I-2.2.5.11

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I-2.2.5.11.  ELEMENTO OMOLOGO NR/DC 16

L’ira divina

A.  OGGETTO DELL’ANALISI
Due scene che nel loro sviluppo hanno uno schema strutturale uguale. Definizione delle scene:
   La mattina del Sesto giorno Adso va in chiesa ad assistere alla funzione funebre del morto Malachia. Tutto sonnacchioso si unisce al coro dei preganti; quando intonano la sequenza Dies irae, si addormenta: "Li [i monaci in preghiera] seguivo senza quasi rendermi conto di quanto dicessero le mie labbra ... Trascorse molto tempo, credo di essermi addormentato e risvegliato almeno tre o quattro volte. Poi il coro intonò il Dies irae... Il salmodiare mi prese come un narcotico. Mi addormentai del tutto" (Nome, p. 429).(1) Si risveglia solo quando il coro dei monaci sta cantando l’ultima parte del Dies irae: "E mi svegliai mentre terminavano in chiesa le ultime parole del canto funebre: ’Lacrimosa dies illa ...’" (p. 438).(2) La scena che stiamo definendo è dunque quella che comincia con il coro dei preganti e finisce con le ultime parole del canto per i morti.
   La scena corrispondente della Divina Commedia si trova nel XX canto del Purgatorio, dove Dante incontra le anime dell’avarizia punita. La scena comincia esattamente col verso 16 ("Noi andavam con passi lenti e scarsi"), e finisce con il tremore del monte e il canto consecutivo delle anime ("’Gloria in excelsis’ tutti ’Deo’ / dicean" (vv. 136-137)).

B.  ANALISI COMPARATIVA
Giorno e ora delle scene (B1) – Schema strutturale delle scene (B2) – Definizione dell’elemento omologo NR/DC 16 (C).

B1.  GIORNO E ORA DELLE SCENE
Per il giorno della scena NR: essa è descritta nel cap. "Sesto giorno, terza"; accade cioè nel Sesto giorno.
   Per l’ora: sapendo che la terza ora suona verso le 9 e che Adso si reca alla chiesa proprio all’inizio del capitolo della Terza (Nome, p. 428), concludiamo che la scena comincia intorno alle 9 di mattina.
   Per arrivare a un’ora approssimativa della fine della scena è bene prima fare un piccolo elenco delle cose che accaddero nella chiesa dopo che Adso vi era entrato. Dunque:
   Adso si unisce ai confratelli che stanno recitando la prima parte dell’ufficio per i morti, cioè le preghiere Requiem aeternam e Kyrie eleison (per questa parte della Missa pro defunctis, vedi nota 2). La recitazione delle preghiere sembra aver richiesto non poco tempo, infatti "Trascorse molto tempo, credo di essermi addormentato e risvegliato almeno tre o quattro volte" (Nome, p. 429); poi si comincia a cantare il Dies irae, durante il quale Adso ha quello strano sogno di cui alla nota 1; ma nonostante che nel sogno avvengano tantissime cose complicate, esso termina poco prima della fine del canto dei monaci: "Segno che la mia visione, se non era durata, fulminea come tutte le visioni, la durata di un amen, era durata poco meno di un Dies irae" (p. 438) E con le ultime parole del Dies irae termina la scena.
   Facendo una valutazione approssimativa del tempo trascorso si arriva forse a 30-45 minuti, al massimo 60 minuti. In altre parole, la scena NR deve con ogni probabilità esser finita non oltre le 10.00 di mattina (9.00 + 60 minuti).
   La scena DC si trova nel canto XX del Purgatorio. Si tratta quindi di un episodio collocato nel Sesto giorno.
   Purtroppo l’ora esatta della scena non si definisce tanto facilmente, ma cerchiamo di determinarla in ogni modo:
   Anche la scena DC del capitolo precedente (Adriano V prostrato sul suolo del Purgatorio) avviene nel Sesto giorno. Quanto all’ora di quella scena, l’abbiamo definita entro le 6.15 e 7.00 di mattina (punto B1); vale a dire che quella scena non può esser finita prima delle 6.15; perciò, la scena del presente capitolo non deve naturalmente cominciare prima di quell’ora.
   Per l’ora della fine dell’attuale scena è chiaro che non dovrebbe accadere dopo le 10.30, perché quest’ora rappresenta la prima indicazione temporale che si riscontra nel cammino di Dante, dopo la scena con Adriano V; l’indicazione stessa si trova nel canto XXII del Purgatorio, cioè due canti dopo la nostra scena.(3)
   Se vogliamo poi cercare di restringere un po’ lo spazio temporale in cui collocare la scena, bisogna considerare quello che accadde: 1) dopo la scena con Adriano V fino alla scena attuale, e 2) dopo questa scena fino alle 10.30. Abbiamo insomma uno spazio temporale di più di quattro ore (6.15-10.30) per collocare la scena. Se possiamo precisare il tempo trascorso dalle 6.15 fino alla scena e il tempo impiegato dopo la scena fino alle 10.30, sarà quindi possibile arrivare a una maggiore precisione temporale. Dunque:

1)  Dopo la scena con Adriano V accade questo: a) Dante e Virgilio continuano a camminare (Purg., XX, 4-6); b) camminando lentamente insieme con Virgilio (v. 16), Dante sente ad un tratto il grido pietoso dell’anima di Ugo Ciapetta (ossia Ugo Capeto o Ugo Magno) (v. 19); Dante si ferma ed attacca dialogo con l’anima di Ugo, dialogo che sfocerà nel grande monologo di quest’ultimo (v. 40); la scena attuale DC inizia qui.
   È naturalmente difficile valutare il tempo impiegato per fare le cose di a) e b); ma con un’approssimazione molto cauta arriviamo a un tempo non inferiore ai 15 minuti (in realtà forse 30-45 minuti). La scena DC non può pertanto cominciare prima delle 6.30 (6.15 + 0.15).

2)  Dopo la scena DC fino alle 10.30 si assiste a quanto segue: a) i due poeti se ne vanno (v. 142) e camminano in fretta per un indeterminato spazio di tempo: "e pungìemi la fretta / per la ’mpacciata via dietro al mio duca" (Purg., XXI, 4-5); b) ma via facendo incontrano l’anima del poeta Stazio (vv. 79 sgg.). Tutti e tre vanno poi insieme nella direzione del VI girone, discutendo, con qualche interruzione, su diverse cose, finché giungono in cima alla scala che porta al nuovo girone. È qui che s’inserisce l’indicazione del tempo indicato sopra ("Tacevansi ambedue già li poeti ecc." (XXII, 115)).
   Anche in questo caso la valutazione temporale riesce difficile. Ma ricorrendo ancora una volta ad una approssimazione assai cauta non pensiamo sia erroneo supporre che a) e b) comprendano uno spazio temporale di almeno 30 minuti, probabilmente molto di più. La scena DC deve pertanto essere finita non dopo le 10.00 (10.30 meno mezz’ora).

·  Le scene accadono nella mattina del Sesto giorno, tra le 6.30 e le 10.00.

B2.  SCHEMA STRUTTURALE DELLE SCENE
Tutta la scena NR segue un certo ritmo strutturale nel senso che si può definire una sequenza di fatti che in qualche modo sono da considerare come i fatti chiave della scena. Si tratta più precisamente di un fatto iniziale, un fatto finale, più due fatti intermedi. Eccoli:

1)  Fatto iniziale in cui si sentono delle voci che stanno pregando in tono pietoso: L’inizio della scena è descritto da Adso in questo modo: "La chiesa era ora illuminata da un chiarore tenue e livido, dominata dalla salma dello sventurato, abitata dal sussurro uniforme dei monaci che recitavano l’ufficio dei morti" (Nome, p. 428). Si sente cioè un mormorio di monaci preganti i quali, trattandosi dell’ufficio dei morti, dovevano stare recitando le preghiere che introducono il canto del Dies irae; e queste preghiere s’identificano con il Requiem aeternam e Kyrie eleison. Quanto al testo del Dies irae si rimanda qui e in seguito alla digressione XIII (menzionata nella nota 2).
   Se cerchiamo di cogliere il tono dei preganti (tono della voce indicante il loro stato d’animo), non dobbiamo certo esitare a definirlo pregno di pietà; a tale conclusione arriviamo non soltanto per l’ovvio fatto che le preghiere s’inseriscono in una funzione funebre dove è del tutto normale invocare pietosamente la misericordia di Dio, ma anche perché le parole stesse delle preghiere ne danno motivo sufficiente. Nel Requiem aeternam ci sono per esempio queste parole: "exaudi orationem meam, ad te omnis caro veniet. Requiem aeternam dona eis, Domine"; e "Kyrie eleison, Christe eleison, Kyrie eleison" significa proprio "Signore abbi pietà, Cristo abbi pietà, Signore abbi pietà".

2)  Fatto intermedio 1 in cui si sente dire dell’ira divina vendicatrice: Dopo la preghiera nella chiesa, a cui ha partecipato anche Adso tutto sonnacchioso, si sente intonare il Dies irae: "Poi [dopo la preghiera] il coro intonò il Dies Irae..." (p. 429). Quanto al tipo di quest’ira, si tratta naturalmente dell’ira divina. Si ricordi che in questa sequenza si parla del giorno del Giudizio Universale, il quale segnerà la fine di questo mondo: "Dies irae, dies illa solvet saeclum in favilla, teste David cum Sibylla." E che l’ira del Giudizio Universale sia tale da suscitare una vendetta, si ha se non altro dal testo della parte Tuba mirum dove si legge fra l’altro: "Judex ergo cum sedebit, quidquid latet apparebit, nil inultum remanebit."

3)  Fatto intermedio 2 in cui si ha la percezione di un gran tremore: Dopo che i monaci hanno intonato il canto per i morti, Adso si assopisce davvero ("Il salmodiare mi prese come un narcotico. Mi addormentai del tutto" (p. 429)). Ma nella chiesa i monaci continuano a cantare. E subito dopo la frase con "Dies irae", vengono queste parole: "Quantus tremor est futurus, quando judex est venturus, cuncta stricte discussurus", parole con cui si evoca l’immagine di un gran tremore. Insomma: nella chiesa, quando i monaci cantano le parole "Quantus tremor est futurus", si percepisce mentalmente il gran tremore (terrore) che si avrà davanti al giudice il giorno dell’ira divina.

4)  Fatto finale in cui si ode una sequenza di parole cantate che terminano con una preghiera di pace: Tutta la scena finisce quando Adso si desta, sentendo cantare nella chiesa l’ultima parte del Dies irae: "E mi svegliai mentre terminavano in chiesa le ultime parole del canto funebre: ’Lacrymosa dies illa, / qua resurget ex favilla / iudicandus homo reus: / huic ergo parce deus! / Pie Iesu domine / dona eis requiem’" (p. 438). Di queste ultime parole possiamo dire che terminano con una preghiera di pace, o più precisamente, di pace per i morti: "dona eis requiem".

Vediamo ora come il ritmo strutturale che abbiamo definito per la scena NR si ripeta nella corrispondente scena della Divina Commedia:

1)  Si sentono delle voci che stanno pregando in tono pietoso (= fatto iniziale): Proprio all’inizio della scena, mentre camminano nel quinto girone del Purgatorio, Dante e Virgilio sentono attorno a sé ombre che pregano pietosamente, piangendo e lagnandosi insieme: "Noi andavam con passi lenti e scarsi, / e io attento all’ombre, ch’i’ sentìa / pietosamente piangere e lagnarsi" (Purg., XX, 16-18). In questa citazione non è detto esplicitamente che le anime piangenti stiano proprio pregando; ma che esse stiano effettivamente orando, risulta chiaro dalle parole dell’anima di Ugo Capeto che ha attirato l’attenzione di Dante, che si rivolge a lui per sapere perché abbia invocato proprio Maria Vergine; nella lunga risposta di Ugo s’inseriscono anche queste parole: "Ciò che io dicea di quell’unica sposa / dello Spirito Santo ... tanto è risposta a tutte nostre prece / quanto ’l dì dura" (vv. 97-101).
   Per completare il quadro precisiamo che l’avverbio "pietosamente" (nella prima citazione, vv. 16-18) significa naturalmente che le anime stavano pregando in tono pietoso.

2)  Si sente dire dell’ira divina vendicatrice (= fatto intermedio 1): Nella sua lunga risposta a Dante Ugo inveisce fra l’altro contro Filippo il Bello il quale consegnò papa Bonifazio VIII nelle mani dei suoi nemici mortali e spogliò ingiustamente i Templari, torturandoli e sciogliendone l’ordine; per tanti atti crudeli Ugo invoca adesso su di lui la vendetta dell’ira divina: "Veggio il novo Pilato [Filippo] sì crudele, / che ciò [l’aver consegnato il papa nelle mani nemiche] nol sazia, ma sanza decreto / porta nel Tempio le cupide vele. / O Segnor mio, quando sarò io lieto / a veder la vendetta che, nascosa, / fa dolce l’ira tua nel tuo secreto?" (vv. 91-96).(4)

3)  Si ha la percezione di un gran tremore (= fatto intermedio 2): Dopo aver ascoltato il lungo monologo di Ugo Capeto, Dante e Virgilio continuano il loro cammino. Ma non hanno fatto molta strada che si sente un gran tremor di monte: "Noi eravam partiti già da esso [Ugo], / e brigavam di soverchiar la strada / tanto quanto al poder n’era permesso, / quand’io senti’, come cosa che cada, / tremar lo monte; onde mi prese un gelo / qual prender suol colui ch’a morte vada" (vv. 124-129).
   E la corrispondenza con Il nome della rosa? Certo, esiste una differenza fra il tremore percepito nella scena del Nome della rosa e quello vibrante della scena DC, ma sono sempre definibili tutt’e due come "tremori".

4)  Si ode una sequenza di parole cantate che terminano con una preghiera di pace (= fatto finale): Dopo le prime scosse del monte si sente all’improvviso un gran coro: sono le anime che si uniscono a cantar le lodi di Dio per l’avvenuta purificazione dell’anima di Stazio (il quale così è libero di salire verso il Cielo): "Poi cominciò da tutte parti un grido / tal, che ’l maestro inverso me si feo, / dicendo: ’Non dubbiar, mentr’io ti guido’. / ’Gloria in excelsis’ tutti ’Deo’ / dicean" (vv. 133-137). Dopo queste parole il monte cessa di scuotere e il coro terminano il canto: "No’ istavamo immobili e sospesi / come i pastor che prima udir quel canto, / fin che ’l tremar cessò ed el compièsi" (vv. 139-141). Ora, come interpretare esattamente questi versi? Ricorriamo ai commentatori che sembrano concordi nel tradurre il significato dei versi in questo modo: Noi stavamo immobili e sospesi come i pastori di Betlemme che prima udirono quel canto (il coro degli angeli), finché il tremar del monte cessò e il canto si concluse. (Per tale interpretazione rimandiamo per es. a Vernon-Purg., II, p. 175.) E come ben si sa il canto degli angeli termina così: "Et in terra pax hominibus bonae voluntatis".(5) E questa sequenza di parole è una preghiera di pace.

·  Ambedue le scene sono strutturate secondo questo schema:
–  fatto iniziale: si sentono delle voci che stanno pregando in un tono pietoso;
–  fatto intermedio 1: si sente dire dell’ira divina vendicatrice;
–  fatto intermedio 2: si ha la percezione di un gran tremore;
–  fatto finale: si ode una sequenza di parole cantate che terminano con una preghiera di pace.

A questo punto qualcuno forse obietterà dicendo che non è stato Umberto Eco a inventare tale sequenza di fatti che così bene sembrano armonizzare con il testo di Dante; infatti, si direbbe, è stato solo il fatto iniziale che lui ha, per così dire, controllato; gli altri fatti si basano su parti del canto Dies irae, cioè su un testo scritto da un’altra persona (probabilmente Tommaso da Celano). A tale critica si potrà rispondere che sebbene l’autore del canto funebre sia un altro, è sempre stato Eco a controllare l’impiego dello stesso canto, inserendolo in un contesto in modo che si verifichi quel contatto con il testo della Divina Commedia che abbiamo potuto constatato. Da un punto di vista generale diremmo che rappresenta un atto inventivo anche l’usare un componimento fatto da altri, purché venga usato in modo da creare qualcosa di nuovo ed interessante, magari immettendolo in una grande rete già esistente di contatti e di simpatia: un altro aspetto insomma del concetto di intertestualità; cfr. in proposito anche l’impiego di Ubertino in I-2.2.5.2, commento finale.
  Un altro commento: ammesso che l’autore del romanzo sia conscio del legame almeno della preghiera di pace fra il suo testo e quello di Dante, non è fuori luogo supporre che sia stato lieto per il fatto di aver trasmesso ancora una volta un messaggio di pace. Per questa sua inclinazione per la pace, vedi digressione II.


C.  DEFINIZIONE DELL’ELEMENTO OMOLOGO NR/DC 16
Il Sesto giorno, tra le 6.30 e le 10.00 di mattina, si assiste ad una scena in cui è presente per tutto il tempo il Discepolo e dove si verifica questa serie di fatti: 1) si sentono delle voci che pregano in tono pietoso; 2) si sente dire dell’ira divina vendicatrice; 3) si ha la percezione di un gran tremore; 4) si ode una sequenza di parole cantate che terminano con una preghiera di pace.

*
In quest’elemento può sembrare strano che ribadiamo il fatto che durante tutta la scena è presente il Discepolo. Ma lo facciamo perché rappresenta un modo (fra altri) per legare la scena a tutta la struttura omologa che stiamo definendo; togliendo il Discepolo o altro legame con la struttura omologa NR/DC, la scena potrebbe infatti, teoricamente, riferirsi a tante altre scene, accadute realmente o solo immaginabili, fuori del Territorio fatale. Che poi il Discepolo delle rispettive strutture d’origine (Adso e Dante) sia presente effettivamente durante tutto il tempo delle scene, è un fatto facilmente controllabile: vedi la definizione delle rispettive scene.

Note

(1)  Si aggiunge che è in questo stato di sonno che Adso avrà quello stranissimo sogno della festa grandiosa, esuberante, oscena che ricordiamo come un autentico highlight immaginativo, tutto pregno di sottofondi sottili, che non possiamo tuttavia penetrare in questo luogo (Nome, pp. 429-438). Vedi comunque l’Appendice II dell’edizione scolastica del Nome della rosa curata da Costantino Marmo, dove si fa un’analisi molto impegnativa del sogno di Adso. Cfr. anche Parker, Lo strano caso del polipo del faraone e altre questioni connesse (in Saggi su Il nome della rosa, pp. 412-428), e altri ancora.
   Per questo sogno facciamo del resto il commento che non è certo un puro caso che il sogno di Adso accada proprio la mattina del Sesto giorno, perché nel Purgatorio, la mattina dello stesso giorno, anche Dante ha un sogno, quello della femmina balba. Per rafforzare il nostro sospetto c’è almeno un elemento che sembra concordare, a suo modo, con il sogno di Dante. Verso la fine del sogno Adso vede la ragazza senza nome fare un gesto osceno: "’... lascia [lei disse] che vada solo un momento a bruciare sul rogo, poi ci rivedremo qui dentro!’ E mi mostrava, Dio mi perdoni, la sua vulva, nella quale entrai e mi trovai in una caverna bellissima ecc.". Nel testo del Purgatorio, XIX, proprio alla fine del sogno, c’è una altra rapida mostra di un ventre femminile nudo: "[Virgilio] l’altra [la femmina balba] prendea, e dinanzi l’apría / fendendo i drappi, e mostravami ’l ventre" (vv. 31-32).

(2)  Per il Dies irae ricordiamo che è il noto canto per i morti attribuito a Tommaso da Celano. A rigor di termini si tratta propriamente di una sequenza che normalmente entra nell’ufficio per i morti come il salmo, o graduale, dopo le preghiere Requiem aeternam (l’introito) e Kyrie eleison. Per una ricostruzione dal punto di vista sonoro della scena nella chiesa, vedi digressione XIII.

(3)  L’indicazione in questione s’inserisce nel cammino di Dante, Virgilio e Stazio su per il monte del Purgatorio. Dante scrive: "Tacevansi ambedue già li poeti, / di novo attenti a riguardar dintorno, / liberi dal salire e da’ pareti; / e già le quattro ancelle eran del giorno / rimase a dietro, e la quinta era al temo, drizzando pur in su l’ardente corno" (Purg., XXII, 115-120). Con queste "ancelle" è noto che Dante ha indicato il tempo trascorso dal levar del sole. Più precisamente rappresentano, come Dante descrive il loro servizio (quattro "rimase a dietro" e la quinta "al temo"), un tempo complessivo di circa 4,5 ore; cfr. in argomento per es. Vernon-Purg., II, p. 245.

(4)  Sebbene sia del tutto chiaro che qui si tratta della vendetta dell’ira divina, il senso dei versi 95-96 non risulta tuttavia altrettanto ovvio. Sapegno interpreta così i versi 94-96: "o Signore, quando mi sarà data la gioia di vedere attuata la tua vendetta, che, impenetrabile agli occhi dei mortali, ma già prestabilita nel segreto della tua mente, raddolcisce fin d’ora la tua ira nella certezza del castigo inevitabile del peccatore?" (Sapegno-Comm., II, p. 231).

(5)  Vedi a proposito come L. Espinasse-Mongenet commenta il passo dantesco: "Gloria in altissimis Deo, et in terra pax hominibus bonae voluntatis. (Saint Luc, II, 14.)
   Le cantique que chantèrent les Anges à la naissance de l’Enfant Jésus, aux abords de la Crèche" (Espinasse-Mong.-Purg., II, p. 52).
   Un commento a parte: nella Vulgata il testo dice "in altissimis Deo" (vedi per es. più sopra), mentre Dante invece scrive "in excelsis". Concettualmente è naturalmente la stessa cosa, ma se vogliamo spiegare tuttavia la differenza linguistica, dobbiamo in primo luogo, forse, chiamare in causa il fatto che di questo famosissimo canto degli angeli dovevano certo esistere, anche al tempo di Dante, più di una versione latina. Ricordiamo pure che "in excelsis" è proprio l’espressione usata nel Gloria della tradizionale Messa cantata.

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