(II-2)    II-2.1

Cap. II-1.1   II-1.2   II-2.1   II-2.2.1.1   II-2.2.1.2   II-2.2.1.3   II-2.2.1.4   II-2.2.1.5   II-2.2.1.6   II-2.2.1.7   II-2.2.1.8   II-2.2.2.1   II-2.2.2.2   II-2.2.2.3   II-2.2.2.4   II-2.2.2.5   II-2.2.2.6   II-2.2.2.7   II-2.2.2.8   II-2.2.2.9   II-2.3   II-3
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II-2.  LA STRUTTURA OMOLOGA NOME DELLA ROSA-bis/LE TROIANE

La struttura omologa NR-bis/TR che si definisce in questa parte dello studio consiste di 17 elementi omologhi. Gli elementi saranno chiamati elementi omologhi NR-bis/TR 1, 2, 3, ecc. Il primo è un elemento di base, gli altri sono complementari. L’elemento di base è definito nel capitolo che segue, gli elementi complementari in II-2.2.

II-2.1.  ELEMENTO OMOLOGO DI BASE: NR-bis/TR 1

Le Sette unità di tempo e teatro delle vicende

A.  OGGETTO DELL’ANALISI
Nell’elemento di base definiremo da un punto di vista generale le vicende delle due strutture d’origine.
   Le vicende della struttura NR-bis sono quelle che accadono all’abbazia durante i Sette giorni del racconto di Adso, dal cap. "Primo giorno, prima", nel quale Adso e Guglielmo appaiono per la prima volta, fino all’ecpirosi del cap. "Settimo giorno, notte".
   Nella struttura TR le vicende sono quelle raccontate nelle Troiane, quelle cioè che coincidono con le Sette parti in cui abbiamo diviso la tragedia di Euripide, dal prologo in cui appaiono Poseidone ed Atena fino all’"atto finale" con gli ultimi lamenti delle troiane e il crollo di Pergamo.
    Ricordiamo che un termine comune per i Sette giorni del Nome della rosa e le Sette parti delle Troiane sarà Sette unità di tempo (tabella VIII).

B.  ANALISI COMPARATIVA
Il teatro delle vicende delle Sette unità di tempo (B1) – Dimensioni dei Territori (B2) – I costruttori dei Territori (B3) – Posizione dei Territori (B4) – I capi supremi (B5) – Il grande tesoro sottoterra (B6) – Definizione dell’elemento omologo NR-bis/TR 1 (C).

B1.  IL TEATRO DELLE VICENDE DELLE SETTE UNITÀ DI TEMPO
Il teatro delle vicende dei Sette giorni del Nome della rosa è naturalmente tutta l’abbazia, a cui s’aggiunge qualche parte territoriale fuori delle mura come il sentiero che la mattina del Primo giorno portò Adso e Guglielmo fino all’abbazia (Nome, p. 29) e i luoghi della discesa a valle che Adso, Severino e alcuni porcai fecero il Quarto giorno alla ricerca di tartufo (pp. 290-292).
   Per descrivere il complesso abbaziale guardiamo in primo luogo la pianta NR1a dove si vede un territorio circondato da mura e sul quale si trovano varie costruzioni di cui si distingue in modo particolare l’Edificio. Dal manoscritto di Adso sappiamo che in principio l’Edificio era una rocca. Ascoltiamo la descrizione della sua prima visita notturna alla biblioteca insieme con Guglielmo:

Mentre salivamo ci parve di udire un rumore di sopra. Ristemmo un attimo in silenzio, poi dissi: "È impossibile. Nessuno è entrato prima di noi..."
   Ammesso che questa fosse la sola via d’accesso all’Edificio. Nei secoli passati questa era una rocca, e deve avere più accessi segreti di quanto non sappiamo. (Nome, p. 167)
L’Abate stesso non esita a chiamare l’Edificio proprio una rocca, come nel colloquio con Guglielmo il Sesto giorno:
La casa dell’Abate era sopra il capitolo e dalla finestra della sala, grande e sontuosa, in cui egli ci ricevette, si poteva vedere, nel giorno sereno e ventoso, oltre il tetto della chiesa abbaziale, le forme dell’Edificio.
   L’Abate, in piedi davanti a una finestra, lo stava appunto ammirando, e ce lo indicò con un gesto solenne.
   "Ammirevole rocca," disse, "che riassume nelle sue proporzioni la regola aurea che presiedette alla costruzione dell’arca." (p. 447)
Vediamo anche come Adso lo descrive nel cap. "Primo giorno, terza": "Non avevo l’esperienza di un maestro muratore, ma mi avvidi subito che esso [l’Edificio] era molto più antico delle costruzioni che lo attorniavano, nato forse per altri scopi, e che l’insieme abbaziale gli si era disposto intorno in tempi posteriori" (p. 34).
   Da queste testimonianze è chiaro come sul territorio dell’abbazia, in un primo tempo, ci fosse solo una rocca munita intorno alla quale furono erette altre costruzioni fino a che tutto il territorio ebbe l’aspetto di un castello con grandi mura e varie strutture dentro la cinta. E anche se gli uomini che all’inizio popolavano il "castello" erano di altra razza che i monaci di Abbone, le caratteristiche del territorio rimasero sostanzialmente sempre quelle di prima.
   Possiamo quindi concludere che gli avvenimenti dei Sette giorni del Nome della rosa accaddero in un territorio costruito intorno a una rocca originaria e fortificato con grandi mura.
   Vediamo ora come definire il teatro delle vicende delle Troiane. Come ben sappiamo queste vicende non si svolgevano dentro le mura di Troia ma fuori da esse, e più precisamente in "The Greek camp before Troy", come si legge nella traduzione inglese di Arthur Way delle Troiane (p. 355). Questo campo si trovava quindi proprio presso la città di Troia; cfr. la figura dove si vede parte della valle antistante il lato settentrionale di Troia.

Fig. 4 – Troia vista dal nord, come appariva dopo gli scavi di Schliemann


(Schliemann, H., Troy and Its Remains; A Narrative of Researches and Discoveries Made on the Site of Ilium
and in the Trojan Plain
, London 1875, Plate I, Frontespizio.)

Per quanto riguarda le caratteristiche di Troia si sa che era una città fortemente munificata e circondata da grandi mura, ma di piccole dimensioni almeno agli occhi della nostra epoca (vedi per es. pianta VIII, "Burg Troja"). Infatti, la lunghezza massima da una parte all’altra della cinta muraria più grande della cosiddetta sesta città, ossia Troia VI (che per grandezza coincide con Troia VII), non era più di circa 200 metri. (Per confronto possiamo constatare che l’espansione massima dell’Acropoli classica di Atene si aggira intorno ai 320 metri.) Per precisione dobbiamo aggiungere che al tempo della guerra troiana quella che chiamiamo la città di Troia (Troia VIIa) era con ogni probabilità una "città alta" (acropoli) con una "città bassa" che si estendeva verso sud e sudovest fuori delle mura: si veda per es. il sito internet The Prehistoric Archaeology of the Aegean, Lesson 27 ("Troy VII and the Historicity of the Trojan War"): "Remains of several houses outside the walls ... indicate that a lower city extended beyond the walls of the citadel in Troy VIIa as it had in Troy VI". (Per le varie città di Troia si rimanda alla digressione XVIII ed alla pianta IX, "Main archeological layers of the site of Troy/Hisarlik".)
    Della "città alta" di Troia, cioè l’acropoli, sappiamo inoltre che era costruita intorno a una rocca originaria, la Pergamo. Ascoltiamo Schliemann (in traduzione italiana):
Questo lavoro faticoso [gli scavi in profondità] ha prodotto tuttavia risultati interessanti per la topografia dell’acropoli, perché ha permesso di scoprire che tutta questa parte orientale del monte della rocca è un allargamento della Pergamo originaria, sorto soltanto dopo la distruzione della quarta città. (Schliemann, La scoperta di Troia, trad., Torino 1962 e 1995, p. 240)
La città di Troia della guerra omerica può quindi essere definita allo stesso modo dell’abbazia: un territorio fortificato con grandi mura e costruito intorno a una rocca originaria. Ed era presso questo territorio che si svolgevano le vicende delle Troiane.

·  Le vicende delle rispettive strutture accadono in o presso un territorio costruito intorno a una rocca originaria e fortificato con grandi mura. In seguito questi territori saranno chiamati semplicemente i Territori. Per distinguere il Territorio dell’abbazia da quello di Troia si aggiungeranno, se necessario, gli indici "NR" e "TR".

Notiamo che volendo esprimere con una sola parola i concetti di "in" (entro, dentro) e "presso" possiamo ricorrere per es. alla preposizione latina "apud"(1). Si può per questo aggiungere "apud" fra parentesi dopo "in o presso" nella conclusione.

B2.  DIMENSIONI DEI TERRITORI
L’abbazia era di modeste dimensioni. La distanza massima da un muro all’altro sull’asse orizzontale non doveva infatti superare i 350 metri. Il calcolo si basa sulla supposizione che la lunghezza dell’altare maggiore della chiesa non dovesse superare i 4 metri (II-2.2.2.1, sez. C); usando tale lunghezza come metro per la rilevazione della massima distanza dell’abbazia si arriva a circa 320 metri, a cui, per non rischiare di sbagliare, applichiamo un margine di 30 metri.
   Nel punto precedente abbiamo constatato che la lunghezza massima da una parte all’altra della cinta muraria di Troia VI, non superava i 200 metri circa. Anche il TerritorioTR era quindi di modeste dimensioni.

·  I Territori erano di modeste dimensioni non superando i 350 metri.

B3.  I COSTRUTTORI DEI TERRITORI
Purtroppo non sappiamo i nomi dei maestri muratori che eressero le costruzioni e le mura dell’abbazia. Disponiamo soltanto di un’indicazione generica di Adso circa i costruttori dell’Edificio:

Era questa [l’Edificio] una costruzione ottagonale che a distanza appariva come un tetragono ... i cui lati meridionali si ergevano sul pianoro dell’abbazia, mentre quelli settentrionali sembravano crescere dalle falde stesse del monte, su cui s’innervavano a strapiombo. Dico che in certi punti, dal basso, sembrava che la roccia si prolungasse verso il cielo, senza soluzione di tinte e di materia, e diventasse a un certo punto mastio e torrione (opera di giganti che avessero gran familiarità e con la terra e col cielo). (Nome, p. 29)(2)
Nel caso della città di Troia siamo un po’ più fortunati in quanto la storia mitica di Ilio racconta che almeno le mura furono edificate da due dei e un eroe. In una nota al testo del dramma Susanetti scrive:
Per scontare una punizione inflitta da Zeus, Poseidone e Apollo servirono per un anno Laomedonte, signore di Troia. E per lui costruirono la cinta muraria della città ... Da Pindaro ... si apprende che gli dei associarono alla loro opera di edificazione anche l’eroe Eaco (Troiane, p. 147)
Per Poseidone e Apollo non è naturalamente esagerato affermare che anche loro avevano "gran familiarità e con la terra e col cielo".

·  Tra i costruttori dei Territori c’erano anche quelli che avevano grande familiarità e con la terra e con il cielo.

B4.  POSIZIONE DEI TERRITORI
Il Territorio di Abbone era situato in cima ad un alto colle. Lo sappiamo da un paio di citazioni, per es.

Anzi, scesi che fummo di molto, mi voltai a guardare la cima del monte, e non vidi più nulla: da metà della salita in avanti, la sommità del colle, il pianoro, l’Edificio, tutto, scomparivano tra le nubi. (Nome, p. 291: Adso descrive la discesa per cercar tartufo insieme con Severino e alcuni porcai.)

Era una bella mattina di fine novembre. Nella notte aveva nevicato un poco ... Al buio, subito dopo laudi, avevamo ascoltato la messa in un villaggio a valle. Poi ci eravamo messi in viaggio verso le montagne, allo spuntar del sole. (p. 29: Guglielmo e Adso si avvicinano all’abbazia, il Primo giorno.)

Un altro fattore che caratterizza la posizione dell’abbazia è la distanza dal mare, sulla quale ci informa Adso stesso (cap. "Quarto giorno, sesta"): "Il mattino del nostro arrivo, quando già eravamo tra i monti, a certi tornanti, era ancora possibile scorgere, a non più di dieci miglia e forse meno, il mare" (p. 291). Non si sa di quale "miglio" si trattava, ma poteva bene essere un miglio romano, cioè circa 1,48 chilometri; però, dato che per Adso un miglio (ossia mille passi) poteva essere un po’ più lungo, ci pare di non rischiare di sbagliare se interpretiamo "non più di dieci miglia e forse meno" come 20 chilometri al massimo.
   Il mare era anche visibile dalla collina dell’abbazia; cfr. quello che Severino afferma a Guglielmo nel "dialogo dottissimo" del Primo giorno: "... [il] Signore, che ha posto il nostro altopiano a cavallo di una catena che vede a meridione il mare, e ne riceve i venti caldi, e a settentrione la montagna più alta di cui riceve i balsami silvestri" (p. 74); e ritornando al cap. "Quarto giorno, sesta" (la ricerca di tartufo) leggiamo che non si potevano vedere le coste per il tempo grigio: "Quel mattino invece tutto era grigio, e quasi bianco latte, e non v’erano orizzonti anche quando le gole si aprivano verso le coste lontane" (p. 292).
   Insomma, l’abbazia era situata su una collina a una distanza di non oltre 20 chilometri dal mare, il quale si poteva vedere dalla stessa collina.
   Vediamo ora come queste caratteristiche possano applicarsi anche al TerritorioTR. Per quanto riguarda la posizione alta su una collina non è una novità che la città di Troia si trovava sulla collina di Hissarlik. Sappiamo pure che Troia non era molto distante dal mare: citiamo per es. Wieland Schmied, curatore italiano del testo classico di Schliemann, per avere una cifra abbastanza precisa:
Heinrich Schliemann, sulla scorta soprattutto dell’Iliade di Omero, la cercò piú a nord, in una collina detta Hissarlik, alta una cinquantina di metri sul livello del mare, di lato alla valle del fiume Scamandro, a circa 5 chilometri di distanza dal mar Egeo e dallo stretto dei Dardanelli.(3) (Schmied, Lo scavo di Troia, in Schliemann, op. cit., p. 21)
Si consulti pure la pianta X ("Posizione di Troia") dove si vedono Troia, le coste del mar Egeo e dell’Ellesponto, i fiumi Scamandro e Simoe, nonché i monti circostanti.
   E dall’altura di Hissarlik si poteva anche vedere il mare. Leggiamo quanto Schliemann scrive (in traduzione inglese):
The view from the hill of Hissarlik is extremely magnificent. Before me lies the glorious Plain of Troy, which, since the recent rain, is again covered by grass and yellow buttercups; on the north-north-west, at about un hour’s distance, it is bounded by the Hellespont. (Schliemann, Troy and Its Remains ecc., trad., London 1875, p. 68)
Dalla collina di Hissarlik si vede quindi il mare, che sulla figura di sotto è la striscia bianca all’orizzonte. (Si sa del resto che anche oggi, se il tempo lo permette, il mare può essere visto dalle rovine della vecchia Troia.)

Fig. 5 – La parte settentrionale della piana di Troia, vista da Hissarlik

(Schliemann, H., Troy and Its Remains ecc., Plate IV, p. 70)

·  Sia l’abbazia che la città di Troia avevano una posizione su una collina che distava non oltre 20 chilometri dal mare, il quale era visibile dalla stessa collina.

B5.  I CAPI SUPREMI
Il vecchio con molti figli (B5.1) – Il curatore del trasporto della salma di un personaggio famoso (B5.2) – Il fato di essere ucciso in relazione alla distruzione del Territorio (B5.3).

B5.1.  IL VECCHIO CON MOLTI FIGLI
Il capo supremo dell’abbazia era naturalmente Abbone nella sua qualità di Abate. Era un uomo vecchio avendo circa 70 anni, anno più anno meno. Lo si sa perché in gioventù aveva assistito san Tommaso d’Aquino alla sua morte, nel 1274:

Abbone – si dice – era figlio naturale del signore di questa plaga, era cresciuto nell’abbazia di Fossanova, si diceva che giovinetto avesse assistito san Tommaso quando morì laggiù e avesse curato il trasporto di quel gran corpo giù per la scala di una torre da dove il cadavere non riusciva a passare... quella era la sua gloria, mormoravano i maligni quaggiù... (Nome, p. 424)
Supponendo che Abbone avesse 15-20 anni alla morte del Doctor Angelicus, doveva quindi avere 68-73 anni nel 1327, quando avvennero le vicende della Settimana fatale.
   L’abbazia di Abbone non era grande, aveva solo sessanta monaci, ciò che si legge qua e là nel romanzo, per es.: "’Certo, è un’abbazia piccola ma ricca,’ ammise con sussiego l’Abate. ’Centocinquanta famigli per sessanta monaci’ (p. 41). Per i monaci di un monasterio si usa talvolta anche la denominazione "figli"; cfr. per es. l’omelia di Paolo VI nella consacrazione della chiesa dell’Archicenobio di Montecasino (24 ottobre 1964): "Pace a voi, Figli di San Benedetto, che di nome così alto e soave fate emblema dei vostri monasteri" (da Internet: vedi la bibliografia).
   Insomma, Abbone era un uomo vecchio che aveva 60 figli (in senso metaforico), i quali erano tutti di sesso maschile in quanto monaci.
   Priamo, capo supremo di Troia fino alle Sette unità di tempo, aveva quasi le stesse caratteristiche. (Per la sua morte vedi più sotto). Era vecchio, come si legge parecchie volte nell’Iliade, per es. in queste righe del racconto della visita del re nella tenda di Achille (nella classica traduzione di Vincenzo Monti): "E colla destra [Achille] sollevò il cadente / Veglio, il bianco suo crin commiserando / Ed il mento canuto" (Iliade-Monti, XXIV, vv. 652-654); "Buon vecchio, sia così, soggiunse Achille" (v. 851); "Destasi il vecchio sbigottito" (v. 874).
   Se Abbone aveva sessanta figli (monaci), Priamo era padre di "solo" cinquanta figli maschi, generati da diverse madri (fra cui Ecuba); leggiamo per es. in Myth Index. Greek Mythology (online edizione), voce "Priam": "According to the Homeric tradition, he was the father of fifty sons, nineteen of whom were children of Hecabe, to whom others add an equal number of daughters". Cfr. anche Ephemeridos belli troiani di Dictys Cretensis(4): "ceterum se diversi partus quinquaginta filiorum patrem beatissimum regum omnium habitum ad postremum Alexandri natalem diem, quem evitari ne dis quidem praecinentibus potuisse" (III:26). Anche i versi 501-505 dell’Eneide sono illustrativi.

·  La funzione di capo supremo del rispettivo Territorio durante o poco prima delle Sette unità di tempo competeva a un uomo vecchio che aveva, metaforicamente o no, molti figli (50-60) di sesso maschile.

Sul conto di Abbone si può aggungere che a parte il fatto che il suo nome è coniato in base alla parola aramaica "abba" ("padre") con l’aggiunta del suffisso "one"(5), lui era anche un "padre" in senso religioso; cfr. per es. quello che dice lui stesso a Guglielmo il Secondo giorno: "L’Abate tacque per alcuni istanti, guardando Guglielmo senza che nessuna espressione trasparisse dal suo viso. Poi disse: "In questa triste vicenda l’inquisitore siete voi. A voi compete essere sospettoso e persino rischiare un sospetto ingiusto. Io sono qui soltanto il padre comune. (Nome, p. 159).

B5.2.  CURATORE DEL TRASPORTO DELLA SALMA DI UN PERSONAGGIO FAMOSO
Nel punto precedente abbiamo allegato una citazione (Nome, p. 424) in cui si legge che Abbone, in gioventù, aveva assistito il morente Tommaso d’Aquino, la cui fama è universale in tutta la cristianità specialmente cattolica. Ma si legge pure che aveva "curato il trasporto di quel gran corpo giù per la scala di una torre da dove il cadavere non riusciva a passare" (ibid.). Egli poteva quindi vantarsi di essere curatore del trasporto della salma di una persona famosa.
   Così anche Priamo. Infatti, nell’ultimo libro dell’Iliade si racconta con tanti particolari come il pietoso padre, in compagnia del fedele araldo Ideo, si rechi alla tenda di Achille nel campo nemico per riscattare il corpo morto di Ettore ucciso in combattimento dall’eroe greco, e come il re nell’alta notte si affretti, sempre assistito dall’araldo, a portare indietro a Troia la salma coricata su un plaustro. Citiamo alcuni passi illustrativi del ritorno dal campo nemico (traduzione di Monti):

Rïentrò [Achille] quindi nella tenda, e sopra / il suo seggio col tergo alla parete / sedutosi di fronte a Prìamo, disse: / Buon vecchio, il tuo figliuol, siccome hai chiesto, / è in tuo potere, e nel ferètro ei giace. / Potrai dell’alba all’apparir vederlo, / e via portarlo. (vv. 756-762)

Destasi [nella notte] il vecchio sbigottito [per la visita di Mercurio], e sveglia / l’araldo: aggioga l’Argicida istesso [Mercurio] / i cavalli e le mule, e presto presto / spinti i carri, invisibile traversa / gli accampamenti [nemici]. (vv. 874-878)

volò Mercurio al cielo, e i due canuti / con gemiti e lamenti alla cittade / celeravan la via. Grave del caro / cadavere davanti iva il carretto, / né d’uomo orecchio, né di donna ancora / il fragor ne sentìa. (vv. 882-887)

E le lagrime, i gemiti, le grida / sul deplorato Ettorre avrìan l’intero / giorno consunto su le meste porte, / se Prïamo dal cocchio all’inondante / turba rivolto non dicea: Sgombrate / al carro il varco: pascervi di pianto / su quel corpo potrete entro la reggia. / S’aprì la folta, passò il carro, e giunse / negl’incliti palagi. (vv. 908-916)

Questa è quindi una parte del lungo racconto del famoso riscatto della salma di Ettore, con il successivo trasporto del corpo dal campo nemico.
   E per quanto riguarda la fama di Ettore, essa è forse anche più grande e più universale di quella del Doctor Angelicus.

·  Tutti e due erano stati curatori del trasporto della salma di un personaggio famoso.

B5.3.  IL FATO DI ESSERE UCCISO IN RELAZIONE ALLA DISTRUZIONE DEL TERRITORIO
L’uccisione (B5.3.1) – Gli uccisori (B5.3.2).

B5.3.1.  L’UCCISIONE
Abbone morì di asfissia rinchiuso in una scala segreta dentro l’Edificio, poco prima o poco dopo l’inizio dell’incendio catastrofale. Nella notte fatale aveva cercato di raggiungere il finis Africae attraverso una via segreta che cominciava dall’ossario. Guglielmo spiega:

Mi ero sempre chiesto se non vi fosse un altro accesso al finis Africae, in questo Edificio così pieno di passaggi. Evidentemente c’è; dall’ossario, prima di salire in cucina, si apre un tratto di parete e si sale per una scala parallela a questa, nascosta nel muro, fuoriuscendo direttamente nella stanza murata. (Nome, p. 461)
Ma Abbone, dopo essere entrato nel passaggio, non poteva uscirne perché Jorge, che era già nel finis Africae aveva bloccato sia l’entrata che l’uscita del passaggio. Guglielmo e Adso, che anch’essi si trovavano nell’Edificio a quell’ora, sentivano nel muro il rumore sordo di colpi, evidentemente di una persona disperata. Alla domanda di Adso chi poteva essere, il Maestro rispose che nel passaggio segreto c’era una persona e nel finis Africae un’altra:
Una [Jorge] è nel finis Africae, un’altra [Abbone] ha cercato di raggiungerla, ma quella in alto deve avere bloccato il meccanismo che regola entrambe le entrate. Così il visitatore è rimasto intrappolato. E deve agitarsi molto perché, immagino, in quel budello non passerà molta aria. (ibid.)
Guglielmo e Adso si affrettano a salire in biblioteca per entrare nel finis Africae e cercare di salvare l’infelice nel "budello". Entrano attraverso lo specchio e lì dentro trovano Jorge seduto a un tavolo in mezzo alla stanza: "’Sei tu, Guglielmo da Baskerville?’ chiese. ’Ti attendevo da oggi pomeriggio prima di vespro, quando venni a rinchiudermi qui. Sapevo che saresti arrivato’" (p. 467).
   Poi segue un dialogo fra Guglielmo e Jorge, da cui risulta che il monaco cieco ha bloccato e chiuso intenzionalmente il passaggio distruggendone il meccanismo, che era impossibile salvare la vita dell’Abate e che l’aveva ucciso perché non poteva più fidarsi di lui, il quale, disperato com’era per le cose accadute nel monastero, voleva por fine ai misteri della biblioteca aprendo il finis Africae. Ma questo non lo voleva Jorge, che invece uccise l’Abate intrappolandolo con inganno in un passaggio dove mancava l’aria.
   Date anche le altre morti di cui era autore Jorge, non è esagerato considerarlo un omicida spietato. Non a torto Guglielmo lo chiamava diavolo e Anticristo (pp. 480, 494).
   Anche il capo supremo di Troia aveva il fato di essere ucciso in relazione alle Sette unità di tempo, e più precisamente nel disordine generale della conquista greca della città prima delle Sette unità di tempo(6). Virgilio racconta come il vecchio re fosse ucciso da Neottolemo (ossia Pirro) dopo aver cercato di vendicare l’uccisione del figlio Polite, avvenuta presso l’altare del palazzo davanti agli occhi dei genitori stessi (Priamo ed Ecuba):
sic fatus senior [Priamo] telumque imbelle sine ictu / coniecit, rauco quod protinus aere repulsum, / et summo clipei nequiquam umbone pependit, / cui Pyrrhus: "referes ergo haec et nuntius ibis / Pelidae genitori [Achille, padre di Neottolemo]. illi mea tristia facta / degeneremque Neoptolemum narrare memento. / nunc morere." hoc dicens altaria ad ipsa trementem / traxit et in multo lapsantem sanguine nati, / implicuitque comam laeua, dextraque coruscum / extulit ac lateri capulo tenus abdidit ensem. / haec finis Priami fatorum, hic exitus illum / sorte tulit Troiam incensam et prolapsa videntem / Pergama ... (Aeneidos, II, vv. 544-556)
Anche Dictys Cretensis racconta con poche parole come Priamo fosse ucciso "senza riguardo per l’età e la dignità" dallo spietato Neottolemo davanti all’altare del palazzo reale: "dein Priamum Neoptolemus sine ullo aetatis atque honoris dilectu retinentem utraque manu aram iugulat" (Ephemeridis belli troiani, V:12). Seneca chiama tale crimine (nefas) "maius admissum fide" (Seneca, Troades, v. 45).
   Per quanto riguarda il carattere di Neottolemo basta leggere come egli uccise prima Polite e poi Priamo (Aeneidos, II, vv. 526-539). E nei già citati versi 547-549 Neottolemo stesso rivela il proprio carattere quando dice al re prima di ucciderlo: "referes ergo haec et nuntius ibis / Pelidae genitori. illi mea tristia facta / degeneremque Neoptolemum narrare memento". Quindi, anche Neottolemo era un omicida spietato, come Jorge da Burgos.
   Il figlio di Achille aveva del resto ucciso tante altre persone, prima o dopo la caduta di Troia: si veda Wikipedia italiana, voce "Neottolemo".(7)

·  I capi supremi erano destinati ad essere uccisi da un omicida spietato durante o poco prima delle Sette unità di tempo.

B5.3.2.  GLI UCCISORI
Il color fuoco rosso (B5.3.2.1) – Gli oggetti preziosi portati ai Territori (B5.3.2.2) – Le morti degli uccisori (B5.3.2.3).

B5.3.2.1.  IL COLOR FUOCO ROSSO
È chiaro che Jorge può essere legato al brutale Neottolemo soprattutto attraverso l’uccisione di Abbone (Priamo), ma sembra che ci siano anche altri legami, meno evidenti. Fatto sta che nell’ultima parte del sermone inquietante di Jorge del Quinto giorno (compieta) il monaco fa un ritratto dell’Anticristo che sta per venire, descrivendone i tratti caratteristici:

Questi sono i tratti che lo distingueranno: la sua testa sarà di fuoco ardente, il suo occhio destro iniettato di sangue, il suo occhio sinistro di un verde felino, e avrà due pupille, e le sue palpebre saranno bianche, il suo labbro inferiore grande, avrà debole il femore, grossi i piedi, il pollice schiacciato e allungato! (Nome, p. 408).
Dopo queste parole Guglielmo fa un commento riferito da Adso sedutogli vicino: "’Sembra il suo ritratto,’ sogghignò Guglielmo in un soffio. Era una frase molto empia, ma gliene fui grato, perché i capelli mi si stavano rizzando sul capo" (ibid.).
   Se Jorge aveva tale aspetto (in senso figurato, s’intende), uno dei tratti salienti che lo distinguevano era quello della testa di fuoco ardente.
   Il crudele Neottolemo non aveva un aspetto di "fuoco ardente" bensì un nome alternativo che in greco significava "fuoco rosso": "Pirro". ("pyrrós" = "feuerfarben, gelbrot" secondo Langenscheidts Taschenwörterbuch: Griechisch-Deutsch, XII ed., 1914, Berlin-Schöneberg, p. 392). La ragione di questo secondo nome, che aveva ereditato da Achille, suo padre, è conosciuta. Citiamo da Wikipedia italiana, voce "Neottolemo":
Achille portava ... il soprannome di Pirra, "la Fulva", poiché la madre Teti, dopo aver saputo da un oracolo che suo figlio sarebbe morto davanti a Troia, immaginò di nascondere il giovane rivestendolo di abiti femminili e facendolo vivere alla corte di Licomede, re di Sciro, dove visse per nove anni con le figlie del re, fra cui Deidamia [che divenne madre di Neottolemo], e, proprio per il colore dei suoi capelli di un biondo ardente, prese questo appellativo alla corte reale, che poi ereditò Neottolemo prendendo l’epiteto di Pirro. In ogni caso è riconosciuto con due nomi, Neottolemo e Pirro, usati indistintamente.
·  Tutti e due avevano in comune di essere caratterizzati, in senso figurato o meno, dal colore del fuoco rosso.

B5.3.2.2.  GLI OGGETTI PREZIOSI PORTATI AI TERRITORI
Un altro legame sarebbe che tutti e due avevano a che fare con l’arrivo al rispettivo Territorio di oggetti preziosi e di grande fama. Nel caso di Jorge sappiamo attraverso le indagini di Guglielmo che il monaco cieco, tanti anni prima della Settimana fatale, aveva portato da Silos (nell’odierna provincia di Burgos in Spagna) all’abbazia una certa quantità di manoscritti preziosi tra cui la famosa Poetica di Aristotele.
   Entriamo nella scena in cui Guglielmo, dopo aver finalmente penetrato insieme con Adso nel finis Africae la notte dell’ultimo giorno, ci trova Jorge seduto a un tavolo; tra i due sorge uno scambio di parole con botte e risposte, e a un certo punto il Maestro dice con enfasi anaforica di voler vedere certi manoscritti:
"Voglio vedere," disse Guglielmo, "l’ultimo manoscritto del volume rilegato che raccoglie un testo arabo, uno siriano e una interpretazione o trascrizione della ’Coena Cypriani’. Voglio vedere quella copia in greco, fatta probabilmente da un arabo, o da uno spagnolo, che tu hai trovato quando, aiuto di Paolo da Rimini, hai ottenuto che ti mandassero nel tuo paese a raccogliere i più bei manoscritti delle Apocalissi di Leon e Castiglia, un bottino che ti ha reso famoso e stimato qui all’abbazia e ti ha fatto ottenere il posto di bibliotecario, mentre spettava ad Alinardo, di dieci anni più vecchio di te. Voglio vedere quella copia greca scritta su carta di panno, che allora era molto rara, e se ne fabbricava proprio a Silos, vicino a Burgos, tua patria. Voglio vedere il libro che tu hai sottratto laggiù, dopo averlo letto, perché non volevi che altri lo leggesse, e che hai nascosto qui, proteggendolo in modo accorto, e che non hai distrutto perché un uomo come te non distrugge un libro, ma soltanto lo custodisce e provvede a che nessuno lo tocchi. Voglio vedere il secondo libro della Poetica di Aristotele, quello che tutti ritenevano perduto o mai scritto, e di cui tu custodisci forse l’unica copia." (Nome, p. 470)
Se Neottolemo non aveva personalmente portato a Troia degli oggetti della stessa preziosità e fama dei manoscritti di Silos, era stato almeno parte di una piccola comitiva che aveva persuaso il greco Filottete, che da Eracle aveva avuto l’arca e le frecce del dio, a lasciare Lemno (dove stava per una terribile ferita da un morso di un serpente velenoso) e venire con loro a combattere a Troia recandoci l’arca e le frecce dell’eroe. (Il motivo per cui Filottete si trovava a Lemno, è un altra storia; si veda qualunque enciclopedia di mitologia greca). Per conoscere le circostanze della partenza da Lemno consultiamo Wikipedia italiana, voce "Filottete", in cui si riferisce una delle versioni:
Filottete rimase per dieci anni su quell’isola allora deserta, e vi sopravvisse uccidendo uccelli con le frecce d’Eracle. Frattanto davanti a Troia i Greci catturarono l’indovino Eleno, e seppero da quest’ultimo che la città non sarebbe mai caduta se Neottolemo ed il possessore dell’arco e delle frecce di Eracle (cioè Filottete) non fossero venuti a combattere in mezzo a loro.
   Ulisse partì dunque in ambasciata verso Lemno, accompagnato da Neottolemo e Diomede, e convinse Filottete ad unirsi a loro promettendogli la cura dei figli d’Asclepio, i medici delle schiere greche.
Tutti e tre arrivarono a Troia. Filottete fu guarito e con le frecce di Eracle riuscì a uccidere almeno tre avversari forse più (ibid.).

·  Tutti e due gli uccisori avevano agito, da soli o in compagnia, affinché fossero portati da lontano al rispettivo Territorio oggetti preziosi e di grande fama.

A questo punto non ci sembra fuori luogo aggiungere che le frecce di Ercole erano velenose, come pure la Poetica di Aristotele, però solo dopo l’arrivo all’Abbazia; prima dell’arrivo la sua velenosità era quindi solo in potentia.

B5.3.2.3.  LE MORTI DEGLI UCCISORI
Nel cap. "Settimo giorno, notte" si descrive come il vecchio monaco, davanti agli occhi di Guglielmo e Adso, nel finis Africae, prendesse a lacerare le pagine del libro proibito ponendosele in bocca, come i due cercassero di impedirlo creando invece trambusto e confusione nella stanza, come il vecchio riuscisse a spegnere il lume e fuggire dal finis Africae, come Adso riuscisse a sua volta ad accendere il lume permettendo loro di continuare l’inseguimento del vecchio, eccetera. Fino a che la biblioteca cominciò a bruciare. A un certo punto Adso si voltò verso Guglielmo e vide

proprio alle sue spalle, Jorge che si era avvicinato di nuovo. Il calore era ormai così forte che egli lo avvertì benissimo, seppe con assoluta certezza dove stava il fuoco, e vi gettò l’Aristotele.
   Guglielmo ebbe un moto d’ira e diede una spinta violenta al vecchio che urtò contro un armadio picchiando la testa contro uno spigolo e cadendo a terra... Ma Guglielmo ... non si prese cura di lui ... L’Aristotele, ovvero quanto ne era rimasto dopo il pasto del vecchio, già stava bruciando. (pp. 483-487)
Se Jorge non morì proprio in quell’instante, doveva sicuramente morire avvelenato nelle fiamme della biblioteca. Tutto sommato, una morte drammatica.
   Come Jorge anche il figlio di Achille morì in modo drammatico, nel tempio di Apollo a Delfi. Secondo il testo di Andromaca di Euripide fu ucciso davanti all’altare del dio da un gruppo di cittadini i quali, su istigazione di Oreste, pensavano che Neottolemo fosse giunto alla città per rubare i tesori del tempio. Nella tragedia si legge (in traduzione inglese di Coleridge) come fu ucciso (un messaggero racconta a Peleo, padre di Achille):
... he crosses the threshold of the temple ... and was busy with his burnt-offering; when a body of men armed with swords set themselves in ambush against him in the cover of the bay-trees, and Clytemnestra’s son [Oreste], that had contrived the whole plot was one of them. There stood the young man praying to the god in sight of all, when lo! with their sharp swords they stabbed Achilles’ unprotected son from behind. But he stepped back, for it was not a mortal wound he had received, and drew his sword, and snatching armour from the pegs where it hung on a pillar, took his stand upon the altar-steps ... ; then cried he to the sons of Delphi, and asked them: "Why seek to slay me when I am come on a holy mission?" ... But of all that throng of bystanders, no man answered him a word, but they set to hurling stones. Then he, though bruised and battered by the showers of missiles from all sides, covered himself behind his mail and tried to ward off the attack, holding his shield first here, then there, at arm’s length, but all of no avail; for a storm of darts, arrows and javelins, hurtling spits with double points, and butchers’ knives for slaying steers, came flying at his feet ... At last, when they were hemming him in on all sides, allowing him no breathing space, he left the shelter of the altar, the hearth where victims are placed, and with one bound was on them as on the Trojans of yore; and they turned and fled like doves when they see the hawk. ... Calm and still my master stood there in his gleaming harness like a flash of light, till from the inmost shrine there came a voice of thrilling horror, stirring the crowd to make a stand. Then fell Achilles’ son, smitten through the flank by some Delphian’s biting blade. (Euripides, Andromache)(8)
·  Jorge e Neottolemo morirorno tutti e due in modo drammatico.

B6.  IL GRANDE TESORO SOTTOTERRA
Il Sesto giorno, dopo la morte di Malachia, Guglielmo voleva parlare con Nicola per informarsi delle vicende dei precedenti bibliotecari dell’abbazia. Il Maestro ed Adso trovarono il vetraio nella cucina dell’Edificio insieme con i cuochi con cui stava discutendo (perché era da quel giorno anche cellario). Per aver più tempo per il colloquio, Nicola suggerì che andassero tutti e tre alla chiesa perché lì doveva sorvegliare, nella cripta del tesoro, il lavoro di politura delle teche. Entrarono in chiesa, passarono dietro l’altar maggiore e scesero una scaletta entrando "in una sala dalle volte molto basse sostenute da grossi pilastri di pietra non lavorata" (Nome, p. 421). Adso continua: "Eravamo nella cripta in cui si custodivano le ricchezze dell’abbazia, luogo di cui l’Abate era molto geloso e che si apriva solo in circostanze eccezionali e per ospiti di molto riguardo" (ibid.). Ecco quanto vedeva:
Tutto intorno stavano teche di grandezza disuguale, all’interno delle quali la luce delle torce ... faceva risplendere oggetti di meravigliosa bellezza. Paramenti dorati, corone auree tempestate di gemme, scrigni di vari metalli istoriati con figure, lavori di niello(9), avori. Nicola ci mostrò estasiato un evangeliario la cui rilegatura ostentava mirabili placche di smalto che componevano una variegata unità di regolati scomparti, divisi da filigrane d’oro e fissati, a mo’ di chiodi, da pietre preziose. Ci indicò una delicata edicola con due colonne in lapislazzuli e oro che inquadravano una deposizione dal sepolcro raffigurata in sottile bassorilievo d’argento sormontata da una croce aurea tempestata di tredici diamanti su di uno sfondo di onice variegato, mentre il piccolo frontone era centinato in agata e rubini. Poi vidi un dittico criselefantino diviso in cinque parti, con cinque scene della vita di Cristo, e al centro un mistico agnello composto da alveoli di argento dorato con paste di vetro, unica immagine policroma su di uno sfondo di cerea bianchezza. (pp. 421-422)
Ma c’era anche di più: dopo aver discusso con Guglielmo sul passato intricato dell’abbazia, Nicola "[c]i additava i tesori sparsi tutto intorno, e tralasciando croci e altre suppellettili, ci portò a vedere i reliquiari che costituivano la gloria di quel luogo" (p. 425), tra cui c’erano rarità come un brandello della tovaglia dell’ultima cena, la borsa di san Matteo, una tibia di santa Margherita, ecc. (pp. 425-426). E quanto ai reliquiari alcuni ne dovevano essere antichi come le reliquie stesse. Adso scrive:
E poi [vidi] ancora altre reliquie che non riconobbi, di cui forse erano più preziosi i reliquiari e alcune (a giudicare dalla fattura dei loro contenitori, di argento annerito) antichissime (p. 426)
Ai fini del confronto con il tesoro troiano, che è naturalmente il cosiddetto "tesoro di Priamo"(10), elenchiamo qui gli oggetti del "tesoro di Abbone" che sembrano più interessanti per un confronto.
Teche di grandezza disuguale, all’interno delle quali c’erano oggetti di meravigliosa bellezza – corone auree tempestate di gemme – lavori di niello – contenitori di reliquie di argento annerito – la scena della deposizione dal sepolcro raffigurata in bassorilievo d’argento – un dittico con tra l’altro la figura di un agnello composto da alveoli di argento dorato con paste di vetro – scrigni di vari metalli
Vediamo ora il tesoro di Priamo (che non era proprio di Priamo perché apparteneva a Troia II, forse più di 1000 anni prima della guerra omerica). Cominciamo con le parole di Schliemann stesso (tradotte in inglese):
This Treasure of the supposed mythical king Priam ... which I discovered at a great depth in the ruins of the supposed mythical Troy, is at all events a discovery which stands alone in archeology. (Schliemann, Troy and Its Remains, p. 22)
Si tratta quindi del famoso tesoro che Schliemann, nel maggio del 1873, aveva trovato nascosto a una profondità di circa 28 piedi (ibid., p. 15) nel grande muro di cinta di Troia II (vedi le figure).

Fig. 6a – Il luogo del "tesoro di Priamo"
 

(Particolare della pianta TR1)

Il tesoro fu trovato dentro la parte sud-ovest della vecchia cinta muraria di Troia II.
Fig. 6b – Immagine del luogo dove
si trovava il tesoro (TP)

(Schliemann, Troy and Its Remains,
Plate XIII (particolare), p. 321)
Precisiamo che il tesoro fu trovato in un nascondiglio il quale, come la cripta del "tesoro di Abbone", era a fondo cieco. Si rammenti in proposito che anche la cripta della chiesa abbaziale potrebbe essere considerata un nascondiglio in quanto la parola "cripta" viene originariamente, attraverso il latino, da un verbo greco, krýptein, che significa "nascondere, coprire" (Grande Dizionario Garzanti).
   Il carattere di nascondiglio del luogo del tesoro si capisce leggendo il testo di Schliemann:

In excavating this wall further and directly by the side of the palace of King Priam [secondo l’ipotesi erronea di Schliemann], I came upon a large copper article of the most remarkable form, which attracted my attention all the more as I thought I saw gold behind it ... While the men were eating and resting [dopo il segnale (prematuro) di pausa per fare colazione], I cut out the Treasure with a large knife, which it was impossible to do without the very greatest exertion and the most fearful risk of my life, for the great fortification-wall, beneath which I had to dig, threatened every moment to fall down upon me. (Schliemann, Troy and Its Remains, p. 323)
Schliemann suggerisce perfino che il tesoro si trovasse in origine in una cassa di legno, che poi è andata distrutta dal fuoco:
As I found all these articles together, forming a rectangular mass, or packed into one another, it seems to be certain that they were placed on the city wall in a wooden chest ... This appears to be the more certain, as close by the side of these articles I found a copper key about 4 inches long, the head of which ... greatly resembles a large safe-key of a bank. (ibid., p. 333)
Ma in cosa consisteva il tesoro trovato? Schliemann stesso lo descrive accuratamente nel cap. XXIII di Troy and Its Remains, in particolare nelle pagine 324-340, dove ci sono anche figure e tavole illustrative. Dopo la pagina 22 del suo lavoro ha inserito una tavola con una "general view" del tesoro:

Fig. 7a – Il "tesoro di Priamo"


(Schliemann, H., Troy and Its Remains ecc., Plate II, dopo p. 22)

In Wikipedia italiana (come pure nella versione inglese) c’è un sommario degli oggetti del tesoro:
uno scudo di rame – un calderone di rame con manici – un oggetto di rame non identificato, forse la chiusura di una cassetta – un vaso d’argento contenent[e] due diademi d’oro, tre braccialetti, 8.750 anelli, due piccoli globuli, bottoni e altri piccoli oggetti d’oro (i cosiddetti "gioielli di Elena") – un vaso di rame – una bottiglia d’oro battuto – due coppe d’oro una battuta e una fusa – diversi globuli in terracotta rossastra – una coppa di elettro – sei lame di coltello in argento battuto, che Schliemann ritenne fossero state monete – tre casi d’argento con parti fuse in rame – diversi globuli e vasi in argento – tredici punte di lancia in rame – quattordici asce in rame – sette daghe in rame – altri manufatti in rame tra i quali la chiave di una cassetta (Wikipedia italiana, voce "Tesoro di Priamo")
Per meglio poter confrontare i due tesori precisiamo quest’elenco su qualche punto. In primo luogo descriviamo con maggior accuratezza i "gioielli di Elena" che si trovavano nel vaso d’argento (che era anche il più grande); seguiamo il testo di Schliemann:
... the largest silver vase, at the bottom of which I found two splendid gold diadems ... ; a fillet, and four beautiful gold ear-rings of most exquisite workmanship: upon these lay 56 gold ear-rings of exceedingly curious form and 8750 small gold rings, perforated prisms and dice, gold buttons, and sinmilar jewels, which obviously belonged to other ornaments: then followed six gold bracelets, and on the top of all the two small goblets. (Troy and Its Remains, p. 335)
Da questa descrizione è chiaro che possiamo affermare che gli oggetti del vaso erano "di meravigliosa bellezza", come pure gli oggetti che Adso vedeva nelle teche della cripta (Nome, p. 421). Ecco uno dei diademi, che fa parte dei cosiddetti "gioielli di Elena":

Fig. 7b – Uno dei diademi d’oro


(Schliemann, Troy and Its Remains, Plate XIX, p. 335)

Il diadema si vede anche nella precedente figura (7a), in su a destra, sotto la grande collana. (In questo contesto si deve naturalmente anche menzionare la famosa immagine di Sophia Schliemann adornata di questi gioielli.)
   Dobbiamo in secondo luogo precisare che tra gli oggetti trovati si potevano anche vedere figure di vario tipo (la cui menzione manca nell’elenco di sopra); nel citato testo di Schliemann leggiamo per es. che tra i "gioielli di Elena" c’erano "four little cross chains, at the end of which hangs a glittering golden idol of the tutelar goddess of Troy" (p. 335), "at the end of every one of the sixteen chains there hangs a golden idol ... with the owl’s head of the Ilian tutelary goddess" (p. 336); eccetera.
   Per poter confrontare in modo chiaro gli oggetti del "tesoro di Priamo" con quelli del tesoro dell’abbazia, produciamo una tabella con gli oggetti che sembrano più adatti ad un confronto, fornendola anche di adeguate sintesi in base al confronto.

Il tesoro di Abbone Il "tesoro di Priamo" Sintesi degli oggetti
teche di grandezza disuguale, all’interno delle quali c’erano oggetti di meravigliosa bellezza un vaso d’argento contenente oggetti d’oro di meravigliosa bellezza ("gioielli di Elena") tra cui: uno o più contenitori con oggetti di meravigliosa bellezza
corone auree tempestate di gemme due diademi d’oro tempestati di gemme due o più ornamenti del capo in oro tempestati di gemme
lavori di niello*
* Per il niello, lega metallica a base di argento, vedi nota 9.
una coppa di elettro*
* L’elettro è una lega metallica di oro e di argento, usata nell’antichità (Wikipedia italiana, voce "Elettro").
uno o più oggetti di una lega metallica a base di argento

contenitori di reliquie di argento annerito diversi globuli e vasi in argento(11) diversi oggetti d’argento
–  la scena della deposizione dal sepolcro raffigurata in bassorilievo d’argento
–  un dittico con tra l’altro la figura di un agnello composto da alveoli di argento dorato con paste di vetro
–  four little cross chains, at the end of which hangs a glittering golden idol of the tutelar goddess of Troy (tra i "gioielli di Elena")
–  at the end of every one of the sixteen chains there hangs a golden idol ... with the owls head of the Ilian tutelary goddess (tra i "gioielli di Elena")
ecc.
diverse figure in metallo prezioso (oro ed argento) tra cui uno o più animali di simbolismo religioso

scrigni di vari metalli –  una bottiglia d’oro battuto
–  due coppe d’oro di cui una battuta e una fusa
–  sei lame di coltello in argento battuto
–  un vaso di rame
–  tredici punte di lancia in rame
ecc.
altri oggetti di vari metalli

Confrontando gli oggetti elencati dei due tesori con le relative sintesi possiamo formulare una conclusione.

·  Nella parte centrale di ambedue i Territori si trovava sottoterra, in uno spazio a fondo cieco, un grande tesoro composto tra l’altro da questi oggetti:
–  un contenitore con oggetti di meravigliosa bellezza
–  ornamenti del capo in oro tempestati di gemme
–  un oggetto di una lega metallica a base di argento
–  diversi oggetti d’argento
–  diverse figure in metallo prezioso, tra cui uno o più animali di simbolismo religioso
–  altri oggetti di vari metalli


C.  DEFINIZIONE DELL’ELEMENTO OMOLOGO NR-bis/TR 1 (ELEMENTO DI BASE)
Nel corso di Sette unità di tempo accade una serie di vicende più o meno drammatiche in o presso (apud) un territorio costruito intorno a una rocca originaria e fortificato con grandi mura (il Territorio). La distanza massima da un muro all’altro del Territorio non supera 350 metri. Il Territorio è situato su una collina che dista al massimo 20 chilometri dal mare, il quale è anche visibile dalla collina. Tra i costruttori del Territorio c’erano anche quelli che avevano grande familiarità con la terra e con il cielo.
   La funzione di capo supremo del Territorio durante o poco prima delle Sette unità di tempo compete a un uomo vecchio che ha, metaforicamente o no, molti figli (50-60) di sesso maschile. Ha curato il trasporto della salma di un personaggio famoso e muore in relazione alla distruzione catastrofale del suo Territorio, ucciso da un omicida spietato.
   L’uccisore è caratterizzato, in senso figurato o meno, dal colore del fuoco rosso. Ha agito, da solo o in compagnia, affinché fossero portati da lontano al Territorio oggetti preziosi e di grande fama. Muore in modo drammatico.
   Nella parte centrale del Territorio si trova sottoterra, in uno spazio a fondo cieco, un grande tesoro composto tra l’altro da questi oggetti: un contenitore con oggetti di meravigliosa bellezza, ornamenti del capo in oro tempestati di gemme, un oggetto di una lega metallica a base di argento, diversi oggetti d’argento, diverse figure in metallo prezioso tra cui uno o più animali di simbolismo religioso, altri oggetti di vari metalli.

Note

(1)  Per precisione si aggiunge che il significato della preposizione "apud" è normalmente "presso" o "vicino a", ma soprattutto nel periodo postclassico la si usava anche nel significato di "in" (stato in luogo), come apud villam, insulam, Asiam (Norstedts latinsk-svenska ordbok, II ed., Stockholm 2001). Del resto, anche "presso" può assumere in certe circostanze il significato di "in", come "lettura scenica presso la biblioteca", "la mostra si svolge presso il Castello".

(2)  Per la gran familiarità "e con la terra e col cielo" dei giganti, ricordiamo che questi esseri erano figli di Gea, che era stata fecondata dal sangue di Urano. Gea (o Gaia) era la dea primigenia della Terra. (Cfr. per es. La Nuova Enciclopedia Universale Garzanti, voce "Giganti").

(3)  Al tempo della guerra omerica la distanza al mare doveva essere anche minore data la continua elevazione della terra che allontana la linea della costa.

(4)  La cronaca di Dictys Cretensis è un’opera pseudoclassica. L’autore sarebbe stato compagno del re Idomeneo all’assalto a Troia. La versione latina (IV secolo d.C.) sarebbe una traduzione dal greco, che a sua volta risalirebbe a un manoscritto in lingua fenicia. Dell’esistenza della "prima" versione non ci sono prove reali, ma quella greca sembra essere esistita veramente (Wikipedia inglese, voce "Dictys Cretensis").

(5)  Cfr. José Beluci-Caporalini, O problema antropológico em o "Nome da Rosa", p. 84, in Foro Latinoamericano (novembre 2006).

(6)  Precisiamo che la distruzione di Troia avvenne in due tappe: alla irruzione dei greci nella città (con l’aiuto del cavallo di legno) seguì – come di solito nelle guerre antiche – un gran disordine con incendi, saccheggi e violenze di ogni sorta (durante il quale Enea, con suo figlio, suo padre e altri, riuscì a fuggire); il giorno dopo (o qualche giorno dopo), quando il dramma delle Troiane comincia si vede ancora il fumo della città semidistrutta. Alla fine della tragedia Taltibio, l’araldo di Agamennone, dà ordine ai soldati greci di incendiare tutta la città e raderla al suolo. Dopo di che la distruzione totale comincia, e in ultimo crolla anche Pergamo, l’antica rocca.

(7)  È sempre arduo speculare sulle origini di un tratto caratteristico della psiche di un uomo. Ma per quanto riguarda gli esempi di cieca crudeltà da parte di Neottolemo, tale comportamento può essere spiegato – almeno secondo la sezione "Mitologia greca", voce "Pirro", del sito Internet Mitologia e... dintorni – alla luce della giovane età dell’uccisore: "Può stupire l’ovvio calcolo che il figlio di Achille non avesse più di dieci anni quando si avviò alla guerra di Troia: Achille infatti e Deidamia lo avevano concepito quando il decennale conflitto era nella fase iniziale e Ulisse aveva ordito l’inganno di cui si è detto. L’età poco più che infantile di Pirro, come peraltro già di Achille, spiega il suo temperamento impulsivo e generoso, ma anche capace di crudeltà spietata, come avvenne per il sacrificio della innocente Polissena" e, aggiungiamo, nell’uccidere davanti agli occhi di Ecuba il figlio e il marito.

(8)  Non possiamo non ammettere che la morte davanti all’altare fosse un premio adeguato per Neottolemo che aveva ucciso il re di Troia e suo figlio Polite davanti a un altro altare.

(9)  Secondo Wikipedia italiana il niello è "una lega metallica di colore nero che include zolfo, rame, argento e spesso anche piombo, usata come intarsio nell’incisione di metalli".

(10)  Bisogna aggiungere che si sono trovati anche altri tesori nel suolo di Troia, ma quello di Priamo è il più grande e più noto (cfr. per es. Frisch, Europas kulturhistoria, I, Stockholm 1962, p. 225).

(11)  Doveva sicuramente trattarsi di argento annerito anche in questi casi.

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