.
   Il rissante dal cattivo odore parla con una bocca sconcia, ha una lingua falsa e si è insinuato su false premesse nel luogo dove abitano coloro che l’hanno accolto; è uso ad essere in compagnia di una donna seducente, senza però congiungersi con lei.

Note

(1)  Rileggendo questo capitolo per l’edizione digitale del 2010 ci siamo accorti di aver messo, nella prima edizione, Remigio nei panni del capo cuciniere. Nell’edizione digitale abbiamo corretto quest’errore d’identità togliendo i vecchi punti B4.1-4.5 e cambiando qua e là il resto del discorso. Salvatore sarà per es. chiamato "rissante dal cattivo odore".

(2)  Per il diffuso carattere della denominazione "bogomilo", cfr. per es. Eco, Aspetti della semiosi ermetica, p. 47: "Le vicende dell’espansione bogomila sono complesse (anche perché in futuro si definiranno bogomili vari gruppi eretici), ma in ogni caso il movimento si diffonde in Serbia, arriva in Russia, risale i Balcani. Comunità del gruppo Bulgaro si installano in Bosnia e sono conosciuti come patarini. Come tali fondarono chiese in Italia settentrionale e dalla Lombardia passano nella Francia meridionale."

(3)  In molte edizioni invece di "per tuo mal" si legge anche "per dir mal" (Provenzal-Comm., Casini-Comm., ecc.), oppure "per suo mal" (per es. Vernon-Inf.).

(4)  Per quanto riguarda l’insuccesso della seduzione ("dormi mecum" pronunciato almeno a due occasioni) da parte della moglie di Putifarre accecata dall’amore per Giuseppe, possiamo aggiungere che per generosità del Destino, nell’Inferno lei potrà finalmente giacere stretta almeno ad uno che per simpatia ermetica ha legami con il suo amato. Rimandiamo alla digressione X.

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