II-2.2.1.8

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II-2.2.1.8.  ELEMENTO OMOLOGO NR-bis/TR 9

La tragedia consumata

A.  OGGETTO DELL’ANALISI
Nel Settimo giorno (Settima unità di tempo), si arriva al culmine del dramma della settimana all’abbazia: l’ecpirosi. La scena da usare per il confronto con Le Troiane comincia quando l’incendio ha già preso forza in modo irreparabile.

Tutto il pianoro era in preda al disordine. Ma si era appena all’inizio della tragedia. Perché, uscendo dalle finestre e dal tetto [dell’Edificio], la nube ormai trionfante delle scintille, incoraggiata dal vento, stava ricadendo ovunque, toccando le coperture della chiesa. Non v’è chi non sappia quante splendide cattedrali siano state vulnerabili al morso del fuoco: ... Così accadde per la chiesa abbaziale dal portale bellissimo ... Essa prese fuoco in un tempo brevissimo. (Nome, p. 492)
Precisiamo che dal tetto dell’Edificio non si vedevano uscire soltanto nuvole di scintille, c’era anche un fumo denso (cfr. p. 491: "un fumo nero usciva dal tetto").
   La scena finisce sulle ultime righe del capitolo: "C’è troppa confusione qui" disse Guglielmo. "Non in commotione, non in commotione Dominus" (p. 496).
   La corrispondente scena delle Troiane comincia nel sesto "atto" (Settima unità di tempo), quando Taltibio ha pronunciato gli ultimi ordini, ed Ecuba e il coro incominciano a dialogare sulla loro tragica sorte:
Ecuba:  Ci sono fiamme ovunque.
Le case di Pergamo, la città, le mura:
sta bruciando tutto!
Coro:  Siamo stati sconfitti,
la nostra terra annientata:
ormai è solo una nuvola di fumo
che il vento si porta via.
ecc. (Troiane, p. 137)
Si noti che anche qui si avvertono, come nel Nome della rosa, fiamme, fumo e vento.
   La scena si protrae fino alle ultime righe del dramma:
Ecuba:  Coraggio, in marcia! Le mie povere gambe...
che fatica camminare!
Su, alla nostra vita da schiave!
Coro:  Povera la nostra città!
Ma adesso vieni, andiamo alle navi dei Greci. (pp. 139-141)
B.  ANALISI COMPARATIVA
Le grida di dolore (B1) – La caduta in ginocchio e altri gesti di una persona vinta (B2) – Il finale (B3) – Definizione dell’elemento omologo NR-bis/TR 9 (C).

B1.  LE GRIDA DI DOLORE
Nel bel mezzo dell’ecpirosi si sentono grida di dolore:
Inoltre il fuoco si era comunicato dall’alto, dove era difficile issarsi per battere le fiamme o soffocarle con terra e stracci. E quando le fiamme arrivarono da basso, era ormai inutile buttarvi terra o sabbia, ché il soffitto ormai rovinava sui soccorritori travolgendone non pochi.
   Così alle grida di rimpianto per le molte ricchezze arse si stavano ora unendo le grida di dolore per i volti ustionati, le membra schiacciate, i corpi scomparsi sotto un repentino precipitar di volte. (pp. 492-493)
Nelle Troiane si sentono parimenti grida di dolore:
Ecuba:  Ci trascinano, ci portano via!
Coro:  Nelle tue grida dolore e ancora dolore!
Ecuba:  Ridotte in schiavitù!
Coro:  Lontane dalla nostra terra! (pp. 137-139)
·  Si sentono in ambedue i casi grida di dolore

B2.  LA CADUTA IN GINOCCHIO E ALTRI GESTI DI UNA PERSONA VINTA
Nelle caotiche scene sul pianoro Adso riconosce alcuni dei monaci che già conosciamo, come Alinardo, Nicola e Pacifico da Tivoli. Vediamo la rapida descrizione di Nicola:
I cavalli in fiamme avevano trasportato il fuoco là dove il vento non lo aveva ancora fatto: ora ardevano anche le officine e la casa dei novizi. Torme di persone correvano da un capo all’altro della spianata, senza meta o con mete illusorie. Vidi Nicola, il capo ferito, l’abito a brandelli, che ormai vinto(1), in ginocchio sul viale di accesso, malediceva la maledizione divina. (Nome, p. 493)
Ci si presenta quindi una persona che ha il capo ferito e l’abito a brandelli, che sta in ginocchio maledicendo la maledizione divina. A quest’immagine aggiungiamo che la figura ha anche il capo rasato. Lo si sa perché in qualità di monaco Nicola portava la tonsura, cioè la totale e parziale rasatura dei capelli; cfr. quanto abbiamo già detto in II-2.2.1.2, punto B1, sulla tonsura di Venanzio.
   Un altro commento alla scena: se Nicola stava in ginocchio maledicendo la maledizione divina, doveva naturalmente anche gesticolare con le mani; sarebbe infatti difficile immaginarsi altro. (Ma non sappiamo naturalmente come fossero esattamente i gesti.)
   Prima di continuare con Le Troiane, scegliamo – ai fini del confronto con il dramma greco – sei dei sette elementi caratteristici della rapida immagine di Nicola: il capo ferito, i capelli rasati, la posizione in ginocchio, il gesticolare con le mani, il maledire la maledizione divina, l’essere vinto. (Abbiamo escluso l’abito a brandelli; vedi però il commento dopo la conclusione più sotto.)
   Il personaggio delle Troiane che è più adatto a un confronto con la figura di Nicola, è Ecuba stessa. Nel confronto effettivo abbiamo però dovuto modificare l’elemento del maledire la maledizione divina per arrivare a una corrispondenza sufficientemente precisa.
   Facciamo le analisi in ordine.

1)  Il capo ferito. Nella Terza unità di tempo, dopo che Taltibio le ha rivelato che la sua sorte, secondo la decisione dei greci, sarà quella di diventare schiava di Ulisse, Ecuba prorompe in lamenti:

Ecuba: No, no! Prendermi a pugni,
battermi la testa,
graffiarmi a sangue le guance
ecco cosa devo fare!
Io schiava di quell’essere immondo,
di quel farabutto, di quel mostro ... (Troiane, p. 73)
Susanetti nota nell’introduzione del volume:
Alle parole si accompagnano, a più riprese, i gesti tradizionali del cordoglio: il movimento ritmico dei pugni che si levano a colpire il capo o il petto, le unghie che lacerano la pelle delle guance e del seno facendo scorrere il sangue ... (Susanetti, Ecuba e le altre: lo spettacolo delle vittime, pp. 14-15)
Non bisogna quindi dubitare che la graffiatura anche producesse del sangue, il che ci induce a concludere che sul capo (incluse le guance) della regina c’erano anche ferite visibili.
   Per quanto riguarda il capo di Ecuba si legge del resto qua e là che ella anche lo colpiva con le mani: a parte la citazione di sopra ("Prendermi a pugni, battermi la testa"), vedi anche: "Che posso fare per te [l’ucciso Astianatte]? Ecco: mi batto la testa, mi batto il petto per te" (p. 107); (anche il coro:) "Battiti la testa, così, un colpo dopo l’altro" (p. 133). Gli atti descritti appartenevano, come afferma Susanetti, ai "gesti tradizionali del cordoglio".

2)  I capelli rasati. Come abbiamo già constatato nella scena della Seconda unità di tempo Ecuba ha i capelli rasati:
Avevo un trono e adesso sono qui
per terra, accanto alla tenda di Agamennone!
Io, una povera vecchia devastata,
con i capelli rasati a zero,
in segno di lutto,
trascinata via da casa,
a fare la schiava! (p. 63)
Anche i capelli rasati rappresentano quindi un elemento rituale in questo contesto.

3)  La posizione in ginocchio. Ritornando alla scena attuale si assiste a un episodio drammatico dove Ecuba s’inginocchia per battere la terra con le mani:

Ecuba:  Terra sfortunata!
Qui erano cresciuti i miei figli!
Coro:  Povere noi!
Ecuba:  Figli miei, ascoltatemi:
è la voce di vostra madre!
Coro:  Con i tuoi lamenti chiami i morti.
Ecuba:  Ecco, piego questo mio vecchio corpo
e batto la terra con le mani.(2)
Coro:  E noi facciamo come te:
ci inginocchiamo a invocare
i nostri poveri mariti. (p. 137)
4-5)  Il gesticolare con le mani e l’invocazione delle potenze occulte. Cominciamo l’analisi con il gesticolare con le mani perché basta fare riferimento alla citazione di sopra, e più precisamente al momento in cui Ecuba batte la terra con le mani, gesto che dev’essere stato ben visibile per gli astanti (come pure il suo battere la testa e il petto).
   Ma con il battere la terra esegue anche un rito per evocare "le potenze ctonie e le anime dei defunti", come ha scritto Susanetti nella sua nota al testo (qui nota 2); più generalmente si può quindi dire che Ecuba in questo momento si sta rivolgendo, disperata, alle potenze dell’oltretomba ("Figli miei, ascoltatemi: è la voce di vostra madre!" – "Con i tuoi lamenti chiami i morti"). Nicola, che malediceva la maledizione divina, non faceva esattamente la stessa cosa; ma anche lui si rivolgeva nella propria disperazione a qualcosa di astratto, che in questo caso può essere interpretato come le potenze occulte che misero in effetto la punizione divina (cfr. "Già nella mattinata del settimo giorno della nostra permanenza in quel luogo, quando ormai i superstiti si avvidero che nessun edificio poteva più essere salvato ... a quel punto mancò a ciascuno la volontà di combattere contro il castigo divino" (Nome, p. 499)).

6)  L’essere vittima. I greci erano i vincitori e i troiani erano le vittime, e vittima era anche Ecuba. In una nota alle parole recitate di Ecuba (vedi la citazione più sopra: p. 63 delle Troiane) Susanetti osserva:

Ossessivo è il motivo dell’essere condotti via, dell’essere strappati dal suolo natio, dell’essere costretti a imbarcarsi sulle navi dei Greci. Le Troiane sono vittime passive, soggetti reificati dalla violenza dei vincitori (p. 154)
·  Verso la fine delle rispettive scene si vede una persona in ginocchio, vittima, col capo ferito e i capelli rasati, che si rivolge disperata, gesticolando con le mani, alle potenze occulte.

Serve ora un commento a quanto abbiamo detto più sopra sull’elemento "abito a brandelli". Esso è stato escluso dal confronto perché nessuna delle donne troiane, e tanto meno Ecuba, sembra aver gli abiti in disordine, almeno secondo il testo di Euripide. C’è tuttavia un passo delle Troiane in cui la regina, lagnandosi della sua sorte futura, dice di dover in futuro essere vestita di stracci:

mi toccherà stare alla porta o fare il pane, io che ho messo al mondo Ettore! Dormire per terra, con questa povera schiena tutta rinsecchita, io che ero abituata ad un letto da re! Consunta, vestita di stracci: che umiliazione dopo tutta una vita nel lusso! E ne avrò ancora altre! (pp. 83-84)
Anche nelle traduzioni di Parmentier e Coleridge si dice in sostanza la stessa cosa:
la guenille qu’est mon corps n’aura pour se couvrir que des lambeaux de vêtement, marques honteuses de ma déchéance. (Les Troyennes, p. 49)

and on the ground instead of my royal bed lay down my shrunken limbs, with tattered rags about my wasted frame, a shameful garb for those who once were prosperous. (The Trojan Women)

Quindi, se dobbiamo ammettere che l’elemento dell’abito a brandelli sembra mancare a Ecuba prima della partenza da Troia, esso sarà invece un segno caratteristico della sua squallida vita in futuro. Susanetti spiega in proposito:
La perdita del rango e la gravità della caduta sono focalizzate nell’immagine degli stracci di cui d’ora in poi sarà rivestita Ecuba. Nella drammaturgia euripidea, peraltro, le dinamiche della diseroicizzazione dei personaggi mitici passano attraverso la pratica di mostrarli laceri e malconci (Troiane, nota 89, p. 167)
B3.  IL FINALE
Nel Nome della rosa si possono identificare quattro distinti elementi che caratterizzano il finale: fuoco, grande fragore, grande sconvolgimento nonché suoni alti ed acuti. Citiamo tre brani per illustrarli (nostro corsivo):
A quel punto si udì uno schianto: il pavimento del labirinto aveva ceduto in qualche punto precipitando le sue travi infuocate al piano inferiore, perché ora vidi lingue di fiamma alzarsi dallo scriptorium, anch’esso popolato di libri e di armadi, e di carte sciolte, distese sui tavoli, pronte alla sollecitazione delle scintille. Udii delle grida di disperazione provenire da un gruppo di scrivani ... (Nome, p. 491)

Ormai l’abbazia era condannata. Quasi tutti i suoi edifici erano, quale più quale meno, raggiunti dal fuoco. Quelli ancora intatti, non lo sarebbero stati tra poco, perché tutto ormai, dagli elementi naturali all’opera confusa dei soccorritori, collaborava a propagare l’incendio. (p. 493)

In quel momento una parte dei tetti del dormitorio crollò con immenso fragore soffiando verso l’alto una nuvola di scintille. Una parte delle pecore e delle capre, che erravano per la corte, ci passarono accanto lanciando atroci belati. Dei servi passarono in frotta accanto a noi, gridando, e quasi ci calpestarono.
   "C’è troppa confusione qui" disse Guglielmo. "Non in commotione, non in commotione Dominus." (p. 496)

Per le ultime parole latine del Maestro commentiamo che si tratta di una citazione della Vulgata (III Regum(3), 19:11), che "generalmente, vuol significare che non è possibile trovare Dio in un momento di grandi sconvolgimenti" (Wikipedia italiana, voce "Non in commotione Dominus").
   Quanto ai suoni alti ed acuti, li si sentono un po’ dovunque ma soprattutto quando passano delle pecore e capre "lanciando atroci belati". Ed essendo il significato originale della parola "tragedia" più o meno "canto caprino", si potrebbe intuire nel passaggio improvviso degli animali atrocemente belanti un’ingegnosa metafora della "tragedia è finita". (Cfr. in proposito I-1.1, nota 8.)
   Vediamo ora come i quattro elementi allegati sono presenti anche alla fine delle Troiane. Citiamo gran parte delle ultime battute del dramma (inclusi due commenti di Parmentier), per poi focalizzare l’attenzione sulle parole che ci interessano.
Ecuba:  I nostri templi, la nostra città!
Coro:  Che strazio!
Ecuba:  Distrutti dal fuoco,
saccheggiati dai nostri nemici
Coro:  Presto saranno rovine senza nome.
Ecuba:  Una nube di cenere
sale fino al cielo:
non riuscirò più a vedere il mio palazzo!
Coro:  Scomparirà anche il nome
della nostra patria.
Tutto finisce in un modo o nell’altro:
Troia non esiste più.

[La citadelle de Troie s’écroule (Parmentier, p. 81).](4)

Ecuba:  Avete sentito?
Coro:  Sì, Pergamo sta crollando.
Ecuba:  Trema tutto.
Coro:  È come un’onda(5) che inghiotte la città. (p. 139)

[Appel de trompettes (Parmentier, p. 81)](6)

In questo brano del dramma s’identificano quindi:

–   Il fuoco. Ecuba:  "I nostri templi, la nostra città!"; "Distrutti dal fuoco"; "Una nube di cenere / sale fino al cielo".
–   Il grande fragore. Ecuba (dopo l’informazione di Parmentier): "Avete sentito?"; Coro: "Sì, Pergamo sta crollando".
–   Il grande sconvolgimento. Ecuba:  "Trema tutto"; Coro: "È come un’onda che inghiotte la città".
–   I suoni alti ed acuti. L’informazione di Parmentier: "Appel de trompettes".

·  La fine della scena è caratterizzata dalla presenza di fuoco, da un grande fragore, da suoni alti ed acuti, e tutt’attorno c’è un grande sconvolgimento.

C.  DEFINIZIONE DELL’ELEMENTO OMOLOGO NR-bis/TR 9
Nella Settima unità di tempo avviene la scena che conclude il dramma e lo fa in un ambiente di fiamme, fumo e venti. Si sentono grida di dolore e verso la fine si vede una persona in ginocchio, vittima, col capo ferito e i capelli rasati, che si rivolge, disperata, gesticolando con le mani, alle potenze occulte. La fine è caratterizzata dalla presenza di fuoco, da un grande fragore, da suoni alti ed acuti, e tutt’attorno c’è un grande sconvolgimento.

*
Terminata la serie di elementi omologhi drammatici continuiamo in II-2.2.2 con gli elementi topografici.

Note

(1)  Probabilmente un’aggiunta ironica visto che il nome di Nicola significa "vincitore tra i popoli" (cfr. II-2.2.1.3, punto B2).

(2)  In una nota al testo Susanetti spiega: "Battendo le mani a terra si evocano le potenze ctonie e le anime dei defunti" (Troiane, p. 191).

(3)  Nella Sacra Bibbia (tradotta da Giovanni Diodati) il III Regum della Vulgata corrisponde al I Libro dei Re.

(4)  L’informazione implicita è giustificata viste le battute che vengono dopo.

(5)  Nella nota 213 al testo Susanetti spiega: "Una terribile scossa travolge la città come un’onda che sommerge ogni cosa" (p. 191). Pare che il traduttore intenda l’onda del testo greco come una grande massa d’acqua irrompente in quanto nelle frasi che seguono egli scrive: "il verbo epiklýzo [usato da Euripide], ’allago’, ’inondo’, oltre a ricollegarsi alle metafore marine dell’inizio del dramma, si ricollega più sotterraneamente alla figura di Elena che era venuta a Troia sperando di poter ’sommergere’ la città con le sue spese folli" (ibid.). Ma nell’introduzione al dramma Susanetti sembra optare per un’altra soluzione di come intendere quest’onda: "I Greci si apprestano a ultimare l’opera di distruzione. Troia crolla come travolta dall’onda di un terremoto" (Susanetti, op. cit., p. 42). Tuttavia, per la nostra conclusione tutte e due le soluzioni vanno ugualmente bene perché l’abbiamo formulata senza collegarla a nessun tipo specifico di "onda". Del resto, un’onda di tsunami segue spesso a un terremoto sentito anche per terra.

(6)  Informazione implicita. Al principio della Settima unità di tempo Taltibio dice:

Mi rivolgo agli uomini incaricati di incendiare la città: è ora di darsi da fare con quelle torce, andate a appiccare il fuoco. ... Ma ho degli ordini anche per voi Troiane: quando i comandanti faranno suonare le trombe, andate alle navi dei Greci per la partenza. (p. 135)
Dopo l’ultima battuta citata del coro a p. 139 ("È come un’onda che inghiotte la città"), Ecuba dice "Coraggio, in marcia! Le mie povere gambe... / che fatica camminare! / Su, alla nostra vita da schiave!". Il coro risponde: "Povera la nostra città! / Ma adesso vieni, andiamo alle navi dei Greci." Tra la battuta del coro "È come un’onda che inghiotte la città" e quella di Ecuba "Coraggio, in marcia! Le mie povere gambe ecc.", le trombe dell’esercito greco devono quindi aver suonato, proprio come Taltibio aveva disposto. Si conclude pertanto che l’informazione di Parmentier è giustificata.

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