II-2.2.1.6

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II-2.2.1.6.  ELEMENTO OMOLOGO NR-bis/TR 7

Il processo

A.  OGGETTO DELL’ANALISI
Il Quinto giorno (Quinta unità di tempo) inizia il processo a Remigio accusato (erroneamente) di aver ucciso l’erborista Severino, ma interrogato durante il processo soprattutto circa i suoi delitti come eretico. Verso la fine del lungo processo Remigio è portato via dagli arcieri di Bernardo Gui, l’inquisitore avignonese, il quale annuncia che il cellario sarà condotto ad Avignone per esservi bruciato.

Gli arcieri condussero via il cellario ancora in preda a convulsioni. Bernardo radunò le proprie carte. Poi fissò gli astanti, immobili in preda a grande turbamento.
   "L’interrogatorio è finito. L’imputato, reo confesso, sarà condotto ad Avignone, dove avrà luogo il processo definitivo, a salvaguardia scrupolosa della verità e della giustizia, e solo dopo quel regolare processo sarà bruciato." (Nome, p. 392)
Il processo corrispondente delle Troiane è naturalmente quello contro Elena del quarto "atto" (Quinta unità di tempo). Verso la fine di quel processo Elena è portata via dalla scorta di Menelao, il quale, come giudice ed ex marito, annuncia che l’imputata sarà condotta in Grecia per esservi giustiziata:
Servi, portatela a bordo. ... Arrivata ad Argo farà una brutta fine: è quello che si merita per essersi comportata come una puttana. (Troiane, p. 121)
Per la "brutta fine" si legge già nell’esordio della scena:
Menelao:  Metterò Elena su una nave e la porterò in Grecia con me. Una volta arrivati, la farò ammazzare (p. 111)
A questo punto bisogna precisare che nei testi di Eco e di Euripide non si dice niente sulla fine effettiva dei protagonisti. Remigio poteva infatti fuggire durante il lungo tragitto ad Avignone, poteva morire prima dell’arrivo in Francia, eccetera. E per quanto riguarda la fine di Elena il mito racconta diversamente:
Helen returned to Sparta and lived for a time with Menelaus, where she was encountered by Telemachus in The Odyssey. According to another version, used by Euripides in his play Orestes, Helen had long ago left the mortal world by then, having been taken up to Olympus almost immediately after Menelaus’ return. (Wikipedia inglese, voce "Helen")
Secondo il geografo Pausania (II secolo d. Cr.) Elena ebbe una drammatica fine in quanto – dopo tante complicate vicende – fu impiccata a Rodi da donne travestite da furie (ibid.).

B.  ANALISI COMPARATIVA
L’accusatore (B1) – L’imputato (B2) – Definizione dell’elemento omologo NR-bis/TR 7 (C).

B1.  L’ACCUSATORE
L’arrivo al Territorio (B1.1) – La duplice agende (B1.2).

B1.1.  L’ARRIVO AL TERRITORIO
Prima dell’arrivo all’abbazia della legazione papale si era stabilito che la sua incolumità sarrebbe stata affidata "a una compagnia di arcieri del re di Francia agli ordini di persona di sua fiducia" (Nome, p. 152). Questa persona di fiducia era Bernardo Gui, che venne il Quarto giorno da Avignone insieme con gli arcieri e la legazione (p. 303). Che Bernardo fosse anche il capo effettivo della compagnia armata, si capisce da molti passi nel testo di Adso, per es. quando i soldati avevano preso Salvatore la notte del Quarto giorno: "Arrivò l’Abate, arrivò Bernardo Gui, a cui il capitano degli arcieri fece un breve rapporto" (p. 330). E i soldati di Bernardo erano presenti anche al processo (p. 373).
   Se Bernardo veniva da Avignone, ciò significa che aveva viaggiato molta distanza prima di giungere all’abbazia, che si trovava nella zona montuosa ad occidente di Bobbio, non lontano dal mare.(1) Veniva quindi da una città situata in un altro paese molto lontano dall’abbazia, verso occidente.
   Anche Menelao, fratello di Agamennone, viene da lontano, e più precisamente da Sparta in Laconia (nel Peloponnese sud-orientale), cioè molto lontano dalla città di Troia. Quando arriva è naturalmente accompagnato da soldati i quali non dovevano essere pochi. Secondo Dares Phrygius Menelao partì da Sparta con 60 navi (Excidio Troiae Historia, a cura di F. Meister, Lipsiae, 1873, p. 17). (Anche se possiamo dubitare dell’esattezza dell’informazione delle 60 navi, è almeno un’indicazione di un considerevole numero di navi e soldati.)

·   Gli accusatori vengono da una città che si trova in un altro paese, molto lontano dal Territorio, verso occidente; arrivano accompagnati da soldati.

B1.2.  LA DUPLICE AGENDA
Arrivando all’abbazia Bernardo aveva una duplice agenda. Quanto alla prima parte di essa ascoltiamo la sua risposta, subito dopo l’arrivo, a una frase (sottilmente velenosa) di Guglielmo: "Pare che in questi giorni, per richiesta dell’Abate, e per assolvere il compito affidatomi ai termini dell’accordo che ci vede qui riuniti, dovrò occuparmi di vicende tristissime in cui si avverte il pestifero odore del demonio" (Nome, p. 304). Una delle sue mansioni era ovviamente di investigare "per richiesta dell’Abate" sui delitti accaduti all’abbazia, delitti dei quali, secondo Adso, egli doveva già essere a conoscenza. Adso scrive: "Bernardo doveva già essere stato informato dall’Abate circa i delitti commessi all’abbazia" (ibid.). L’altro incarico affidatogli era quello di essere a capo della compagnia di arcieri incaricata di assicurare l’incolumità della legazione papale. Già nel cap. "Secondo giorno, nona", p. 152, si legge che il papa "[a]veva posto quindi la condizione che l’incolumità dei suoi inviati fosse stata affidata a una compagnia di arcieri del re di Francia agli ordini di persona di sua fiducia". E la scelta della "persona di sua fiducia" era caduta su Bernardo.
   Si aggiunge che dopo l’arresto di Remigio pare che l’inquisitore abbia ampliato ancora la sua agenda includendovi anche un tentativo di screditare la cosa francescana e l’autorità di Abbone come mediatore fra i teologi delle due legazioni (del papa e dell’imperatore) (p. 385). L’aver catturato un dolciniano ed ex francescano entro le mura dell’abbazia, costituiva infatti un colpo mortale per ogni conciliazione tra le parti (ibid.).
   Per quanto riguarda la duplice agenda di Menelao prima dell’arrivo a Troia, il testo delle Troiane è esplicito in quanto nel lungo monologo che introduce la scena del processo, il re di Sparta dice:

Non è come pensa la gente: non sono venuto a Troia per mia moglie, ma per quel farabutto che me l’ha rapita dopo essere stato ospite in casa mia. (Troiane, p. 111)
Aggiunge immediatamente dopo che lo scopo principale è stato raggiunto: "Ora, grazie al cielo, lui è stato punito, e la sua patria è stata distrutta dall’esercito greco" (ibid.).
   Ma rimane la punizione di Elena, per cui continua: "Sono qui per portarmi via la Spartana" (ibid.).

·  Arrivando al Territorio gli accusatori avevano una duplice agenda.

B2.  L’IMPUTATO
Qualità caratteristiche dell’imputato (B2.1) – La vita agitata (B2.2) – La difesa (B2.3).

B2.1.  QUALITÀ CARATTERISTICHE DELL’IMPUTATO
Cominciamo l’esame definendo alcune qualità che caratterizzano il cellario e sembrano coincidere bene con altrettante qualità di Elena.

1)  Il tempo trascorso all’abbazia.  Durante l’interrogatorio il cellario dice:

Anni fa, quando il pontefice emanò la bolla "Sancta Romana" ... pensai fosse più utile alla mia anima peccatrice sottrarmi a un ambiente carico di seduzioni e ottenni di essere ammesso tra i monaci di questa abbazia, dove da più di otto anni servo come cellario. (Nome, p. 374)
Più avanti, in un tentativo di scongiurare di essere sottoposto a turtura, precisa il tempo trascorso all’abbazia: "No signore. La tortura no. Io sono un uomo vile. Ho tradito allora, ho rinnegato per undici anni in questo monastero la mia fede di un tempo" (p. 389).

2)  Il gusto per la buona vita.  Nel lungo colloquio tra Guglielmo e l’Abate del Secondo giorno (nona) la discussione si volgeva anche sulla questione dei fraticelli, cioè i francescani che professavano la povertà rigorosa. Abbone dice di avere certi sospetti nei riguardi di Remigio, sospetti che a Guglielmo paiono poco verosimili date le sue stesse osservazioni del carattere del cellario:

"Ma visto che state indagando sulla vita di questa abbazia è bene che anche voi conosciate queste cose. Vi dirò allora che sospetto, badate, sospetto in base a cose che ho udito o indovinato, che ci sia stato un momento molto buio nella vita del nostro cellario, che appunto arrivò qui anni fa seguendo l’esodo dei minoriti(2)."
   "Il cellario? Remigio da Varagine un dolciniano? Mi pare l’essere più mite e in ogni caso meno preoccupato da madonna povertà che io abbia mai visto..." disse Guglielmo. (p. 155)
Che Remigio fosse tutt’altro che fautore della povertà si deduce anche dal suo aspetto fisico del quale Adso ci fornisce alcuni tratti caratteristici: "Il cellario era uomo pingue e di aspetto volgare ma gioviale, canuto ma ancor robusto, piccolo ma veloce" (p. 35). Un uomo di siffatte caratteristiche corporali non sembra onorare la povertà ma piuttosto la buona vita.
   Un altro indizio del gusto di Remigio per la buona vita era il modo in cui svolgeva la funzione di cellario all’abbazia; infatti, in tale lavoro aveva evidentemente raggiunto una considerevole capacità, ciò che si deduce per esempio dalla descrizione di Adso dei piatti che si offrivano alla tavola dell’abate il Primo giorno (compieta), alla quale sedeva anche il cellario (p. 102):
Ma, come dissi, alla tavola dell’Abate ci si prendevano alcune licenze, e ci avvenne di lodare i piatti che ci furono offerti, mentre l’Abate celebrava le qualità del suo olio, o del suo vino. ...
   Mangiammo carni allo spiedo, dei maiali appena uccisi, e mi avvidi che per altri cibi non si usava grasso di animali né olio di ravizzone, ma del buon olio d’oliva, che veniva da terreni che l’abbazia possedeva a piedi del monte verso il mare. L’Abate ci fece gustare (riservato alla sua mensa) quel pollo che avevo visto preparare in cucina. (ibid.)
Ed ecco una confessione del cellario stesso (cap. "Quarto giorno, prima"): "Poi diventi vecchio, non diventi saggio, ma diventi ghiottone. E qui faccio il ghiottone... " (p. 276).

3)  La debole carne.  Prima di incontrare la bella fanciulla nella cucina dell’Edificio (cap. "Terzo giorno, dopo compieta"), Adso è andato alla chiesa dove trova Ubertino con cui ha un lungo colloquio. Il monaco gli racconta, fra tante altre cose, le vicende delle sette eretiche, in particolare quella di Dolcino. Dice anche di aver conosciuto Remigio in un convento di minoriti. Sul suo conto dice:

"Non so dove sia stato Remigio prima che io lo incontrassi. So che fu sempre un buon frate, almeno dal punto di vista dell’ortodossia. Quanto al resto, ahimè, la carne è debole..."
   "Cosa intendete dire?"
   "Non sono cose che devi sapere. Ebbene, insomma, poiché ne abbiamo parlato, e devi poter distinguere il bene dal male..." esitò ancora, "ti dirò che ho sentito sussurrare qui, all’abbazia, che il cellario non sappia resistere a certe tentazioni... " (pp. 232-233)
Non è difficile capire a quali tentazioni Ubertino alludesse, tanto più che il cellario stesso lo rivela apertamente nel suo colloquio con Guglielmo (cap. "Quarto giorno, prima"): "È vero, sono un povero uomo carnale, e cedo alle lusinghe della carne. ... Tu hai viaggiato molto, Guglielmo, sai che neppure i cardinali di Avignone sono modelli di virtù" (p. 275).
   Anche il seguente commento che Guglielmo fece ad Adso nel corso del processo è illustrativo: "Guglielmo mi disse: ’Il cellario non era solo un peccatore carnale per il bene suo, ma faceva anche il ruffiano’" (p. 382).
   Vediamo ora come le suddette qualità del cellario corrispondano a qualità paragonabili di Elena.

1)  Il tempo trascorso a Troia.  Non si sa naturalmente quanto tempo esattamente Elena si trovasse nella città di Priamo. Si sa comunque che dopo il suo diparto da Sparta insieme con Paride,

Menelao, grazie all’aiuto del fratello Agamennone radunò un incredibile esercito, formato dai maggiori comandanti dei regni greci e dai loro sudditi, muovendo così guerra contro Troia. Il conflitto durò all’incirca 10 anni, con gravi perdite da ambo i lati. (Wikipedia italiana, voce "Guerra di Troia")
Per quanto riguarda l’Iliade, l’ultimo canto (XXIV) finisce nel decimo anno con i funerali di Ettore, quando la guerra non era ancora finita.(3) Si può concludere pertanto che Elena si trovava a Troia da almeno dieci anni, forse qualche anno in più.

2)  Il gusto per la buona vita.  Nelle Troiane Ecuba non si esprime con mezzi termini sull’inclinazione di Elena per una vita in lusso:
In Grecia vivevi modestamente, ma la città dei Frigi navigava nell’oro: così hai lasciato Sparta e sei venuta qui sperando di spendere fiumi di denaro. Ti piace il lusso sfrenato e la reggia di Menelao non ti bastava. (Troiane, p. 119)
3)  La debole carne.  Che Elena fosse una donna lussoriosa non è una novità. Basta vedere le tante immagini di lei insieme con il suo amante Paride. Si vedano per esempio "Les Amours de Pâris et d’Hélène" (1788) di David. Anche sul carattere erotico di Elena, la madre di Paride si esprime in modo esplicito nel suo grande discorso contro la spartana:
Mio figlio era bellissimo e, quando lo hai visto, Afrodite ce l’avevi tu nella testa. Gli uomini chiamano Afrodite tutte le loro follie d’amore. Afrodite sta per sesso sfrenato, c’è pure l’assonanza.(4) (Troiane, p. 117)
A proposito dell’indole erotica di Elena, non si dimentichi che Dante la pone nel cerchio dei lussoriosi:
Elena vedi, per cui tanto reo
tempo si svolse ... (Inferno, V, vv. 64-65)
·  Sul conto degli imputati si possono mettere le seguenti caratteristiche:
–  vivevano sul Territorio da una decina di anni;
–  avevano gusto per la buona vita;
–  erano persone lussoriose.


B2.2.  LA VITA AGITATA
Nel cap. "Terzo giorno, dopo compieta" Adso incontra nella chiesa Ubertino che gli racconta la lunga e drammatica storia di fra Dolcino. Adso suggerisce che forse anche Remigio e Salvatore sarebbero stati con l’eresiarca prima di entrare nell’abbazia. Ubertino non vuole sentire parlare di sospetti del genere affermando comunque che il cellario, e molti altri spirituali, ebbero vita agitata in quegli anni:
Taci, e non pronunziare giudizi temerari. Conobbi il cellario in un convento di minoriti. ... Molti spirituali in quegli anni, prima che decidessimo di trovar rifugio nell’ordine di san Benedetto, ebbero vita agitata, e dovettero lasciare i loro conventi. (Nome, p. 232)
Una "vita agitata" è naturalmente un termine molto vago per cui conviene precisarlo con particolar riguardo al cellario. E qui ci viene in aiuto Adso il quale, descrivendo l’inizio della sconcertante autoconfessione di Remigio verso la fine del processo, riesce a sommare in cinque capi la vita agitata del cellario:
il grido che uscì dalla sua bocca era il grido della sua anima e in esso e con esso egli scaricava anni di lunghi e segreti rimorsi. Ovvero dopo una vita di incertezze, entusiasmi e delusioni, viltà e tradimenti, messo di fronte alla ineluttabilità della sua rovina, egli decideva di professare la fede della sua giovinezza, senza più chiedersi se fosse giusta o sbagliata (p. 385)
La vita del cellario era quindi una vita di "incertezze, entusiasmi e delusioni, viltà e tradimenti". Leggendo i colloqui di Guglielmo con Salvatore e Remigio nel cap. "Quarto giorno, prima" e, in particolar modo, la descrizione del processo stesso, possiamo senz’altro confermare tale sommario, il quale, come vedremo, sembra conformarsi bene anche alla vita agitata della bella Elena.
   Vediamo quindi come i punti incertezze, entusiasmi, delusioni, viltà e tradimenti si adattino anche a differenti episodi della vita della (ex) moglie di Menelao.

1)  Incertezze.  Quando Elena aveva raggiunto l’età da marito, Tindaro, re della Laconia e padre(5) della fanciulla, aveva il compito delicato di sceglierle uno sposo adatto. Ma le manovre per arrivare alla giusta scelta erano tante e tortuose e dovevano perciò rappresentare un periodo di grandi incertezze non solo per il padre ma anche per la giovane Elena; i pretendenti erano infatti non meno di venticinque, forse trentasei(!). Wikipedia inglese (voce "Helen") racconta:

There are three available lists of suitors, compiled by Pseudo-Appollodorus, Hesiod, and Hyginus respectively. In these catalogs, suitors range from twenty-five to thirty-six – from Hesiod’s poem we only have fragments.
C’era perfino il rischio che la rivalità tra i pretendenti generasse un conflitto, tanto che Tindaro, pur di evitare la guerra, decise alla fine di lasciare la scelta alla ragazza stessa. Menelao fu eletto e dopo l’abdicazione (o la morte) di Tindaro, Menelao e Elena diventarono signori di Sparta. In questo contesto si deve tuttavia aggiungere una cosa importante per lo sviluppo del dramma troiano: prima della scelta effettiva i pretendenti avevano giurato di accorrere in aiuto di chiunque fosse stato lo sposo "nel caso qualcuno avesse tentato di rapirgli la sposa" (Wikipedia italiana, voce "Elena"). E fu in base a questo giuramento che Agamennone, fratello di Menelao, riuscì a radunare il grande esercito per l’assalto a Troia, dopo il cosiddetto "rapimento di Elena".

2)  Entusiasmi.  La storia dell’amore tra Elena e Paride è una delle più note della storia. Ci sono diverse versioni della sua genesi, ma nelle Troiane Ecuba, la quale in via diretta o indiretta è stata testimone delle vicende di Elena, racconta come essa fosse ammaliata dalla vista del giovane principe di Troia:

Quando lo hai visto tutto splendente d’oro, vestito di lusso, come si fa qui da noi, sei impazzita di desiderio. (Troiane, p. 117)

Donc, en voyant mon fils dans son costume barbare et tout d’or éclatant, tu sentis ton âme s’affoler. (Les Troyennes-Parmentier, p. 68)

so when thou didst catch sight of him in gorgeous foreign garb, ablaze with gold, thy senses utterly forsook thee. (The Troyan Women-Coleridge)

Ecuba continua (con un passo che abbiamo già citato in B2.1):
In Grecia vivevi modestamente, ma la città dei Frigi navigava nell’oro: così hai lasciato Sparta e sei venuta qui sperando di spendere fiumi di denaro. Ti piace il lusso sfrenato e la reggia di Menelao non ti bastava. (Troiane, p. 119)
A parte l’innamoramento Elena si immaginava anche, ovviamente con entusiasmo, di poter vivere in lusso e in feste a Troia.

3)  Delusioni.  Ma nell’inevitabile guerra che seguì al tradimento e alla fuga a Troia, Paride morì ucciso da Filottete e Elena fu costretta a diventare sposa di Deifobo, fratello di Paride, un matrimonio di cui Elena sembra molto delusa:

Avevo un altro marito, Deifobo: mi ha presa con la violenza e mi ha tenuta con sé anche se i Troiani non erano d’accordo.(6) ... Per la mia bellezza non ho ricevuto premi e corone, no, sono stata venduta come una schiava! (p. 117)
La sua delusione si nota anche al funerale di Ettore dove, secondo Omero, si lagna di essere venuta a Troia come sposa di Paride e di aver perso il rispetto e la simpatia dei cittadini:
O a me il più caro de’ cognati, Ettorre[sic],
Poiché il fato mi trasse a queste rive
Di Paride consorte! oh morta io fossi
Pria che venirvi! ...
...
Quind’io te piango e in un [e insieme] la mia sventura;
Chè in tutta Troia io non ho più chi m’ami
O compatisca, a tutti abbominosa. (Iliade-Monti, XXIV, vv. 973-988)
4)  Viltà.  Elena dimostra un carattere vile durante i combattimenti in quanto tormentava Paride inneggiando le gesta di Menelao (per deprezzare poi il suo valore di guerriero quando i troiani avevano più successo in battaglia). Ascoltiamo Ecuba nel suo discorso contro la spartana:
Poi sei arrivata a Troia [dopo il "ratto" dalla reggia di Sparta], i Greci sono venuti a cercarti ed è scoppiata la guerra. Ogni volta che ti riferivano un successo di Menelao, tu gli facevi grandi lodi per umiliare mio figlio: volevi che si tormentasse di avere un rivale così forte. Se invece i Troiani avevano la meglio, Menelao non valeva niente. Guardavi come andavano le cose e ti regolavi di conseguenza, ma la regola della virtù, quella no, non eri disposta a seguirla! (Troiane, p. 119)
Per due altri atti di viltà di Elena, vedi i tradimenti riferiti qui sotto, tradimenti che lei commise senza esserci costretta.

5)  Tradimenti.  Il primo grande tradimento fu naturalmente quello che fece nei confronti di Menelao a Sparta. Ascoltiamo alcune battute delle Troiane (pp. 119-121):

Ecuba:  In sostanza, Menelao, voglio dirti questo: uccidila, copri di gloria la Grecia, fai un gesto degno di te! Che questa sia la regola per tutte le altre donne: morte a chi tradisce il marito!
Coro:(7)  Menelao, punisci tua moglie, comportati in modo degno della tua famiglia e dei tuoi antenati ...
Menelao:  La penso come te. Se ne è andata via per infilarsi nel letto di uno straniero.
Del resto, la (falsa) affermazione di Elena che era stata rapita da Paride, viene fermamente confutata da Ecuba:
Ma passiamo ad altro... Dici che mio figlio ti ha rapita. Ma come mai a Sparta nessuno se ne è accorto? Perché non hai gridato? I tuoi fratelli, Castore e il suo gemello Polluce, erano ancora vivi, non si erano ancora trasformati in stelle. (p. 119)
Se Elena commise un atto di tradimento che fu l’inizio della guerra trioana, ne consumò un altro alla fine della guerra, cioè nella notte stessa in cui i greci irruppero nella città. Secondo Virgilio (Aeneidos, VI, vv. 520-529) Deifobo (il suo nuovo marito dopo Paride) si era addormentato, stanco morto, nella camera da letto della loro casa. Mentre lui dormiva profondamente Elena rimosse di nascosto le sue armi sottraendo perfino la spada che lui aveva sotto il capo; poi spalancò la porta della casa e chiamò Menelao, che venne presto insieme con Ulisse. Deifobo fu ucciso, anzi mutilato. Il motivo di quest’ultimo tradimento della spartana sarebbe – sempre secondo Virgilio (attraverso la voce dell’anima di Deifobo) – che con tale gesto essa poteva estinguere la sua cattiva reputazione del primo tradimento:
egregia interea coniunx arma omnia tectis
emovet, et fidem capiti subduxerat ensem:
intra tecta vocat Menelaum et limina pandit,
scilicet id magnum sperans fore munus amanti [per Menelao],
et famam extingui ueterum sic posse malorum. (vv. 523-527)
·  Remigio ed Elena hanno avuto ambedue una vita agitata caratterizzata da incertezze, entusiasmi e delusioni, viltà e tradimenti.

B2.3.  LA DIFESA
Il processo del cap. "Quinto giorno, nona" può essere diviso sostanzialmente in due parti: la parte della difesa di Remigio e quella della sua confessione che sfocia in una sconcertante autoconfessione che esorbita da ogni limite ragionevole. Qui ci interesseremo della prima parte, in cui ci sono tre elementi che spiccano e sembrano avere corrispondenze nella difesa di Elena. I tre elementi sono: la loquacità dell’imputato, l’accusa contro altri e l’inginocchiamento davanti all’accusatore. Cominciamo con la difesa di Remigio.

1)  La loquacità.  Remigio è costretto a rispondere a due accuse: di eresia (la sua appartenenza alla setta di fra Dolcino) e di omicidio (l’uccisione di Severino). Si difende con rigore sviluppando un’ammirevole loquacità cercando di evitare le trappole dell’inquisitore, raccontando prolisse bugie, storcendo la verità, lanciando invettive ecc. I suoi interventi – risposte, accuse, domande, esclamazioni e sotterfugi – ammontano a circa 30, inclusi quei pochi nei confronti di Salvatore e Malachia. Ascoltiamo uno dei più lunghi, quello in cui ammette di essere stato dolciniano ma di portare ancora in sé "lo spirito di mansuetudine":

Sì, è vero, fui con loro nel bresciano e nel bergamasco, fui con loro a Como e in Valsesia, con loro mi rifugiai alla Parete Calva e in val di Rassa, e infine sul monte Rebello. Ma non presi parte a nessuna malefatta, e quando essi commisero saccheggi e violenze, io portavo ancora in me lo spirito di mansuetudine che fu proprio dei figli di Francesco ecc. (Nome, p. 383)
Bugie che disdice egli stesso nella seconda parte del processo, quando ancora non ha perso il lume dell’intelletto:
"Sì è vero," gridò, "sono stato con Dolcino e ne ho condiviso i delitti, le licenze, forse ero pazzo, confondevo l’amore del signor nostro Cristo Gesù con il bisogno di libertà e con l’odio per i vescovi, è vero, ho peccato" (pp. 385-386)
Nella sua difesa sviluppa anche non poca astuzia, il che si nota per es. quando si tratta di definire la vera chiesa. Bernardo gli domanda in che cosa il cellario creda:
"Signore," disse smarrito il cellario, "ditemi voi quale credete che sia la vera chiesa..."
   "Io credo che sia la chiesa romana, una, santa e apostolica, retta dal papa e dai suoi vescovi."
   "Così io credo," disse il cellario.
   "Ammirevole astuzia!" gridò l’inquisitore. "Ammirevole arguzia de dicto! L’avete udito: egli vuole intendere che egli crede che io creda a questa chiesa, e si sottrae al dovere di dire in che cosa creda lui! (p. 376)
Un altro lato della sua loquacità concerne le esclamazioni rivolte a Salvatore e Malachia:
Mentre Salvatore parlava, il cellario lo guardava con odio, e a un certo punto non poté trattenersi dal gridargli: "Serpe, scimmia lasciva, ti sono stato padre, amico, scudo, così mi ripaghi!" (p. 378) "Malachia", disse Bernardo, "stamattina, dopo la confessione resa nella notte da Salvatore, vi ho domandato se avevate ricevuto dall’imputato qui presente delle lettere..."
   "Malachia!" urlò il cellario, "poco fa mi hai giurato che non farai nulla contro di me!" (p. 379)
2)  L’accusa contro altri.  Nel corso dell’interrogatorio interviene (come abbiamo già constatato) anche Malachia chiamato da Bernardo Gui per raccontare cosa sapeva delle lettere (sommamente eretiche) di Dolcino. Nella sua risposta, dopo la furiosa esclamazione del cellario riportata sopra, dice tra l’altro: "Le lettere erano state consegnate al signor Bernardo questa mattina, prima che tu uccidessi Severino..." (p. 379). Ma contro quest’accusa Remigio si difende con energia accusando invece, seppur in modo implicito, Malachia stesso: "Ma tu sai, tu devi sapere che io non ho ucciso Severino! Tu lo sai perché eri già là!" (ibid.). Malachia lo nega naturalmente (anche se mentisce).
   Che questo fosse un vero tentativo di accusare il bibliotecario, lo conferma Bernardo più avanti nel processo commentando il tradimento fatto da Remigio per salvarsi dal disastro imminente sul monte Rebello:
Molto interessante. Questo ci dice che non solo fosti eretico, ma anche che fosti vile e traditore. Il che non cambia la tua situazione. Come oggi per salvarti hai tentato di accusare Malachia, che pure ti aveva reso un servizio, così allora per salvarti consegnasti i tuoi compagni di peccato nelle mani della giustizia. (p. 384)
Anche per quanto riguarda il suo stato di eretico Remigio cerca di discolparsi attribuendo ad altri la radice dei propri errori. Bernardo Gui domanda e Remigio risponde:
"Puoi ancora negare, frate eretico e impenitente, che hai avuto commercio e contubernio con la setta degli pseudo apostoli?"
   Il cellario ormai non poteva più negare. "Signore," disse, "la mia gioventù è stata popolata di errori funestissimi. Quando appresi della predicazione di Dolcino, già sedotto com’ero dagli errori dei frati di povera vita, credetti nelle sue parole e mi unii alla sua banda." (p. 383)
3)  L’inginocchiamento.  Verso la fine della difesa Remigio cerca di discolparsi con un giuramento, ma l’inquisitore lo interrompe: "’Un giuramento!’ disse Bernardo. ’Ecco un’altra prova della tua malizia!’" (p. 384). Poi continua respingendo a priori ogni giuramento fatto da uno "pseudo apostolo". Remigio è disperato e cade in ginocchio:
"Ma allora cosa devo fare?" urlò il cellario, cadendo ginocchioni.
   "Non prosternarti come un beghino! Non devi fare nulla. Ormai io solo so cosa si dovrà fare," disse Bernardo con un sorriso tremendo. "Tu non devi che confessare." (ibid.)
Per precisione si aggiunge che l’inginocchiamento del cellario si verifica davanti a Bernardo; lo sappiamo perché all’inizio del processo Adso fa una descrizione sommaria della distribuzione dei protagonisti nella sala capitolare:
Bernardo Gui si pose al centro del grande tavolo di noce nella sala del capitolo. Accanto a lui un domenicano svolgeva le funzioni di notaio e due prelati della legazione pontificia gli stavano a lato come giudici. Il cellario era in piedi davanti al tavolo, tra due arcieri. (p. 373)
Vediamo ora come la bella Elena si difende.

1)  La loquacità.  Anche lei sviluppa una difesa energica, e lo fa principalmente in un grande discorso indirizzato a Menelao, che nel testo greco comprende più di cinquanta righe e in cui riesce tra l’altro ad accusare altri (vedi più sotto), rendere conto della fatale gara di bellezza sul monte Ida, esporre la propria versione del "ratto" da parte di Paride, raccontare i suoi tentativi di lasciare Troia e lagnarsi del matrimonio con Deifobio. E tale è l’effetto della sua difesa che il coro quasi se ne spaventa:

Mia regina, difendi i tuoi figli e la tua patria, demolisci la sua retorica; non deve convincere nessuno. È colpevole, ma ha parlato bene. Ed è una cosa terribile! (Troiane, p. 117)
Possiamo tuttavia aggiungere che Ecuba non rimane in silenzio, anzi disdice Elena su ogni punto in una risposta che è anche più lunga del discorso della nuora.

2)  L’accusa contro altri.  Al fine di declinare la propria responsabilità del primo tradimento e delle sue conseguenze fatali, Elena riesce nel suo discorso a incolpare non meno di tre persone e una dea:

–  Ecuba e Priamo: Ecuba per aver messo al mondo Paride, e Priamo per non aver ucciso il neonato (il che avrebbe potuto fare in qualità di pater familias):

Primo: lei [Ecuba] ha messo al mondo Paride ed è stato questo l’inizio di tutte le disgrazie. Secondo: il vecchio Priamo non lo ha ucciso appena nato e così ha rovinato Troia e me (p. 115) (Secondo Elena avrebbe dovuto farlo perché aveva avuto "un brutto sogno dove lui [Paride] era un tizzone" (ibid.).)
–  Menelao stesso perché andò a Creta lasciandola sola mentre Paride era ancora nella casa reale come ospite. (In questo caso l’accusa è implicita ma efficace lo stesso.)
Quel genio del male – Alessandro o Paride, chiamala come ti pare – era arrivato in compagnia di una dea potente e tu, disgraziato, lo hai lasciato a casa tua e sei salpato per Creta [per partecipare a funerali]. (ibid.)
–  Afrodite che la fece innamorare di Paride:
Devi punire Afrodite, devi essere più forte di Zeus: lui è il re di tutti gli dei, eppure è schiavo della dea dell’amore (ibid.)
Elena ritorna più avanti con una nuova accusa quando s’inginocchia davanti a Menelao:

3)  L’inginocchiamento.  Quando Menelao la minaccia di morte imminente con lapidazione (che non si verificherà perché sarà portata in Grecia dove Menelao intende giustiziarla), Elena si getta in ginocchio.

Menelao:  E tu muoviti, gli uomini ti stanno aspettando per lapidarti: devi pagare con la vita le sofferenze che hai inflitto ai Greci; sarà questione di un attimo, mentre i Greci hanno sofferto a lungo. Così impari a coprirmi di vergogna!

[Hélène se jette à ses pieds (Parmentier)](8)

Elena:  No, ti supplico, non uccidermi, sono stati gli dei a farmi impazzire, non è colpa mia, perdonami! (p. 121)

(Ma neanche tale gesto intenerisce il re di Sparta.)

·  Per difendersi nei rispettivi processi gli imputati sviluppano una loquacità notevole, accusano altri e s’inginocchiano davanti all’accusatore.

C.  DEFINIZIONE DELL’ELEMENTO OMOLOGO NR-bis/TR 7
Nella Quinta unità di tempo si assiste a un processo alla cui fine l’imputato è portato via dalla scorta dell’accusatore il quale annuncia che sarà condotto in un paese straniero per esservi giustiziato; l’accusatore viene dallo stesso paese, da una città situata molto lontano dal Terrritorio, ad occidente; all’arrivo è accompagnato da soldati ed ha una duplice agenda.
   Sul conto dell’imputato si possono registrare le seguenti caratteristiche: viveva sul Territorio da una decina di anni, aveva gusto per la buona vita, era una persona lussoriosa. Ha avuto una vita agitata caratterizzata da incertezze, entusiasmi e delusioni, viltà e tradimenti.
   Per difendersi nel processo l’imputato sviluppa una loquacità notevole, accusa altri e s’inginocchia davanti all’accusatore.

Note

(1)  Per la relativa vicinanza a Bobbio dell’abbazia, vedi il cap. "Ultimo folio", p. 499, dove si legge che dopo la distruzione dell’abbazia Guglielmo ed Adso lasciarono il luogo su "due cavalcature trovate smarrite nel bosco", puntando verso oriente e giungendo così a Bobbio.)

(2)  Molti fraticelli e spirituali che dopo il 1316 non potevano più girovagare predicando la povertà assoluta, ottennero il permesso di entrare in altri ordini. Le loro idee sulla povertà furono condannate dal papa come eretiche.

(3)  Secondo Dares Phrygius, che naturalmente non è una sorgente sicura, la guerra durò 10 anni, 6 mesi e 12 giorni (op. cit., p. 52). Bisogna anche precisare che in questi dieci anni non si combatteva tutto il tempo. Vi erano lunghi periodi di armistizio.

(4)  L’ultima frase può sembrare oscura. Susanetti spiega che "il passo è impossibile da rendere in italiano" perché c’è di sotto un gioco di parole (Troiane, p. 183). Parmentier traduce con forse più aderenza al testo greco: "et le nom de la déesse commence à bon droit comme le mot aphrosyné" (Les Troyennes, p. 68). Per "aphrosyné" egli spiega in una nota: "c’est-à-dire Déraison" (ibid.). Coleridge traduce: "and rightly does her name of Aphrodite begin the word for ’senselessness’" (The Trojan Women).

(5)  Secondo il mito il "vero" padre di Elena fu Zeus.

(6)  Il principe Deifobo era detestato dai troiani perché non voleva consegnare Elena a Menelao, il suo primo e legittimo marito, il quale lo uccise la notte stessa in cui Troia fu presa.

(7)  Nella traduzione di Parmentier è la corifea che parla, ciò che rende il "te" della battuta seguente più logico. (Nel testo francese, p. 70: "Je suis d’accord avec toi ecc.")

(8)  Le prime parole della battuta di Elena che segue, sono così tradotte da Parmentier: "Je suis à tes genoux" (Les Troyennes, p. 70). Le parole greche sono in traslitterazione: "Mê, prós se ghonátôn". L’aggiunta del traduttore francese pare quindi fondata. (Tutta la battuta suona così nella traduzione francese (ibid.): "Je suis à tes genoux ; cesse de m’imputer un mal qui vient des dieux. Ne me tue pas, pardone".)
   Nelle traduzioni di Coleridge, Sanguineti e Zilliacus si legge del resto rispettivamente: "Oh, by thy knees" – "per le tue ginocchia" (p. 48) – "Vid dina knän" (p. 99) (in italiano: "alle tue ginocchia").

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