I-1.2

Cap. I-1.1   I-1.2   I-1.3   I-1.4   I-2.1   I-2.2.1   I-2.2.2   I-2.2.3   I-2.2.4   I-2.2.5.1   I-2.2.5.2   I-2.2.5.3   I-2.2.5.4
I-2.2.5.5   I-2.2.5.6   I-2.2.5.7   I-2.2.5.8   I-2.2.5.9   I-2.2.5.10   I-2.2.5.11   I-2.2.5.12   I-2.2.5.13   I-2.2.6   I-2.3   I-3
Indice   I parte   II parte   III parte   Digressioni   Tabelle   Piante   Elenchi   Bibliografia

I-1.2.  IL NOME DELLA ROSA NELLA CRITICA

NB.  Dopo il 1994, anno della presentazione della tesi, sono stati pubblicati tanti altri lavori in argomento. Per l’edizione del 2010 sulla traccia della commedia non abbiamo fatto ulteriori ricerche nel campo perché abbiamo ritenuto che tale compito avrebbe deviato troppo dallo scopo di presentare una nuova e riveduta versione dell’edizione del 1994. Né abbiamo fatto nuove ricerche dopo il 2010.(1) Questo capitolo descrive quindi la situazione della critica come era al momento della pubblicazione della tesi del 1994. Si avverte che abbiamo modificato lievemente il testo su qualche punto.
   Il capitolo è diviso nelle sezioni seguenti:

Rassegna compendiosa delle più importanti monografie analitiche sul Nome della rosa (1)  –  Sintesi degli argomenti più importanti trattati dalla critica (2)  –  La biblioteca/Borges (2.1)  –  Intertestualità (2.2)  –  Il riso (2.3)  –  Il nome della rosa come un’opera aperta (2.4)  –  Il nome della rosa come allegoria dei tempi moderni (2.5)  –  L’argomento "La Divina Commedia nel Nome della rosa" nella critica (3).  –  Scarso interesse dell’argomento (3.1)  –  Controlli effettuati (3.2)

1.  Rassegna compendiosa delle più importanti monografie analitiche sul "Nome della rosa"
Qui sotto si fa una scelta delle più importanti monografie analitiche sul Nome della rosa, dall’esordio del romanzo fino al 1994, anno in cui fu presentata e discussa pubblicamente la nostra tesi.

–  1983:  Postille a "Il nome della rosa" di Umberto Eco stesso. Un lungo saggio che contiene informazioni utilissime fra l’altro sul processo creativo che sfociò nella storia mirabile di Adso da Melk. Vi si reperiscono anche molti commenti personali su certi aspetti del romanzo: il postmoderno, l’ironia, il lettore modello, il romanzo storico, ecc. Il saggio finisce con un’esortazione ad un’indagine poliziesca: "e una vera indagine poliziesca deve provare che i colpevoli siamo noi" (p. 533). Parole a cui facciamo il commento che in III-1, sez. 2f, si definisce una via che sfocia proprio nell’inserire noi stessi nella rete strutturale del libro di Eco.

–  1985:  Saggi su Il nome della rosa a cura di Renato Giovannoli. L’opera classica nel campo di commenti del primo grande romanzo di Eco. I saggi di questo volume (di cui alcuni sono traduzioni da altre lingue) ammontano a trentacinque, più un’introduzione veramente esemplare di Giovannoli stesso. Siamo propensi a dire che già in questo volume si trovano accennati o trattati più o meno approfonditamente tutti i motivi, temi, aspetti interpretativi, ecc. che in seguito attireranno l’attenzione della critica.
   Giovannoli colpisce nel segno quando sulle prime pagine del volume espone tre "proposizioni semplici" che riguardano il libro di Eco:

1)  Il nome della rosa è un libro complesso, ricco (fino all’eccesso) di significati, enesauribile; un libro fatto di frammenti di altri libri, eminentemente "intertestuale", esemplificazione evidente di quella "illimitatezza" della semiosi (per cui ogni segno ne cela un altro, e ogni maschera nasconde una maschera) che Pierce e Nietsche teorizzarono con accenti diversi ma in profonda consonanza.

2)  Il nome della rosa è un best seller, seppur "di qualità". Eco è un esperto anche nella teoria e nella pratica delle comunicazioni di massa. ... ne Il nome della rosa, macchina per produrre, per dirla con Bartes, "schizzi di senso, all’infinito", c’è senso per tutti, per molte e diverse letture. E questa deve essere una delle cause del suo enorme successo.

3)  Il nome della rosa è un "libro di culto", sul quale molti "hanno esercitato la preghiera della decifrazione" ... Ciò ha a che fare ancora con la sua ricchezza e la sua complessità, che ne fanno un libro virtualmente "totale" e "cosmologico" (pp. 7-8)

I trentacinque saggi coprono una vasta gamma di piste (termine perfetto scelto da Giovannoli): pista medievista (con divagazioni più genericamente storico-filosofiche), pista critico-letteraria, pista semiotico-testuale, pista etico-religiosa, pista sociologica, pista storico letteraria, pista fisica (pp. 19-20).

–  1988:  Naming the rose. Eco, Medieval signs, and modern theory di Theresa Coletti (Ithaca & London). Un lavoro fatto con amore. La Coletti confessa apertamente che il romanzo "filled several years of my life with immense labor and pleasure and taught me to rethink my own idea of the Middle Ages" (p. x). Nel suo studio ci sono tre temi che pare siano più centrali degli altri: l’amore fra Adso e la ragazza senza nome, "a world upside down" e il modo di leggere il romanzo.
   Quanto al primo tema siamo del tutto d’accordo con Theresa Coletti quando lei definisce la scena fra Adso e la ragazza "the novel’s most important moment" (p. 40). Per la Coletti la ragazza è una metafora della divinità (p. 56), idea che s’incontra di quando in quando nella critica. (Anche nel presente lavoro la ragazza è vista in quest’ottica, a parte gli altri aspetti; si rimanda in particolare alla digressione V). Verso la fine del capitolo sull’amore ("The Allegory of Love") la Coletti riassume nel modo seguente la parte più centrale del libro: "In a single moment on the kitchen floor Adso tangibly and materially confronts what centuries of learned commentary – medieval and modern – have addressed in theological and theoretical discourse" (p. 72).
   Il tema "a world upside down" viene trattato sotto vari aspetti. Importante è per es. connettere il riso al concetto delle contrarietà: "Like the good use of metaphor, which according to Aristotle, ’perceives resemblances’, laughter obscures distinctions and encourages ambiguity and contradiction" (p. 120). Qui si sfiora anche l’idea del riso come espressione della similitudo dissimilis (che non è altro naturalmente che un’altra faccia della discordia concors): "William and Adso’s statements about the strategies of laughter and language are further linked by the common emphases of their ’dissimilar similitudes’" (ibid.). (Si ricordi l’esordio del "secondo" libro della Poetica di Aristotele: "Mostreremo come il ridicolo dei fatti nasca dalla assimilazione del migliore al peggiore e viceversa" (Nome, pp. 472-473).)
   Nell’ultimo capitolo ("Tolle et lege") la Coletti discute il romanzo fra l’altro da un punto di vista teorico. Conclude che anche alla luce delle teorie della critica letteraria moderna "the Rose" è un’opera aperta. Usando in parte le parole di Eagelton (Literary Theory) scrive: "The novel embodies a form of textual experimentation that at the very least suggests possibilities for ’breaking with the very ways literature, literary criticism and its supporting social values are defined’" (p. 204). Che il romanzo di Eco sia un’opera aperta con facoltà di aprire nuove strade alla letteratura e alla critica letteraria, è una concezione che condividiamo.

–  1988:  Umberto Ecos "Der Name der Rose": Forschungsbericht und Interpretation di Thomas Stauder (Erlangen). Un lavoro impressionante eseguito con una Grundlichkeit tipicamente tedesca. Il libro tratta praticamente ogni aspetto importante che si possa definire sul Nome della rosa, talvolta con un’analisi molto approfondita. Interessante è per es. il capitolo sulle varie facce del concetto d’intertestualità. A parte le pagine analitiche, il lavoro di Stauder contiene anche una massiccia bibliografia: "Kommentierte Bibliographie zum ’Namen der Rose’ (1980 bis Mitte 1986)". Si tratta di una bibliografia veramente eccezionale di quasi cento pagine, che comprende, a parte le solite indicazioni delle fonti ecc., anche commenti informativi, o perfino recensioni compendiose delle opere elencate. Per dare un’idea della completezza di questa bibliografia citiamo direttamente dal testo dello Stauder:

Diese Bibliographie umfasst Rezensionen und Aufsätze aus den folgenden Erscheinungsländern: Argentinien, Australien, Belgien, Brasilien, Deutschland, England (mit Schottland und Irland), Frankreich, Italien, Kanada, Niederlande, Österreich, Portugal, Schweiz, Spanien, U.S.A.
   Es handelt sich dabei um die bisher umfassendste Zusammenstellung der Veröffentlichungen zu Ecos Roman. (p. 163)
In questa bibliografia è stata anche inserita una lunga lista ("Register") dei vari argomenti, temi, ecc. che vengono trattati nei libri e negli articoli esaminati: 267 (duecentosessantasette) lemmi. E fra questi lemmi si trovano naturalmente anche quelli che ci aspettiamo di trovare, come "Bachtin, Michail", "Borges, Jorge Luis", "Coena Cypriani", "Doyle, Conan", "Existenzialismus", "Homo ludens", "Intertextualität", "Kristeva, Julia", "Kriminalroman", "Labyrinth", "Lector in fabula", "Logik, detektivische", "Opera aperta", "Ockham, William von", "Pierce, Charles Sanders", "Postmoderne", "Semiotik", "Thomas von Aquin", "Wittgenstein", e via dicendo. (Ma ci sono anche dei lemmi meno aspettati: "Dallas", "Mao Tse Tung", "Stalin, Josef", ecc.)

–  1990:  Introduzione, note, schede di approfondimento tematico sul medioevo e appendici critiche di Costantino Marmo nell’edizione scolastica Bompiani del Nome della rosa (Marmo-Nome). L’opera perfetta non solo per chi voglia avvicinarsi al romanzo di Eco per la prima volta ma anche per gli studenti e i professori che s’interessino ad approfondire la loro comprensione del libro. In quest’edizione Marmo tratta gli argomenti chiave del romanzo, fornisce un ampio apparato di note al testo, presenta una lunga lista di casi intertestuali nonché una piccola enciclopedia di nomi e di concetti particolari medievali e dà anche luogo ad una serie di brevi articoli su vari argomenti pertinenti all’analisi del romanzo di Eco.

Da menzionare sono anche Lektüren. Aufsätze zu Umberto Ecos ’Der Name der Rose’ a cura di Hans-Jürgen Bachorski (Göppingen 1985), Om Rosens Navn a cura di Kirsten Grubb Jensen (København 1987), The key to The name of the rose di Adele Haft, Jane White e Robert White (New York 1987), Ecos Rosenroman. Ein Kolloquium, a cura di Alfred Haverkamp e Alfred Heit (München 1987), Annäherungen an das Namenlose. Eine Interpretation von Umberto Eco "Il nome della rosa", Boris Vian "L’Ecume des jours" di Gabriella Borter-Sciuchetti (Zürich 1987), "... eine finstere und fast unglaubliche Geschichte"? a cura di Max Kerner (II ed., Darmstadt 1988), Naming the rose: essays on Eco’s The name of the rose a cura di M. Thomas Inge (Jackson & London 1988). Tutti lavori di grande impegno.
   Accanto a queste opere che trattano più o meno unicamente Il nome della rosa da un punto di vista analitico, ci sono naturalmente una lunga serie di lavori o studi con altro approccio a Umberto Eco e alla sua opera, come interviste più o meno impegnative, raccolte di "opinioni su Umberto Eco", bibliografie, esposizioni delle sue idee in generale (semiotica, estetica, culturale, la vita di ogni giorno, ecc.), e via dicendo. Non è nostra intenzione accennare a tali opere in questa sede.
   A quanto abbiamo potuto controllare (vedi sez. 3b più sotto), dopo il 1990 (fino al ’94) non è uscita nessuna monografia o altro grande studio sul Nome della rosa. La discussione analitica si trova invece nelle riviste. Gli argomenti a cui si ritorna sono per lo più quelli della biblioteca/Borges e dell’intertestualità. Per questi argomenti, vedi più sotto (sez. 2.1 e 2.2). (Nel 1991 sono usciti due lavori: Umberto Eco di Jules Gritti (Paris) e Out of chaos: A Festschrift in honor of Umberto Eco a cura di W. Tanner, A. Gervasi e K. Mizzel (Arlington). Lavori interessanti in cui però l’argomento Il nome della rosa occupa solo una parte.)

2.  Sintesi degli argomenti più importanti trattati dalla critica
La critica ha trattato e letto Il nome della rosa in molti modi; cfr. quanto Giovannoli dice in argomento nell’introduzione al volume Saggio su Il nome della rosa. Ci sono tuttavia alcuni argomenti che sembrano più importanti degli altri. Sono quelli della biblioteca/Borges, dell’intertestualità, del riso, del Nome della rosa come un’opera aperta e del Nome della rosa come allegoria dei tempi moderni. Ecco in sintesi come questi argomenti sono stati trattati.

2.1.  La biblioteca/Borges
Per cercare di dare un’idea delle opinioni più frequenti su questo argomento, presentiamo qui qualche punto conclusivo:
   In primo luogo bisogna constatare che la biblioteca è un labirinto la cui pianta rispecchia fra l’altro il labirinto della cattedrale di Reims (vedi per es. Köhn, Unsere Bibliothek ist nicht wie die anderen, in "... eine finstere und fast unglaubliche Geschichte"?, pp. 97-98). Il labirinto di Reims era del resto raffigurato già sulla copertina della prima edizione del romanzo.
   In secondo luogo la biblioteca dell’Edificio rispecchia la biblioteca di Babele della nota novella di Borges ("The Library of Babel" in Labyrinths. Selected Stories & Other Writings, traduzione inglese, New York 1983). In questo senso la biblioteca di Borges nella biblioteca di Eco sarebbe un esempio perfetto di ciò che vale per la biblioteca stessa di Borges; in essa ci sono infatti "the interpolations of every book in all books" (p. 54). Per dare un’idea dell’immensità vertiginosa della biblioteca di Borges, in considerazione dell’"interpolation" della stessa biblioteca nel romanzo di Eco, ecco un’altra regola che vale per la biblioteca di Babele: "[vi era] Everything: the minutely detailed history of the future" (ibid.); e ci pare che "the minutely detailed history of the future" debba anche comprendere ogni commento futuro sulle biblioteche stesse di Borges e di Eco, incluso questo.
   Per quanto riguarda poi l’interpretazione della biblioteca dell’abbazia, pare che queste due opinioni siano molto rappresentative della critica in generale:

1)  la biblioteca rispecchia intertestualmente la Biblioteca Universale di Borges (la biblioteca di Babele):

Mit seiner Vision einer Bibliothek, die das Universum ist, greift Borges unverkennbar das Weltbuchgleichnis auf, führt es aber zugleich gründlich ad absurdum. Seine Universalbibliothek enthält alle möglichen Bücher, genauer: sämtliche zu Büchern gebundenen Texte, welche sich aus den Kombinationen der 22 Lettern des Alphabets nebst Punkt, Komma und Spatium hergestellen lassen. (Schmitz-Emans, Lesen und Schreiben nach Babel, in Arcadia, 1992, vol. 27, p. 107)
Ma le biblioteche di Borges e di Eco sono anche dei labirinti, e così: "Wie Borges setzt Eco ein Gleichheitszeichen zwischen Bibliothek und Labyrinth; die Welt der Texte wie das Labyrinth sind Metaphern einer desorientierenden und niemals befriedigend einsichtigen Wirklichkeit" (ibid., p. 113);

2)  il labirinto (la biblioteca) è una metafora della struttura della mente umana, o più precisamente: "il mondo appare all’uomo moderno sotto forma di labirinto (o di rizoma, che in questo contesto significa lo stesso) perché non c’è più ordine chiaro verso il quale lui possa orientarsi" (Stauder, Nell’anno ottavo della pubblicazione del "Nome della Rosa", in Romanistische Zeitschrift für Literaturgeschichte, 1988, vol. 12, p. 445).

Ma si può anche trovare qualche opinione diversa: dato il disordine fittizio della pianta della biblioteca, essa può essere un’immagine del concetto del Caos "das von der menschlichen Intelligenz dominiert wird" (Borter-Sciuchetti, op. cit., p. 48).
   Vediamo ora che cosa dice Eco stesso sulla biblioteca:
   Nelle Postille distingue tre tipi di labirinti:  1)  il labirinto che "non consente a nessuno di perdersi: entri e arrivi al centro, e poi dal centro all’uscita" (p. 524);  2) il libirinto  manieristico con "una struttura a radici con molti vicoli ciechi. L’uscita è una sola, ma puoi sbagliare" (pp. 524-525);  3)  il labirinto a rizoma: "Infine c’è la rete, ovvero quella che Deleuze e Guattari chiamano rizoma. Il rizoma è fatto in modo che ogni strada può connettersi con ogni altra. Non ha centro, non ha periferia, non ha uscita, perché è potenzialmente infinito" (p. 525). E della biblioteca dell’Edificio dice così: "Il labirinto della mia biblioteca è ancora un labirinto manieristico, ma il mondo in cui Guglielmo si accorge di vivere è già strutturato a rizoma: ovvero, è strutturabile, ma mai definitivamente strutturato" (p. 525).
   Da quest’ultimo commento sembra chiaro che non sia il labirinto della biblioteca ad avere forma di rizoma, ma il mondo che essa vuole rappresentare.
   È anche interessante registrare quanto Eco, un po’ sollecitato, dice sul tema Dio-biblioteca in una grande intervista francese del 1989 (Magazine littéraire, n. 262, pp. 18-27):

Qu’est-ce que c’est pour vous, une bibliothèque? ...
–  ... Alors on peut dire peut-être, comme l’avait compris Borges, que la bibliothèque est un ersatz, un substitut de Dieu. Si Dieu existe, puisqu’il est omniscient, il est une sorte de grande bibliothèque. ...
–  Vous allez beaucoup plus loin que Borges. Borges disait que la bibliothèque c’est le monde, et vous, vous dites que la bibliothèque, c’est Dieu.
–  Oui, mais ce soir, c’est la première fois que je le dis. Après avoir été sollicité par vos questions. Ma après tuot, c’est peut-être cela le rôle d’une interview. Et la fonction maudite des interviews est de permettre de prononcer des hérésies terribles qu’autrement on n’aurait pas eu le courage de formuler. (pp. 23-24)
Infine diremmo che, a quanto pare, sarebbe molto fruttuoso fare delle ricerche sistematiche sul modo di trattare ed interpretare la biblioteca dell’abbazia da parte dalla critica.

2.2.  Intertestualità
Già dall’inizio la critica ha visto il romanzo di Eco come un grande collage di citazioni di altri libri. Si è tutto il tempo parlato di intertestualità. Però, nel caso del Nome della rosa è bene considerare questo concetto sotto un aspetto generale facendovi rientrare non solo risonanze linguistiche da altri libri o altre forme di testi, ma anche impronte più o meno dirette su personaggi, scene, avvenimenti, ecc., tratte da altre opere di fiction oppure dalla stessa realtà storica. Per quest’ultima forma d’intertestualità si prendano ad es. il pensiero di Ockham che si ritrova in Guglielmo, le vesti di Watson sulla persona di Adso, Sullamita nella ragazza dell’incontro amoroso nella cucina dell’Edificio, la biblioteca di Babele nel labirinto dell’abbazia, e così via.
   Quanto al termine d’intertestualità, che è abbastanza moderno, può forse essere bene ricordare che il metodo del collage ovvero l’uso più o meno sistematico di citazioni da altri testi è di vecchia data: lo troviamo già nell’antichità, nel medioevo, nel rinascimento, fino ad arrivare all’epoca moderna; per es. l’Esamerone di Sant’Ambrogio, la Commedia di Dante, le Stanze per la Giostra di Poliziano, Ulisse di Joyce, Il cavaliere inesistente di Calvino, e via dicendo.
   È chiaro che in più di dieci anni (fino al ’94) la critica ha saputo produrre intere liste di casi d’intertestualità nel romanzo di Eco. Si pensi in primo luogo ai seguenti elenchi, in cui le interferenze definite sono anche dotate di commenti più o meno ampi:

–  l’elenco in The Key to The name of the rose di Adele Haft, Jane White e Robert White (1987), pp. 94-177. Casi registrati pagina per pagina. Molto spazio di questo elenco è però dedicato alla sola traduzione di citazioni latine;

–  il saggio Inspirationskilder til ’Rosens Navn’ di Aase Lagoni Danstrup nel volume Om rosens navn a cura di Kirsten Grubb Jensen (1987), pp. 73-93. Un mosaico di casi intertestuali: opere, idee, personaggi, ecc.;

–  il cap. IV (pp. 77-142) "’Un palinsesto mal raschiato’ – zu Intertextualität und Postmoderne" in Umberto Ecos "Der Name der Rose": Forschungsbericht und Interpretation di Thomas Stauder (1988). Esempi intertestuali analizzati sotto vari aspetti, come "Autoreflexivität", "Einzeltextreferenz", ecc.;

–  "Appendice I, Le fonti: citazioni, manipolazioni e allusioni" in Umberto Eco, Il nome della rosa, introduzione e note a cura di Costantino Marmo (Marmo-Nome, 1990), pp. 507-565. Casi registrati pagina per pagina. L’elenco di Marmo è forse il più esauriente nel suo genere.

Dati i risultati del presente lavoro si potrebbero completare queste liste con tutti i registrati casi intertestuali basati sulle interferenze con La Divina Commedia di Dante e Le Troiane di Euripide.
   È chiaro però che manca ancora una rassegna sistematica dei casi intertestuali raggruppati secondo una tipologia che vada oltre la sola registrazione (che è naturalmente la base indispensabile di ogni ricerca del genere): impronte di carattere, impronte topologiche, citazioni dirette, citazioni velate, citazioni alterate, citazioni anacronistiche, uso di topoi letterali, immissione di idee della vasta fonte del pensiero umano (filosofia, teologia, teoria letteraria, ecc.), inserimento di echi di movimenti sociali attraverso tutti i secoli, analogie con le strutture globali o minute di altre opere di fiction o parti della Storia umana, incluse le esperienze dell’autore stesso, ecc. ecc. E nell’ambito di tali ricerche bisogna sempre chiedersi perché il testo abbia avuto i suoi vari profili intertestuali. Per ironia, omaggio, scherzo? Per dare "atmosfera" particolare? Per raggiungere effetti psicologici, estetici, drammatici, ecc.? Per far permettere di arrivare ad altri strati interpretativi? Per far esprimere ad altri cose importanti condivise dall’autore? Parla il subconscio? E così via.
   Quanto alla funzione della "Collagetechnik" le opinioni della critica sono spesso molto personali; in ogni modo ci pare che Hermann Kleber sia riuscito a formulare alcuni concetti di valore generale:

Die Collagetechnik ist vom Autor so angelegt, dass sie der Leser bemerken soll und als Intertextualität ... geniessen kann. Der Leser soll Zitate und Anspielungen, Imitationen und Parodien erkennen, sich ihres ursprunglichen Zusammenhangs erinnern und den neuen Sinn in der neuen Zusammnestellung erfassen und geniessen. ... Die Collagetechnik verleiht dem "Namen der Rose" sienen eigentümlichen poetischen Charakter aus vordergründiger Durchschaubarkeit und letztlicher Undurchschaubarkeit und macht aus ihm eine Metapher der Welt. (Der Autor und sein Roman, in Ecos Rosenroman, p. 53)
Concludendo sull’intertestualità in generale ci immaginiamo pure che sarebbe molto fruttuoso fare dei confronti sistematici tra le reti intertestuali del Nome della rosa (incluse quelle della presente analisi) e i sistemi o i mosaici inerenti alle opere di Joyce (metodi, funzioni degli elementi strutturali, finalità dei sistemi, ecc.)

2.3.  Il riso
Tanti critici hanno trattato il tema del riso (menzionato fra l’altro nella Poetica di Aristotele, il libro fatale dell’abbazia), e ognuno ha il suo modo di commentarlo, ma generalmente si vede nel riso una protesta verso la serietà dogmatizzata del Medioevo. L’opinione di Nunzia Rossi è assai rappresentativa; per lei il riso è una protesta creativa verso ciò che chiama la "serietà medievale ufficializzata" (op. cit., p. 275) e il suo mondo "limitato, relativo, gerarchico, immobile, legato ... all’intimidazione, al terrore, alla paura, alla rassegnazione, alla docilità, in una parola alla morte" (ibid.).
   Ma ci sono anche altre dimensioni nella protesta del riso: "Lachen ist der Versuch, ’sich von der krankhaften Leidenshaft für die Wahrheit zu befreien’ ... Es lockert den Wahrheitsfanatismus und gibt Raum für Anderesdenkende, lässt Humanität zu" (Fuhrmann, Umberto Eco und sein Roman "Der Name der Rose", in "... eine finstere und fast unglaubliche Geschichte"?, p. 20). (Per la citazione "sich von der ecc.", cfr. Nome, p. 494: "l’unica verità è imparare a liberarci dalla passione insana per la verità" (detto da Guglielmo).)
   Alcuni critici associano l’apertura verso il riso nel Nome della rosa al riso "esploso" del Rinascimento, per es. Alfredo Giuliani: "Eco ha utilizzato un tema di Michail Bachtin (L’opera di Rabelais e la cultura popolare): ’La cultura ufficiale del Medioevo è caratterizzata da un tono esclusivamente serio’; il riso medievale si farà strada sotterraneamente fino a esplodere nel romanzo di Rabelais in pieno Rinascimento" (Scherzare col fuoco, in Saggi su Il nome della rosa, p. 36); il riso sarebbe quindi un modo per uscire dalla prigione intellettuale del Medioevo: "Lo spirito si libera, il riso erompe" (Calle-Gruber, I sortilegi della biblioteca, in Saggi su Il nome della rosa, p. 111).
   Ma il riso può anche essere espressione delle nostre reazioni davanti a situazioni che capovolgono in modo assurdo o inaspettato un ordine prestabilito (il "miles gloriosus che passeggia tutto impettito e scivola su una buccia di banana" (Eco, Sugli specchi e altri saggi, p. 264)). Per tale legame fra riso e cose capovolte, vedi per es. le riflessioni di Theresa Coletti menzionate sopra (sez. 1). E in quest’ottica va naturalmente considerata anche il sogno di Adso, ovvero la versione visionaria della "festa dei folli" del Nome della rosa. Ma anche il riso carnevalesco delle feste dei folli ha la sua funzione di protesta. Constantino Marmo, che segue l’analisi di Bachtin, scrive in proposito: "Il riso e l’allegria che accompagnavano queste feste [dei folli e dell’asino] avevano quindi una funzione di critica del potere sacralizzato, purificando dal dogmatismo, dall’unilateralità, dal fanatismo e dalla tetraggine della seriosità ufficiale" (Marmo-Nome, pp. 567-568).
   Aggiungiamo che se si considera il romanzo di Eco come un’esortazione al riso per purificarci dal dogmatismo, per liberarci da ossessioni tormentose, per vedere la comicità anche nelle cose tragiche, e così via, allora possiamo senz’altro concludere che abbiamo individuato un senso morale del libro, quello che ci insegna "quid agas" (cfr. il distico sui quattro sensi dell’allegorismo medievale, riportato in III-1, sez. 3). Tuttavia, nel libro di Eco sono naturalmente individuabili anche altri sensi morali; Giovannoli si esprime per es. in questo modo: "romanzo di idee logico-philosoficus – livello morale, dove etica e semiotica son tutt’uno" (Saggi su Il nome della rosa, p. 9).


2.4.  "Il nome della rosa" come un’opera aperta
Bisogna prima precisare intorno al concetto dell’opera aperta. Usiamo le parole di Eco stesso: "Opera aperta come proposta di un ’campo’ di possibilità interpretative, come configurazione di stimoli dotati di una sostanziale indeterminatezza, così che il fruitore sia indotto a una serie di ’letture’ sempre variabili; struttura, infine, come ’costellazione’ di elementi che si prestano a diverse relazioni reciproche" (Opera aperta, VIII ed. Tascabili Bompiani, Milano 1991, p. 154).
   Ora, quanto all’apertura interpretativa del Nome della rosa basterebbe sicuramente allegare ancora una volta le parole di Giovannoli: "... ricco (fino all’eccesso) di significati, enesauribile ... esemplificazione evidente di quella ’illimitatezza’ della semiosi (per cui ogni segno ne cela un altro, e ogni maschera nasconde una maschera)" (Saggi su Il nome della rosa, p. 7). Ciò che si suole mettere in evidenza è la straordinaria facoltà del libro di generare sensi a partire dall’individualità culturale del lettore; nessuno potrà mai dire: "Il senso del romanzo è questo. Basta"; oppure "Il significato di questo particolare del libro è come ho detto. Basta". Anzi, in base alla teoria del lettore modello (Lector in fabula) che accetta la sfida dell’autore di entrare nel gioco interpretativo del libro, si potrà certamente dire che Eco è riuscito a far produrre tanti sensi quanti sono i lettori partecipanti, perché ogni lettore è diverso dall’altro: altra cultura letteraria, altre convinzioni filosofiche, teologiche, ideologiche, ecc. ecc. In questo senso il romanzo è davvero aperto: non si chiude a nessuna via interpretativa sia essa una interpretazione globale oppure una piccola traccia parziale, purché, s’intende, il testo la permetta. Ma, è bene sottolinearlo, non bisogna considerare nessuna fondata interpretazione del tutto senza collegamenti con le altre. Ascoltiamo Eco stesso: "il testo estetico deve possedere, in modello ridotto, le stesse caratteristiche di una lingua: ci deve essere nel testo stesso un sistema di mutue relazioni, un disegno semiotico che paradossalmente permette di offrire l’impressione di a-semiosi" (Trattato di semiotica generale, XII ed., Milano 1991, p. 338). Insomma, i vari sensi schizzati nel romanzo devono in qualche modo comunicare fra di loro, creando un complesso macrosegno con molti strati interpretativi e di cui ogni senso e ogni strato particolare contribuisce a dare carattere individuale alla totalità organica del macrosegno. Oppure, considerando il romanzo di Eco uno speculum mundi, si ha "la visione di una polidimensionalità del reale, delle infinite prospettive possibili, di una Forma universale che possa essere messa a fuoco sotto differenti angoli visuali, ritrovandone inesauribili fisionomie complementari" (Eco, Le poetiche di Joyce, II ed. Studi Bompiani, Milano 1989, p. 135). Parole che Eco ha formulato per esprimere una parte essenziale del pensiero di Cusano (ammirato fra l’altro da Joyce).


2.5.  "Il nome della rosa" come allegoria dei tempi moderni
In questa chiave di lettura si possono trovare nella critica due tesi principali:

1)  il disorientamento dell’uomo moderno. Questo concetto viene per lo più associato alla struttura "caotica" della biblioteca; si vedano per es. le opinioni di Schmitz-Emans e di Stauder nella sez. 2.1 più sopra. Ma per Stauder anche l’onnipotenza di Dio (ribadita in vari luoghi del romanzo) gioca la sua parte per formulare la tesi sull’uomo disorientato: "non c’è più dubbio che la dottrina dell’assoluta onnipotenza di Dio e il labirinto come simbolo della moderna condizione umana sono per Eco in verità soltanto due modi diversi di alludere ad un unico dilemma: la nostra difficoltà di orientarci in un mondo senza struttura" (Nell’anno ottavo ecc., p. 447).
   Ci sono naturalmente variazioni sul tema del disorientamento umano. Dietmar Kampar lo concepisce per es. in questo modo: "la tesi di fondo del romanzo è infatti che la fine dell’immodestia è arrivata, che non può esserci un avanzamento del sapere che non sia anche un avanzamento del non-sapere, che non esiste un ordine scientificamente stabilito del mondo e infine che la presenza di forme di conoscenza pre e postscientifica diventerà determinante per la sopravvivenza dell’umanità" (La fine dell’immodestia, in Saggi su Il nome della rosa, p. 175);

2)  l’allegoria dell’Italia in crisi. Elena Costiucovich riassume perfettamente questa tesi: "I critici italiani ... hanno letto [il romanzo] come un’allegoria atroce dell’Italia in crisi, una parabola in cui trovano posto la funzione provocatrice del terrorismo, favorevole soprattutto ai sostenitori di un governo ’forte’, l’onnipotenza della mafia e della massoneria, l’omertà, l’incompetenza e la disonestà del vertice dirigenziale" (La semiosi illimitata ecc., in Saggi su Il nome della rosa, p. 80).
   Quanto a quest’ultimo argomento è chiaro che una lettura del Nome della rosa come "un’allegoria dei tempi moderni" diventa una lettura sul secondo livello dell’allegorismo medievale, quello su cui viene insegnato "quid credas". Giovannoli dice del resto in proposito: "romanzo a chiave sulla realtà contemporanea – ecco l’allegoria" (Saggi su Il nome della rosa, p. 9).

3.  L’argomento "La Divina Commedia nel Nome della rosa" nella critica

3.1.  Scarso interesse dell’argomento
Generalmente parlando tale argomento è stato trattato dalla critica con scarso interesse o addirittura con disinteresse. Ma ecco qui in ogni modo come si possono riassumere le voci critiche sull’argomento:
   Alcuni critici hanno trovato una rassomiglianza tra le coppie Guglielmo/Adso e Virgilio/Dante. Per es.:

–  Giovanni Cecchetti scrive in un breve articolo: "Adso è anche una specie di Dante personaggio, il quale in Guglielmo ... trova il suo Virgilio, la guida e ’maestro’" (Il romanzo di Umberto Eco, in Italian Quarterly, 1983, n. 92, p. 95). Nell’articolo Cecchetti punta però più sul carattere manzoniano del Nome della rosa;

–  Nunzia Rossi fa quest’osservazione: "Il viaggio de Il nome della rosa è quindi un viaggio di salvezza sulla terra, un viaggio per smascherare il Potere, viaggio in cui Baskerville fa da Virgilio a un Adso recalcitrante che non si abbandona fiducioso, come Dante, al suo maestro" (op. cit., p. 281). Ma la Rossi lascia quest’osservazione per continuare in altra direzione il suo articolo, che del resto, come già Giovannoli dice, è denso di riflessioni e di spunti di riflessione.

È naturalmente facile riconoscere la citazione del canto V dell’Inferno ("e caddi come corpo morto cade" (v. 142)) quando Adso si desta dopo l’esperienza amorosa con la ragazza senza nome ("Lanciai un urlo e caddi come cade un corpo morto" (Nome, p. 253)). Theresa Coletti commenta: "With the brilliant intertextuality of a near quotation, Adso echoes the final line of Inferno 5, in which Dante encounters Paolo and Francesca among the circle of the lustful" (op. cit., p. 67).
   La Coletti rende conto di due altri echi:

–  nel canto XXVI del Paradiso Dante incontra Adamo che dice che il suo vero peccato era "solamente il trapassar del segno" (v. 117), cioè il non ubbidire. Ma la Coletti osserva: "the ’trapassar del segno’ also suggests the ’overpassing, or trespassing of the sign’" (op. cit., p. 67). E conclude fra l’altro: "As a concrete instance of the linguistic multivalence that the ’trapassar del segno’ bespeaks, the phrase also epitomizes the overstepping of bounderies and the trespassing of signs that constitute the thematic focus of the central chapter of The Name of the Rose [dove Adso incontra la ragazza]" (ibid.);

–  un’eco del XXXIII canto del Paradiso:

The collocation of sibylline leaves and divine message evoked by Adso’s gathering of the fragments [della biblioteca] is also reminiscent of Paradiso 33. Dante makes the windblown leaves a metaphor for the fragility of his vision of God ... Unlike Adso’s fragmentary text, Dante’s heavenly gathering of dispersed leaves constitutes a single illuminated image of totality, fusion, and presence. (ibid., p. 177)
(Quest’eco è stata registrata anche da Hans Kellner (To Make Truth Laugh, in Naming the rose: essays on Eco’s The name of the rose, pp. 21-22).)
   Si può trovare qualche altra isolata corrispondenza. Walther Stephens vede per es. un’eco del Paradiso (XI, 49-54) nel fatto che l’Assiso sul timpano della chiesa abbaziale non viene mai chiamato Cristo (vedi però I-2.2.5.1, nota 7): come Dante crei un gioco di parole (Ascesi invece di Assisi) togliendo a san Francesco il suo nome, così fa Adso (Eco) parlando solo dell’Assiso (Un’eco in fabula, in Saggi su Il nome della rosa, p. 137). Quest’eco è poi usata da Stephens per approfondire la sua analisi di Salvatore come "una sorta di Anticristo che ha usurpato il nome del Redentore" (ibid.). (Per il nome di Salvatore, vedi anche digressione X.)
   Tuttavia, anche se i critici hanno trovato delle corrispondenze più o meno concrete, non le mettono mai in sistema.

3.2.  Controlli effettuati
Dato che le idee generali del presente lavoro sono nuove, ci pare opportuno chiarire come abbiamo controllato (prima della pubblicazione della tesi del ’94) l’esistenza nella critica dell’argomento "La Divina Commedia nel Nome della rosa". Precisiamo quindi di aver fatto i controlli in data bases, bibliografie tradizionali, libri e riviste. E cioè:

a)  Libri: vedi sez. 1 del presente capitolo.

b)  MLA International Bibliography, 1/81 thru 12/26/91:
   lemma: Name of the Rose
   registrazioni: 122
   subjects covered: Dante o Divina Commedia = 0

c)  MLA International Bibliography, 1/81 thru 12/26/91:
   lemma: Eco, Umberto
   registrazioni: 193
   subjects covered: Dante o Divina Commedia = 1 (registrazione errata(2))

d)  Dissertation Abstracts: Humanities, jan. 1987-mar. 1993:
   lemma: Eco, Umberto
   registrazioni: 2

In nessun caso (a-d) viene trattato unicamente Eco, Umberto o Il nome della rosa; né si fa menzione della Divina Commedia di Dante.

e)  A Preliminary Checklist of English-Language Criticism (1988) compilata da Jackson R. Bryer e Ruth M. Alvarez, in Naming the rose: essays on Eco’s The name of the rose, pp. 175-198. Nella "checklist" circa 16 pagine riguardano esclusivamente Il nome della rosa e le Postille. Di ogni articolo o libro c’è un breve riassunto o qualche frase chiave che ne coglie il contenuto.
   Non si fa in nessun caso menzione di Dante o della Divina Commedia.

f)  "Kommentiere Bibliographie zum ’Namen der Rose’ (1980 bis Mitte 1986)" in Umberto Ecos "Der Name der Rose": Forschungsbericht und Interpretation di Thomas Stauder. In qualche caso vengono menzionati Dante e la sua Commedia, ma si tratta allora solo di osservazioni isolate, come la rassomiglianza fra la coppia Adso/Guglielmo e quella di Dante/Virgilio (Giovanni Cecchetti, vedi più sopra), il grido di Adso ("Lanciai un urlo ecc.") (Rocco Capozzi), "Adso, a German by birth, claims that he cannot read Dante’s new poem because it is written ’in vulgar Tuscan’, but he covertly quotes it, as he covertly quote Joyce" (Richard Ellman), "Cervantes, Dante, Joyce ... are insinuated" (Patrick Maguire), e altre osservazioni del genere.

g)  Per cercare di coprire il periodo dal 1992 (dopo le bibliografie MLA citate sopra) abbiamo controllato una scelta di importanti riviste internazionali (Danimarca, Belgio, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, USA); diciamo "scelta" perché è (era) naturalmente impossibile controllare ogni rivista internazionale. Come punto di partenza abbiamo scelto in via di principio il 1989, anno che precede l’edizione scolastica del Nome della rosa di Costantino Marmo (Marmo-Nome). Al controllo ci siamo interessati agli articoli, alle recensioni di libri e alle discussioni particolari. Le riviste controllate sono queste: Arcadia (89/1-93/3), Contemporary literature (89/1-93/4), Critical Quarterly CQ (89/1-93/4), Criticism (89/1-93/4), Critique (88/1-93/4), Deutsche Vierteljahrschrift für Literaturwissenschaft (89/1-93/4), Diacritics (89/1-93/2), Essays in Criticism (92/1-94/1), Euphorion (89/1-93/4), Les lettres romanes (89/1-93/3), Libri e riviste d’Italia (89/1-92/3), Literature & Theology (89/1-93/4), Lettere italiane (91/1-93/1), Modern Fiction Studies (92/1-4), Orbis litterarum (88/1-94/1), Revue de littérature comparée (RLC) (89/1-93/3), Rivista di letterature moderne e comparate (89/1-93/1), Sinn und Form (89/1-93/6), Twentieth century literature (85/1-93/3), World literature today (89/1-93/4), Zeitschrift für Literaturwissenschaft und Linguistik (LiLi) (89/1-93/3).
   A parte queste riviste abbiamo anche fatto controlli sporadici di altre riviste, come Allt om böcker (93/1-3), Artes (93/1-4), Edda (93/1-2), Neohelica (92/1-93/1), New Literary History (93/1-4), Poetica (93/1-2), Poetique (93/1-4), Tidskrift för litteraturvetenskap (93/1-3).
   In nessun caso abbiamo trovato articoli, recensioni di libri o discussioni che trattino l’argomento "La Divina Commedia nel Nome della rosa".

Abbiamo pertanto concluso che apparentemente l’argomento "La Divina Commedia nel Nome della rosa" non era stato trattato dalla critica in un modo che coincidesse con quello dell’analisi presentata nella tesi.

Note

(1)  Possiamo soltanto menzionare che dopo la tesi abbiamo presentato due articoli in argomento: uno sulle corrispondenze topografiche tra l’abbazia e la città di Troia, già citato in I-1.1, nota 7; e un altro, Ekon från Dante i "Rosens namn" av Umberto Eco, apparso negli acta del convegno a Stoccolma, "Nordiske Dantenetværks Seminarium nr. 2" del 2001 (vedi la bibliografia).
A quelli che s’interessano di una visione globale della critica sulle opere di Eco si raccomanda di consultare la pagina Internet www.umbertoeco.com/en/critique-on-umberto-eco.html dove sotto la rubrica "Selected bibliography on Umberto Eco" si presenta una impressionante lista di opere critiche tra libri, dissertazioni, articoli, saggi, ecc.

(2)  Si tratta di un lungo articolo di Giuseppina Mezzadroli apparso nelle Lettere Italiane, 1989, vol. 41, pp. 481-531. L’articolo porta il nome Enigmi del racconto e strategia comunicativa nei riassunti autotestuali della Commedia dantesca. Nella piccola lista di "subjects covered" della bibliografia figura anche "Eco, Umberto". L’articolo di Mezzadroli è molto interessante in quanto dà luce sui rapporti fra Dante e il lettore, ma non tratta l’argomento "Eco, Umberto" o il suo romanzo.

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